Giulia Blasi | Servizio a domicilio - A tutto gender
Questa settimana un po' monotematica, ma sai come va. È il periodo.
Ciao, come va? (Dico sul serio: mi piace quando le persone mi scrivono, anche se poi non sempre riesco a rispondere alle mail. Come va?)
Cominciamo con una cosa che ho scritto. È uscito ieri mattina un pezzo su Valigia Blu che volevo scrivere da un po', anche se non in questa forma. Poi l'ho scritto così, e mi sa che ho fatto bene. In pratica, mi sono spiegata la questione dell'identità di genere da sola (ma con l'aiuto di Antonia Caruso, che ha notevolmente sgrezzato la prima stesura: non si finisce mai di imparare, neanche quando pensi di fare molta attenzione a un tema).
L’identità di genere spiegata a chi pensa di non averne una – Valigia Blu — www.valigiablu.it
E visto che siamo in argomento...
Un posto al gender(queer)
Sono una grande fan di Un posto al sole, la soap del pre-serale di Rai 3 a cui mi ha iniziata il mio fidanzato (ciao!) nei primi tempi del nostro rapporto. Se siamo a casa la guardiamo sempre: in maniera diluita e continuata, svolge più o meno la stessa funzione del Festival di Sanremo, vale a dire misurare la temperatura culturale del paese sui temi sociali e civili. I momenti, per così dire, pedagogici vengono inseriti in quasi ogni episodio, e io li chiamo "UPAS per il sociale", perché sono scritti in modo chiarissimo e molto didascalico, allo scopo di comunicare messaggi agli spettatori.
Faccio una premessa narrativa: a differenza di altre soap, UPAS affianca alla linea narrativa principale, tradizionalmente drammatica, una linea comica che si rifà alla tradizione della commedia partenopea, e che pur non avendo peso nelle vicende principali contribuisce ad alleggerirle. Attraverso UPAS si capisce bene quali argomenti sono ancora tabù per la società italiana, e quali invece possono essere rappresentati senza problemi. Fino a qualche anno fa, gay, lesbiche e persone trans facevano parte solo delle linee drammatiche: comparivano e sparivano rapidamente, quasi senza lasciare traccia. Poi è arrivato Salvatore "Sasà" Cerruti, il vigile gay, all'inizio soave macchietta, poi padre putativo del figlio di Mariella Altieri, e infine protagonista di una storia d'amore con un medico un po' snob, raccontata con i toni della commedia romantica. La storia di Cerruti non è la storia di un uomo omosessuale che teme di non essere accettato da famiglia e amici: è la storia di un uomo medio con una sorella un poco vrenzola che lo mette in imbarazzo davanti al raffinatissimo fidanzato e alla sorella di lui, antipaticissima signora con la puzza sotto al naso. Che Cerruti sia gay è un dettaglio che non vale la pena di sottolineare, è cosa normale.
Se pensiamo che questo sia una forzatura da parte degli autori, teniamo presente che ci sono linee invalicabili: Cerruti e fidanzato non sono mai mostrati in atteggiamenti intimi (cosa che non vale per le coppie eterosessuali). L'intimità fra i due viene suggerita, ma non raffigurata. L'amore rimane sospeso, casto, discusso ma non rappresentato. Il pubblico del pre-serale è prontissimo ad accettare l'esistenza degli omosessuali, ma è ancora restio a vederli esprimersi reciprocamente affetto, amore e desiderio, specie se non conditi da una dose appropriata di sofferenza. Le cose cambiano solo leggermente nella linea drammatica, ma al momento nessuno dei personaggi gay (Sandro, figlio numero enne di Roberto Ferri, o il suo ex Claudio, tecnicamente bisessuale) è protagonista delle vicende principali. La storia di Sandro, peraltro, era 50% "Voglio fare l'attore" e 100% "Mio padre non accetterà mai che mi piacciono i maschi", quindi non proprio la rivoluzione in termini di narrazione televisiva. Per quanto riguarda i personaggi bisessuali, al momento in campo c'è solo Marina Giordano, che però - come la figlia Elena - è stata bi per due minuti, poi sembra che se lo siano dimenticato tutti, lei inclusa.
