Giulia Blasi | Servizio a domicilio - E tu, cosa vuoi davvero?
Dilemmi esistenziali a partire da un podcast pazzesco, la solita manata di date, e una domanda a cui vorrei che rispondessi in maniera onesta.
Qualche giorno fa ho letto questa cosa su Twitter, scritta dalla mia amica Daniela. Mi è sembrata molto vera.
Lo so che mi lamento parecchio, e non sto per farlo di nuovo, giuro (so che sono una tassa). Perché è vero che mi lagno, ma è anche vero che io sto facendo esattamente la cosa che volevo fare quando ero bambina, e certo, è faticoso, e bisogna galoppare e a volte ti manca il tempo anche solo per pensare, ma le cose belle le ottieni solo facendo un po' di fatica. E io - che sono fondamentalmente pigra, ma pigra a livelli "Amico di Speedy Gonzales che lo vede passare correndo e non capisce 'ndo va quello" (se sei giovane e non hai capito la battuta, clicca qui) - accetto di dover fare fatica, almeno entro certi limiti, perché è una fatica bella, che dà dei frutti, che mi fa sentire viva.
Quello che dice Daniela è vero, però: siamo in burnout. Non è solo la società performativa, che sicuramente è un fattore determinante e che in condizioni normali basta e avanza: è anche che da due anni ormai viviamo in una condizione di ansia permanente. Sono in ansia i vaccinati, perché nonostante abbiano fatto tutto quello che dovevano e potevano fare continuano a vedere i casi impennarsi e sentono parlare di nuove restrizioni. Sono in ansia i no vax, perché diciamolo, fra quelli che sono diventati no vax dopo avere avuto problemi medici che hanno attribuito al vaccino (o averli visti insorgere nelle persone a loro care, e pazienza se legame eziologico non è provato: l'ansia ti viene uguale) e quelli che invece erano no vax da prima ma trovano sempre più difficile sostenere la loro posizione in un mondo che li tratta apertamente da scemi di guerra, nessuno sta bene. Stiamo tutti angosciati, per un motivo o per l'altro. E insomma, mentre aspettiamo invano che un governo qualsiasi si decida a considerare la salute mentale un bene primario, non possiamo che domandarci: ma io, co' 'sta vita, che ci devo fare? Ma veramente devo campare così, casa lavoro lavoro casa casa lavoro? Non è che almeno la parte "lavoro" può essere migliorata?
È una domanda molto da primo mondo industrializzato, un dilemma da classe lavoratrice istruita: la maggior parte delle persone che vivono nel mondo non possono permettersi di farsela. Chi vive in povertà difficilmente può decidere di mollare tutto e cambiare vita, e se prova a farlo spesso si trova bloccato fra un confine e l'altro a morire letteralmente di fame e freddo. Prendila quindi con le pinze e relativizzando il tutto alla società agiata in cui viviamo: troppa gente vive vite che non sono la sua. Nella maggior parte dei casi questo si risolve con una discreta infelicità, un po' di depressione, alcolismo sociale (se sembra che stia descrivendo il Friuli è perché in effetti sto descrivendo il Friuli, dove nei periodi peggiori invece dell'alcool ci si facevano direttamente le pere). A volte invece quella dissociazione fra quello che vuoi fare e quello che sei e senti di poter essere ti distrugge dentro, può portare anche alla violenza. In questi giorni sto a rota di La città dei vivi, il podcast di Nicola Lagioia basato sul libro omonimo e che parla dell'omicidio di Luca Varani per mano di Manuel Foffo e Marco Prato. "Uccidevano perché non erano quello che avrebbero voluto essere", si sente dire in apertura. E se da un lato è difficile ridurre una storia così complessa e inquietante a un solo fattore scatenante, è anche vero che entrambi gli assassini, in misura diversa, si sentivano costretti a vivere vite lontane da quella che avrebbero scelto per sé stessi se avessero potuto. In particolare, mi pare, Manuel Foffo, instradato dal padre verso un percorso universitario che non lo attirava per nulla e un lavoro d'ufficio nell'azienda di famiglia, protetto e viziato ma pure umiliato, paragonato al fratello - quello sì, bravo, capace, per il metro di giudizio della famiglia - e molto probabilmente sprovvisto della forza di carattere necessaria a dire no, non è quello che voglio. E forse (ma è un'ipotesi pure questa) anche di quella che serviva a sottrarsi al potere di seduzione di Marco Prato, che a distanza di sicurezza sembra essere la vera forza oscura della vicenda.
Tutta psicologia da poltrona, me ne rendo conto da sola. Ma mentre ascolto il podcast e mi addentro nella tenebra di questa storia, una tenebra che non è tanto vista quanto evocata perché impenetrabile e che nasconde mostri diversi per ogni persona che se la trova davanti, la cosa che torna e ritorna è proprio quella: il bivio, la scelta, andare in una direzione o l'altra, frequentare o meno una persona, vivere con maggiore o minore naturalezza i propri desideri e la propria identità, decidere di rispondere a una chiamata che pensi ti farà guadagnare dei soldi facili, e che invece ti porta dritto nell'appartamento in cui morirai. E ancora prima di quel bivio ce ne sono altri, decine, centinaia di biforcazioni in cui la tua vita, come un libro game, va da una parte o dall'altra: e neanche te ne accorgi, vai avanti senza domandarti mai se quella sia la direzione in cui vuoi andare o se sia quella in cui gli altri - la famiglia, la società, l'idea condivisa di successo e di benessere - vogliono che tu vada, se puoi scegliere, e se il prezzo da pagare per quella scelta ti sembra superiore o inferiore a quello che paghi per non scegliere mai davvero.
Insomma, tu cosa vuoi? Te lo sei mai domandato? Sei ancora in tempo per fare scelte diverse, o quantomeno per fare spazio nella tua vita ad alcune cose che vuoi fare, invece di occupare tutto con il dovere?
Ok, basta ansia
Sabato ho fatto la Brava Presentatrice (non molto brava, ma giuro che mi sono impegnata al massimo) al Premio Clara Sereni. Domenica ho spento una candelina e magnato il tartufo a Spoleto. Da questo venerdì inizia la lunga striscia di date consecutive di cui dicevo la settimana scorsa, e che riporto qui con qualche dettaglio in più.
20 novembre - Bologna, WomenXImpact. Il mio speech è stato spostato alle 12.00.
21 novembre - Pescara, FLA. Alle 12.00 presento Cose, spiegate bene. Questioni di un certo genere con Luca Sofri. Alle 19.30 invece - rullo di tamburi - si replica il reading di Brutta, in una versione leggermente diversa. Auditorium Cerulli, via Francesco Verrotti 42, I biglietti si trovano qui.
23 novembre - Milano, Università di Milano Bicocca, incontro dal titolo “Scrivere di femminismo e farsi capire da tutte”, introduce Silvia Vignato.
24 novembre - Settimo Torinese (TO), Teatro Garybaldi, ore 21.00. Incontro organizzato da Suoneria Settimo, "Ogni tre giorni" con Marco Ardemagni e Marina Senesi. Si prenota qui.
26 novembre - Roma, per un convegno all'Istituto Svizzero intitolato “The Future of Work”.
27 novembre - Cagliari, Pazza Idea, ore 20.00: incontro dal titolo "Io sono come mi rappresento. Corpi e parole nella contemporaneità", insieme a Vera Gheno, in conversazione con Ester Cois.
29 novembre - Casarsa della Delizia (PN), dettagli da confermare.
30 novembre - Trieste, 17.30, Libreria Lovat, presentazione di Brutta.
10 dicembre - Frascati (RM), libreria Ubik, presentazione di Brutta.
Domandone
Ho troppi libri. Nel senso che ogni settimana me ne mandano almeno quattro. Io ne leggo uno. Forse. Se ci riesco. Se non è lungo. Ora che sto ancora leggendo La torcia, non so quando riuscirò a iniziarne un altro. