Ciao, pino. (Ti ho voluto bene)
Questa settimana: non era solo un albero, un episodio rivelatore, un film che ho visto, una manciata di date e un ringraziamento speciale.
Più di dieci anni fa, in primavera, sono tornata da una visita a un appartamento dicendo: l’ho trovato. È pieno di luce e c’è un pino davanti alla finestra.
Il pino mi piaceva moltissimo. Avrei poi scoperto che era pieno di uccellini molto interessanti, capinere e ballerine gialle che ogni tanto facevano capolino sul mio terrazzo in cerca di cibo, e che fungeva da tenda naturale per un appartamento ristrutturato negli anni ‘80 e quindi privo di aria condizionata, perché negli anni ‘80 ancora si poteva campare senza. Negli anni, il pino è stato potato più volte ma è rimasto lì, bellissimo e molto fotogenico.
Giovedì scorso, quando ho visto la piattaforma salire verso i rami, ho pensato che si trattasse di un’operazione di routine. Mi sbagliavo. Nel giro di 24 ore il pino era stato ridotto a un moncone, il parcheggio condominiale era invaso da enormi sezioni di tronco quasi centenario (sul serio: quello della foto è solo un ramo) e davanti alla nostra finestra non c’erano altro che il cielo e il panorama, invero non spettacolare, di quest’ultima propaggine di Pigneto.
I pini al Pigneto non ci sono quasi più. Quelli di via del Pigneto li hanno tirati giù tutti e ci hanno messo delle strisce per i parcheggi. Ne rimane una striscetta sulla Casilina, e fino a venerdì scorso c’era il nostro, il pino solitario che resisteva nel giardino del condominio. Niente pini, in compenso le buche si moltiplicano: forse siamo pronti a cambiare il nome in Tor Voragine, come indica il graffito sul muro dell’ex centro SPRAR.
C’è un’altra cosa, che mi rende ancora più malinconica. Forse è una cosa stupida, ma non ho potuto fare a meno di pensarci. Negli ultimi giorni della sua malattia, Severino Cesari (co-fondatore di Stile Libero e fra le prime persone ad aver creduto che io potessi davvero scrivere di mestiere) parlava spesso del pino che vedeva dalla finestra della clinica. Lo chiamava Pino, maiuscolo. Allora una sera, per fargli compagnia, ho pubblicato nei commenti a un suo post la foto del mio pino, il nostro pino, scattata in quel momento.
Severino non c’è più e ora non c’è più nemmeno il pino, e io non riesco a non sentirmi come se mi avessero portato via qualcosa di molto più importante di un albero.
Brava tatona
Devo avere sopravvalutato il potere respingente della mia leggendaria faccia da stronza, perché mercoledì scorso mi ha tradita e ancora non me ne faccio una ragione. Ero a un panel fuori città a fare la cosa che faccio spesso, parlare di questioni di genere e di come l’intenzione e la buona volontà siano del tutto inutili, se non si parte dall’autocoscienza rispetto al proprio privilegio. Le solite cose, dette un po’ più in lungo di così. Venivo da quattro ore di lezione senza pause, due ore e mezza di treno (in cui mi hanno fatto compagnia l’inesorabile podcast de Il Post sullo Eurovision Song Contest e il libro nuovo di Stefano Nazzi appena uscito per Mondadori Strade Blu) e altre due ore di incontro fra interventi introduttivi e discussione fra panelist, insomma, ero stremata e anche malaticcia. E mentre puntavo con molta intenzione la sala dell’apericena, mi ferma - fra gli altri - un gentile signore dall’aria simpatica che ci tiene a farmi sapere che lui si adopera da anni per cambiare le cose, mi spiega cosa fa (molto interessante) e conclude il suo discorso con un buffetto.
Un buffetto. Una carezzina. A me. Alla mia faccia da stronza cinquantenne.
Non facciamo quelle che “se fossi stata io”, perché io ero io e anche se fossi stata lucida difficilmente avrei avuto una reazione diversa da quella che ho avuto, cioè accomiatarmi e borbottare alla persona accanto a me, che mi stava parlando di paternalismo: “Infatti mi hanno appena fatto un buffetto”.
