Giulia Blasi | Servizio a domicilio - Cosa ci insegna la morte del DDL Zan
Questa settimana: due cose belle e un pippone esagerato che però devi leggere fino in fondo, perché è importante.
Prima le cose belle. Sabato 30 Brutta è diventato un reading sul palco del Cinema Avorio, per InQuiete. Ho scelto questa foto (rubata dal Facebook del festival) per ricordarmi di come ho gestito il primo di almeno quattro o cinque inconvenienti tecnici.
Il reading intero si può vedere nel video qui sotto, circa da 2h 26'. Non finirò mai di ringraziare Annalisa Cordone, Cristina Pellegrino e Cristiana Vaccaro per avere messo insieme questa cosa con me.
È anche uscito l'audiolibro di Brutta, come al solito letto da me : lo si può ascoltare su Storytel.
E ora: il pippone.
Cosa ci insegna la morte del DDL Zan
La fine ingloriosa del DDL Zan non era imprevista. Nonostante il paese fosse in maggioranza favorevole alla legge, il Parlamento non lo riflette e non lo rappresenta. Era il terreno perfetto per fare quei simpatici giochetti di palazzo che si ripresentano ogni volta che si prova anche solo a parlare di diritti. Successe con le unioni civili, private della stepchild adoption. È successo con il DDL Zan. Succederà di nuovo a breve con la cannabis legale, l'eutanasia, probabilmente anche con l'ennesimo tentativo di riformare le leggi sulla cittadinanza.
Partiamo dalle basi: il DDL Zan non tutelava solo le persone LGBTQ. Era una legge pensata per codificare diversi crimini d'odio, fra cui anche la misoginia e l'abilismo. Se aveva un limite, era quello di considerare l'omofobia l'unico tema su cui fare prevenzione con una giornata dedicata nelle scuole, ma una giornata non è certo sufficiente ad affrontare la questione nella sua interezza, per cui non mi incaponirei su questo punto. Non è possibile addebitare il fallimento della legge a una sola corrente, un solo fattore o un solo partito. Questo l'hanno detto un po' tutti (maschile sovraesteso non casuale: il grosso delle voci che si sono sentite post-fallimento era di uomini bianchi eterocis, vale a dire la maggior parte degli editorialisti, con l'eccezione di Simone Alliva). Ci sono solo alcuni fattori che non mi paiono essere stati colti, quindi ci provo io.
Il primo è questo: è vero che Italia Viva non è interamente responsabile del fallimento, ma è anche vero che dopo il passaggio alla Camera i senatori di Italia Viva hanno lavorato attivamente a fomentare il negoziato al ribasso sui diritti delle persone trans e non-binary (do per scontato che tu sappia di cosa parlo, altrimenti ecco il pezzo che avevo scritto tempo fa per spiegare il concetto di "identità di genere" alla gente al gusto fiordilatte come me) esclusivamente per ragioni di convenienza politica: avevano bisogno di farsi sentire e anche di aprire in maniera più decisa all'alleanza con il centrodestra. In questo, il cavallo di Troia sono le femministe di seconda ondata che comunemente chiamiamo con l'acronimo TERF, vale a dire "Trans-Exclusionary Radical Feminist" (questo di Elena Tebano è il miglior pezzo che io abbia letto in Italia per spiegarle). Dico subito che non mi interessa molto se loro ritengono che "TERF" sia un insulto: dato che da tempo mettono tutta la loro energia nel perseguitare le donne trans, dicendo apertamente che sono uomini travestiti e accusandole di essere stupratori che si spacciano per donne per costringere le lesbiche a fare sesso con loro (molta della Weltanschauung delle TERF è così, una specie di porno pulp oscuro e violento), direi che hanno poco da fare tone policing al resto del mondo. Escludi le donne trans? Sei TERF. Stacce.
Le TERF sono numericamente poche, in grande maggioranza anziane e piazzate in posizioni di potere. Dato che erano femministe negli anni '70, godono di una sorta di seniority nella divulgazione dei temi del femminismo presso i loro colleghi e coetanei che non hanno alba di quale sia stata la sua evoluzione e di quali siano ora i temi delle lotte, e che con le donne più giovani non ci parlano. Le TERF sanno come prenderli, stanno dalla loro parte, condividono con loro spazi di lavoro e socialità. Va precisato qui che l'atteggiamento delle femministe di seconda ondata verso il genere maschile oscilla fra un fondamentale disprezzo ("Sono maschi, non capiscono") e un desiderio di blandizie legato a un sostanziale allineamento politico sul fronte dell'ordine sociale: tranne alcune, radicali anche ora in materia economica e politica, il grosso delle second-waver si accontenta di lottare per dei posti al sole, senza mettere in discussione nulla della piramide sociale. Per una certa categoria di persone, le TERF sono le femministe, non ce ne sono altre. Sì, sono quattro gatte a confronto con i numeri delle intersezionali e delle transfemministe (due sottoinsiemi che a tratti coincidono), ma sono quelle più vicine ai centri di potere: e agiscono in modalità stealth. Passano inosservate. L'ignoranza rispetto alla profonda frattura interna ai femminismi le rende indistinguibili dalle altre. E non stanno certo tutte dentro Italia Viva: molte sono rimaste nel PD. In silenzio.
Donne nel Parlamento italiano ce ne sono poche, femministe anche meno, ma molte appartengono proprio a questa corrente, che è ora di cominciare a considerare a tutti gli effetti una corrente politica e a discutere come tale, al netto delle sciocchezze fantasiose e antiscientifiche. L'insistenza sulla volontà del transfemminismo di cancellare "uteri e vagine" (sì, lo dicono, giuro: controlla se hai ancora tutto, nel caso, io sì) è fantasiosa, appunto, ma è anche indicativa di quella stessa centralità della biologia da cui da decenni stiamo cercando di scappare. Siamo state inchiodate per così tanto tempo all'idea che il nostro apparato riproduttivo potesse decretare cosa possiamo o non possiamo fare in società che a me sembra surreale volerci tornare solo perché una parte di noi si trova a disagio con l'identità di genere altrui, ed è così terrorizzata da silurare il primo provvedimento che avrebbe codificato la misoginia nel nostro ordinamento. Un punto essenziale, una cosa che ci serve per poter fare delle leggi sensate che ci tutelino davvero anche su altri fronti. E ce lo siamo giocato così. La fine del DDL Zan è anche la tomba del femminismo di seconda ondata, che un tempo lottava per i diritti e ora si batte perché vengano negati. Anche alle donne stesse.
Ovviamente non sono solo le TERF, anche se le TERF si sono prestate a legittimare sul fronte femminista (aiutate da Arcilesbica, fuori dal Parlamento) l'ipotesi che il DDL Zan fosse "scritto male" e che potesse essere rivisto al ribasso, perché meglio una legge monca che niente legge. C'entrano, penso, anche altri fattori, ancora più subdoli, ma che non mi sembrano indifferenti. Per esempio: solo a me pare sospetta la severità dell'uscita dell'ex capogruppo al Senato Marcucci, costretto a cedere il posto a Simona Malpezzi? No, non solo a me. E ho imparato a non sottovalutare la tigna di un uomo di potere che si vede privato della sua posizione. Sono capaci di farti la guerra per anni, per molto meno di questo.
Morale: questo sconfortante teatrino finito con l'esultanza delle destre non ha un solo responsabile, ne ha molti, ma lo scrivo in grande, così si capisce:
BISOGNA VOTARE
Ci fa schifo, a volte? Sì. Guardiamo la gente in Parlamento e li troviamo come minimo inadatti a fare il mestiere che fanno? Pure. Sentiamo che ci rappresentano? No. Bisogna comunque votare, soprattutto se non lo si è mai fatto o non lo si fa da tempo. Perché qualcuno lo farà, e saranno sempre le stesse persone, che ne eleggeranno altre, sempre quelle, e quindi il Parlamento sarà sempre il riflesso della stessa mentalità. E ci toccherà continuare a vedere i fasci che applaudono per aver negato dei diritti di base a donne, persone LGBTQ e disabili. Se vogliamo non vederli più, bisogna ANDARE A VOTARE, e come dice una mia amica giovane che sta in Parlamento, bisogna ANDARE A VOTARE E POI CONTROLLARE COSA FA LA GENTE CHE HAI VOTATO.
Viviamo in una democrazia rappresentativa dove eleggiamo letteralmente solo il Parlamento. Se non votiamo, ora più che mai i seggi delle nostre istituzioni saranno sempre pieni di stronzi che applaudono mentre calpestano le nostre stesse esistenze. Informiamoci e votiamo. Leggiamo i programmi dei partiti e dei candidati. Se fanno tutti cacare, STUDIAMO BENE E CANDIDIAMOCI. Votiamo. Facciamo politica. Interessiamoci alla politica. Facciamo pelo e contropelo alla politica. L'astensionismo non è una scelta sostenibile. Bisogna levargli l'ossigeno e la terra sotto i piedi.
Un'ultima cosa prima di salutarci. Non lo dico mai perché mi pare scontato, ma se questa newsletter ti piace puoi inoltrarla o condividerla sui social (sul mio profilo esce anche in formato web). Non è che devi, diciamo che puoi, ok?
Ci risentiamo martedì prossimo.
Giulia