Giulia Blasi | Servizio a domicilio - "Care femministe"
Questa settimana, tutti i modi in cui non vogliamo sentire parlare le donne. Vabbe', non tutti. Due. Ma interessanti.
Scrivo mentre sono in viaggio verso la Svizzera, quando mi leggerai starò tornando e forse avrai visto le foto dell'incontro su Instagram. È iniziata un'altra settimana quando quella prima non mi sembrava mai finita, ma è anche iniziata la discesa verso la fine del mese, la primavera e gli ultimi sei giorni di buio. Io non so e non ho capito quando smetteremo di aggiustare gli orologi per adattarci al cambio dell'ora, so solo che mi mancherà quel rito annuale, quel momento in cui si comincia a scivolare verso il caldo, le gonne, il sole sulla pelle, il mare davanti e il vuoto nella testa, finalmente. Anche quest'anno me lo godo, questo passaggio, pure se fa ancora freddo e là fuori c'è letteralmente la morte.
Questa settimana vado lunga, cominciamo.
Se solo comandassero le donne! Anzi no
Sabato ho partecipato a Visione comune, l'evento organizzato a Roma per parlare di temi legati alla sinistra che stanno trovando pochissima o nessuna rappresentanza politica. Ecologia, diritti, sostenibilità, cittadinanza, accoglienza, cultura. (La diretta si può recuperare sul sito della manifestazione.) Questo non è molto importante. Quello che è importante è la reazione all'evento, e nello specifico al fatto che fosse stato promosso da Elly Schlein, una che ha sempre goduto di una certa stima ma per il fatto di collocarsi fuori dai partiti tradizionali non ha mai rappresentato una minaccia diretta all'assetto socio-politico.
Deve essere cambiato qualcosa, non so nemmeno io bene cosa, perché a valle dell'evento ho cominciato a veder spuntare su Twitter i maschi che cominciano a mettere in discussione non le posizioni, non quello che è stato detto e nemmeno gli ospiti della giornata, no, proprio l'idea in sé che Schlein possa essere considerata una leader. È un attacco all'esistenza, non al contenuto, inferto con l'arma del ridicolo, della battuta, del sarcasmo. Non ho l'abitudine di dare visibilità ai contenuti di gente che non sposta nulla, ma non posso fare a meno di osservare il fenomeno, perché poi magari ci si domanda come mai le donne in politica siano così poche e fatichino, soprattutto a sinistra, ad affermare una leadership. La risposta è sempre quella: le donne, anche a sinistra, o sono funzionali o non sono. L'idea che una donna giovane possa essere carismatica e muovere idee e persone è inaccettabile anche per quelli che si credono sinceramente progressisti. Bisogna tirarla giù sparandole appena prende il volo, che lo vedano anche le altre e non si azzardino: ragazze, dovete stare allineate, ok? Dentro un partito, sotto un capocorrente, non ci provate neanche ad andare avanti da sole, a provare a guidare qualcosa o qualcuno.
Ho un'enorme antipatia per i santini e detesto l'idea della persona che arriva a salvarci, maschio o femmina che sia. Le persone sbagliano, le idee mutano, il mondo si evolve ed è solo dal dialogo che nasce il cambiamento che ci serve per costruirne uno migliore. Però le leadership esistono, servono a guidarlo, quel cambiamento, a renderlo partecipato e duraturo. Più partecipato è il cambiamento, maggiore è la probabilità che il fallimento di una leadership non lasci dietro di sé solo macerie e gusci vuoti di partiti morti. Detto questo, diciamocelo: le donne leader, specie se giovani, piacciono come idea, come astrazione, il più possibile lontane da noi. In Finlandia, in Germania, in Cile, non in Italia, non qui, non a casa nostra dove magari ci tocca ascoltarle, discutere con loro di idee e strategie, magari votarle, ritrovarsele a dirigere qualcosa, per carità di Dio. Decorare, figliare, servire: ogni azione che non rientri in questa casistica è un'indebita appropriazione di spazio.
"Care femministe"
È uscito sabato scorso su Specchio de La Stampa un pezzo di Francesco Musolino intitolato "Care femministe, vi leggo e vi amo. Perché mi fate sentire di troppo?" Credo possiamo essere d'accordo nel dire che un articolo intitolato "Care femministe" non finisce mai bene, e anche se Musolino disconosce la paternità di quel paternalismo, non è che poi la situazione migliori granché. L'articolo parte da Il diritto al sesso di Amia Srinivasan (uscito con Rizzoli), e dato il tema ci si aspetterebbe che un recensore di genere maschile ne approfittasse per fare un po' di autocoscienza. E invece.
Da quando i femminismi e le femministe di terza e quarta ondata si sono inserite - seppure un po' a fatica - nel dibattito pubblico, gli intellettuali (maschi) che fino a quel punto avevano campato serenamente senza badare per nulla a quello che dicevamo sono più o meno costretti ad averci a che fare. Le reazioni si dividono più o meno in due grandi categorie: l'aggressione a mezzo sfottò, argomenti fantoccio e falsità (in cui la stampa di destra eccelle) e il piagnisteo perché le femministe non dicono quello che vorresti tu. Spiace rilevare che il pezzo di Musolino si inserisce in questo secondo sottogenere: pur con tutta la buona volontà del caso, nemmeno lui - che sostiene di leggere abitualmente testi femministi - riesce a sottrarsi alla tentazione di farne una questione di ego. Sorvolo sulla parte in cui dice di essere stato sfottuto e respinto "dalle femministe" in quanto maschio: qui siamo costrette a prenderlo la sua affermazione a valore facciale, anche se di quegli sfottò mancano il contesto e il casus belli e i femminismi spesso non vanno d'accordo neanche gli uni con gli altri, figuriamoci con chi si affaccia per ultimo, da osservatore. Quindi, tanto per cambiare, qua è la parola di un uomo alla quale dobbiamo credere, perché l'uomo in questione non porta certo le pezze d'appoggio. "Dove stavo sbagliando?" Si domanda quindi Musolino, ma suona quasi come una domanda retorica. Il succo, però, arriva un po' dopo.