Il resto dell’evento, ci tengo a dirlo, è stato molto bello e molto interessante, con interventi ricchi di spunti, e una volta soddisfatto il bisogno di carboidrati sono anche riuscita a fare qualche chiacchiera costruttiva. Però mi hanno fatto un buffetto. UN BUFFETTO. Ma davvero?
Il paternalismo è l’ultima frontiera del patriarcato, la più dura a morire perché protetta dalle convenzioni sociali che ci incoraggiano a essere educate, a non fare scene. È facile scambiarla per tenerezza, ma è solo accondiscendenza. Il buffetto non è malanimo, è ristabilire le gerarchie, io padre tu figlia anche quando hai tecnicamente l’età per essere nonna. È “brava tatona” ma poi ti ignoro, perché non conti niente. È “lo faccio per il tuo bene”, è “so meglio di te come si fanno le cose”. E se tocca a me, che c’ho cinquant’anni suonati e uno Sguardo della Morte capace di trasformarti in pietra, figuriamoci le giovani.
A proposito di sguardi
Lunedì scorso ho assistito alla proiezione di Brainwashed: Sesso, cinema e potere di Nina Menkes, un’opera che è difficile definire un documentario perché si muove più dalle parti del saggio visivo. Basato su una lezione tenuta da Menkes, il film esplora il modo in cui lo sguardo maschile ha condizionato la rappresentazione delle donne nel cinema, fino a farlo diventare un codice adottato dalle donne stesse. Un modo di guardare e di guardarsi che influenza in maniera profonda la nostra autopercezione. Si trova sulle piattaforme ed è molto interessante sia per chi vuole saperne di più sul tema per questioni politiche, sia per chi fa cinema e televisione e vuole decostruire quello sguardo nella sua opera.
Dove ci vediamo?
Sabato pomeriggio (Baglioni intensifies), 20 maggio, sono a Bagno a Ripoli (FI) come ospite di Cambia-Menti. Il patto generazionale è un argomento che mi sta a cuore in proporzione a quanto sto trovando deplorevole e deprimente la deriva reazionaria della Generazione X di fronte alle sacrosante proteste degli studenti contro il caro-affitti, e in generale quest’anda da vecchi stronzi di cui siamo circonfusi. Io non me lo merito, di vederci invecchiare così male: quindi vado dove posso a cercare di tenere il punto.
Posti prenotabili a questo link, in cui c’è anche il dettaglio degli orari e il tema dei panel.
Altre date:
Il 15 giugno sono a Parma per la manifestazione Scintille d’estate (il programma non è ancora uscito, diciamo che questo è un anticipo) per parlare di Scintilla nel buio.
Il 16 da Parma vado a Mare di libri: l’incontro a cui partecipo si terrà alle 18.00, e condivido il palco con Vera Gheno. Il tema è “1 parola 2 generazioni”, e la nostra parola è “Parità”.
Per finire: ringraziamenti
Non ho risposto a tutti i messaggi che mi sono arrivati dopo la newsletter della settimana scorsa, e mi dispiace, ma erano davvero tanti. Li ho letti tutti e vorrei dirlo qui: grazie, li ho davvero apprezzati. C’è gente che si nutre dell’odio degli altri, ma io non sono quella gente. Mi piace che ci vogliamo bene, e mi piace che la gente che mi segue lo faccia perché mi vuole bene, nel senso più ampio del termine. Qui ci facciamo guidare solo dall’amore, del resto non ce ne frega niente.
A martedì prossimo (sempre se non mi parte l’embolo per qualcosa).
Giulia
Sul buffetto mi è salito il veleno. Non sai che veleno. Che impietrisce, ha ragione Iena. Alla prossima forse bisognerebbe provare a ricambiare con "grazie!" mentre la manina si allunga e i due ditini stringono un lembo di guancia che immagino barbuta sale e pepe, facendo l'occhiolino e "era da quando avevo otto anni che non me lo facevano. Carino, no?" e andarsene. Lo so, non succederà mai. Ma è una valida alternativa all'idea di un tacco sottile che si pianta sulla sua Clarke (versione alternative) / francesina (versione corporate)
Per l'albero (gli alberi) potresti provare a contattare ReTree di Porta Metronia (Comitato Mura Latine), se non esiste già un comitato al Pigneto possono aiutarvi loro a costituirne uno per un progetto di monitoraggio e ripiantumazione degli alberi: https://www.retree.it/replicabilita/