Giulia Blasi | Servizio a domicilio - Cosa stiamo al mondo a fare
Di lavoro, diritti, società, felicità e tutte le cose a cui non vogliamo rinunciare, e di buconi niente affatto metaforici.
Confesso che sono stata a tanto così dallo scrivere mezzo numero della newsletter sull'ennesimo scontro TERF-transfemministe, ma per fortuna domenica ho fatto una cosa interessante che mi ha fatto passare la voglia. Sono andata a un incontro organizzato da Invisibili in Movimento, l'associazione fondata da Aboubakar Soumahoro che sta cercando di aggregare varie realtà del precariato, dai braccianti ai laureati senza contratto. Dai rider a chi si occupa di migranti o di diritto di cittadinanza, dalle associazioni di quartiere alle persone disabili che faticano a vedere un futuro in un paese che le infantilizza e ostacola i loro tentativi di rendersi autonome, il quadro mi sembra abbastanza chiaro: parlare di diritti sociali e di diritti civili come di questioni scollegate è del tutto folle. Per fare solo un esempio: un ragazzino nato e cresciuto in Italia che però non ha la cittadinanza avrà più difficoltà a lasciare il paese per un Erasmus o per un soggiorno all'estero. Questo lo penalizza nella formazione e lo mette in una posizione diversa da quella dei suoi coetanei muniti di passaporto italiano e di cittadinanza europea. Vogliamo dirci che questo non è contemporaneamente un problema di diritti civili e di diritti sociali? Diciamolo. Di scemenze ne diciamo tante.
Una newsletter non è il posto per scrivere un lungo papello sul patriarcato e il capitalismo, quindi facciamo che sono breve (anche perché sono mezza fritta, come quasi sempre). Il sistema in cui viviamo campa di disuguaglianze, e ci siamo tutti dentro. Se io guadagno poco, sceglierò beni e servizi che costano poco, prodotti o forniti da gente sottopagata, e avanti così di sfruttamento in sfruttamento. Possiamo provare a fare delle scelte etiche, ma non pensiamo di risolvere la cosa a livello individuale, perché non può funzionare. Solo l'azione collettiva può scardinare un sistema basato su disparità che vengono vendute non come ingiustizia, ma come normale funzionamento dell'economia, anzi: che vengono rovesciate nel ragionamento per provare che "se vuoi puoi", e che se non ci riesci allora il fallito sei tu. La meritocrazia di merda, che premia non i capaci ma quelli che partono davanti a tutti. E quindi anche buona parte di noi, che siamo incapaci di immaginare un cambiamento radicale e continuiamo a votare gente che si limita a mettere toppe qua e là (quando non peggiora la situazione) senza affrontare mai la questione a livello sistemico.
L'altra cosa su cui Aboubakar torna sempre - ed è la cosa più importante - è il concetto di "felicità", vale a dire la realizzazione degli esseri umani nel mondo al di là del lavoro e della capacità di produrre reddito (per qualcun altro, per lo più). Nel momento in cui anche la scuola diventa un luogo pensato per avviare gli studenti al lavoro e rinuncia a essere il luogo in cui si formano i cittadini, capite che è un attimo ritrovarsi a essere automi intrappolati in un loop perenne di lavoro-casa-sonno-lavoro-casa-sonno-ripeti, e nel weekend tutti a fare compere al centro commerciale. È così che vogliamo vivere? E a cosa saremmo disposti a rinunciare, per vivere un po' meglio di così?
Il bucone del Pigneto
Il bucone del Pigneto non è una metafora della precarietà esistenziale e dell'oscurità dentro di noi, anche se potrebbe sembrarlo. Il bucone del Pigneto (impropriamente detto "voragine di Torpignattara", ma Torpigna inizia qualche centinaio di metri più in là, quindi questo bucone ci appartiene) è un bucone vero. Uno dei tanti buconi che periodicamente si aprono in un quartiere in cui c'è una falda acquifera interrata (la Marranella, che non è solo un posto, è proprio una marrana, uno dei tanti corsi d'acqua che attraversano la Capitale) e anche delle tubature su cui non viene fatta manutenzione da mai. Praticamente camminiamo su un asfalto che può franare sotto i nostri piedi da un momento all'altro, cavo, percorso da tubi che perdono e fanno marcire il terreno e da torrenti convogliati dentro canaline che appena le buchi TAAAAAC ti fanno un lago, anche questo non metaforico, letterale. Ce n'è uno che si è formato nel 1992 a un chilometro e mezzo da casa mia: ufficialmente si chiama Lago Ex Snia-Viscosa (dal nome dell'ex fabbrica che sorge lì accanto, ora un centro sociale), ma lo chiamano "Lago Sandro Pertini", perché è un lago resistente. Stavano scavando per fare un parcheggio, hanno beccato la falda acquifera e ora lì, fra i ruderi, ci sono pesciolini e uccellini. L'acqua è pulita e teoricamente pure balneabile (anche se non essendo attrezzata non ci si può fare il bagno).
Anche questa sembra una metafora, e invece, come il bucone, è Roma.
Un'intervista bellissima
Ho letto poco, questa settimana (sono ancora dentro a Mister Impossible), ma sabato ho visto una meravigliosa intervista fatta da Lucy Lawless (sì, quella Lucy Lawless) ad Amanda Palmer e Neil Gaiman. Dirò una cosa un po' melensa: sono tanto contenta che quei due siano riusciti a gestire la crisi del loro matrimonio, perché mi sembravano una coppia matta e bellissima. Quindi rieccoli qua, a parlare di creatività insieme. L'intervista è davvero stupenda.
LUCY LAWLESS interviews NEIL GAIMAN & AMANDA PALMER — www.youtube.com May 15th, 2021 at the Auckland Writers Festival. Filmed live at the Aotea Center, Auckland.You can read more about this project - and see behind-the-scenes/b...
L'ultimo panel online del 2021 (?)
Non voglio più fare panel online, l'avevo detto, no? Ecco, questo probabilmente sarà l'ultimo. Ci siamo Arianna Ciccone e io che parliamo di femminismi, tanto per cambiare (almeno io), ma mi pare venuto particolarmente bene anche nell'interazione con il pubblico, quindi ecco il link.
La solita tiritera del femminismo e del patriarcato Incontro con la giornalista e scrittrice Giulia Blasi. Perché è necessario continuare a parlare della "solita tiritera"? Tassi di occupazione femminile fra i...
E per finire...
È uscita la line-up del Primavera Sound, e dopo due anni di stop mi sento prontissima a farmi dieci giorni a Barcellona, per godermi TUTTI MA TUTTI i concerti. Lo metto alla voce "edonismo ampiamente meritato".
Mi sa che è tutto.
G.