"[...] Ho la sensazione che Srinivasan abbia scelto di rivolgersi solo alle donne, relegando gli uomini - tutti noi uomini - al ruolo di cattivi. Additati. Marginalizzati. Ce lo siamo meritato? Sì. Al contempo, vorrei che parlasse a tutti, senza genere e non escludendo nessuno, altrimenti si parte sconfitti, perpetuando la dicotomia consenso/dissenso, maschio/femmina, giusto/sbagliato."
Poche righe che inquadrano bene il problema, per questo mi ci soffermerò con precisione. Scegliere un pubblico per un saggio non è di per sé un problema, anzi: chiunque scriva ha in mente un pubblico, perché la scrittura per funzionare deve saper selezionare il suo linguaggio, cosa presentare o meno a chi legge, qual è la cultura condivisa. Se Srinavasan avesse scritto un libro per parlare alle donne non ci sarebbe nulla di male, e non avendo letto il saggio non escludo che possa essere così. Il che non significa che il testo possa essere letto solo dalle donne. Avendo un po' di dimestichezza con i saggi femministi, al contrario, mi viene da pensare che il problema non sia di accessibilità del testo, ma di sgradevolezza rispetto a un pubblico che non viene esplicitamente escluso ma nemmeno coccolato. Insomma, mi gioco qualcosa - ma potrei essere smentita - che l'obiettivo di Srinivasan fosse parlare con direttezza di un problema su cui agli uomini viene chiesto di fare autocoscienza, e invece quello che si scatena è il piagnisteo. Perché ci trattate da cattivi? Tradotto: perché non vi premurate di rassicurarci che non ce l'avete con noi, proprio con noi, in modo da esentarci dal doverci domandare in che modo siamo attori di un certo tipo di violenza di genere, magari soft, magari proprio a base di "Care femministe" e richieste di parlare come vogliamo noi?
Perché subito arriva la prescrizione: i testi femministi si fanno così, come diciamo noi, vale a dire il genere che ha maggiormente motivo di esserne disturbato e di accogliere quel disturbo, usarlo per riflettere, piuttosto che mettersi sulla difensiva. E che dire di quella dicotomia consenso/dissenso, che nel sesso non ha alcuna cittadinanza, dato che il "dissenso" ha a che vedere con l'opinione e non con il contatto fra le persone, e se uno mi mette la mano ar culo senza consenso non è il mio dissenso a fare la differenza, ma il fatto che non mi ha chiesto il permesso prima. Fra il consenso dato e quello non dato (non negato: semplicemente, non richiesto e non esplicito) c'è una differenza abissale, ed è su quelle che chiamiamo "zone grigie" che ci dobbiamo interrogare con onestà. Anzi, a maggioranza si devono interrogare gli uomini, come individui e come collettività regolata da usi e costumi millenari che li vogliono sempre sessualmente aggressivi a fronte di una sessualità femminile passiva, ritrosa, celata. E sì, c'è un giusto e c'è uno sbagliato, c'è il consenso e c'è la sua assenza, negare questo è davvero partire sconfitti, perché significa disconoscere la propria responsabilità. Che non è una colpa, quindi i vittimismi li lasciamo alla porta, perché non ce ne facciamo davvero nulla.
Sono stata dura? Non quanto avrei potuto, ma un minimo di durezza è pedagogica. Gli uomini che vogliono entrare a far parte del dibattito devono innanzitutto abituarsi a questa durezza, alla direttezza delle opinioni. Devono abituarsi a fare a meno delle coccole e delle rassicurazioni, delle assoluzioni a prescindere alle quali sono abituati nella vita di tutti giorni, e che ritengono imprescindibili per potersi sentire accolti e non doversi mettere in discussione. Se la linea è andarsene piangendo ogni volta che il gioco si fa duro, il problema non siamo noi.
Un libro bellissimo
Nadia Terranova non è esattamente una quantità ignota, per cui non sono stupita, ma era un pezzo che non mi tuffavo dentro un libro come ho fatto con Trema la notte, il suo nuovo romanzo ambientato intorno al terremoto che nel 1908 distrusse Messina e Reggio Calabria. Una storia di vite parallele, di sorellanza e di amore familiare negato e ricostruito, di maternità e libertà. Mi è piaciuto tantissimissimo.
Le date
Ormai non le metto più sui social, questo è chiaro, quindi si leggono solo qui:
Domani, 23 marzo - Brutta a Cervia (RA), rassegna “Donne al plurale”
31 marzo - Brutta a Casalgrande (RE)
1 aprile - Brutta a Guastalla (RE)
2 aprile - Milano, Terzo Forum di Casa Comune (che cos'è?)
10 aprile - Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, panel: “Il femminismo è per tutti”
23 aprile - Brutta a Fucecchio (FI)
28 maggio - Brutta a Pontedera (PI), Libreria Equilibri
Ho deciso di sacrificare un pezzo perché ero andata veramente lunghissima, magari ne riparliamo la settimana prossima.
Ciao!
Giulia