Sempre dalla storyline sono sparite Alex e la sorella Mia, figlie di Carla, una donna trans (interpretata da Vittoria Schisano, attrice a sua volta trans) che per un breve periodo è stata presente nella storyline drammatica nel ruolo del genitore che fatica a riconciliarsi con le figlie proprio a causa della sua transizione. Anche qua, non proprio grandi innovazioni, se la persona trans può essere raffigurata solo per raccontare il dramma della sua transizione, e sparisce quando non è più funzionale a quel racconto. Sarebbe interessante vedere Carla tornare, andarsene a lavorare al Caffè Vulcano, ai Cantieri Flegrei Palladini o allo Studio Legale Poggi, e interagire con gli altri personaggi non da "donna trans" ma da persona con interessi, una personalità, degli obiettivi.
Così come sarebbe interessante finalmente vedere un personaggio non binario o genderqueer, o un personaggio non bianco, inseriti in maniera stabile nella storyline principale. UPAS, ambientata nella città in cui "è nato 'nu criaturo, niro niro", la città che ha dato i natali a James Senese, non ha quasi mai persone non bianche o afrodiscendenti nella timeline principale, e mai - nei sedici anni in cui l'ho guardata - fra i protagonisti. Sarebbe ora? Sarebbe ora. Aiuterebbe il pubblico di Rai 3 a familiarizzare con l'idea che gli italiani non bianchi esistano, e che più culture e appartenenze possano coesistere nella stessa persona senza entrare in conflitto. Pensate a una storyline in cui il personaggio principale sia una cameriera del Vulcano nata in Italia da genitori stranieri, che parla napoletano e studia con Vittorio all'università, ma non ha la cittadinanza per questioni burocratiche. Immaginate un dramma legato a questa mancanza di documenti, tipo: non poter accettare un periodo di studio all'estero per non interrompere la residenza in Italia e perdere i requisiti per la cittadinanza. Adesso non dico che lo ius soli lo facciamo dopodomani, ma insomma. Come non dico che la 194 sarebbe salva se almeno una delle donne che rimangono incinte controvoglia nella soap decidesse di abortire e lo facesse senza che le altre figure femminili (nello specifico Giulia e Angela Poggi, personagge guardiane della moralità e della giustizia sociale) sperino fino all'ultimo che lei ci ripensi, perché in fondo in fondo abortire è peggio che portare a termine una gravidanza indesiderata che ti inchioda a un rapporto con un uomo abusante (come succede a Clara, per esempio). Se vogliamo parlare di grandi barriere della narrazione, forse l'unica davvero impossibile da superare è quella: l'idea scomoda e disturbante che la scelta di abortire non sia un lutto o uno sfregio alla società, ma una scelta d'amore e cura per sé stesse.
Cosa faccio questa settimana
Quella di stasera a Parco Appio dovrebbe essere - salvo cambiamenti - l'ultima cosa pubblica che faccio per un pezzo, dato che sto rimandando tutto a dopo l'uscita del libro nuovo, a settembre. Non si può più dire niente è una tre giorni dedicata al tema della libertà di espressione. C'è un biglietto d'ingresso (abbordabilissimo) e insieme a me il 20 ci sono Hell Raton, La rappresentante di lista, Leonardo Caffo, Filippo Giardina e Federica Cacciola, quindi ne vale la pena.
Cosa sto leggendo
Finalmente, finalmente sto leggendo Le amazzoni di Manuela Piemonte, che ho sul comodino da una vita, ma l'ho appena iniziato ed è presto per dire come sarà. Di sicuro è asciutto, dritto, e l'ambientazione - l'Italia fascista nel 1940, e nello specifico le colonie in cui venivano spediti i bambini per poter essere indottrinati a dovere. Fa il paio come tematica con un libro molto insolito, Patria, il graphic memoir di Bruna Martini basato sull'infanzia della zia, Graziella Mapelli.
Vabbe', cia'!
Giulia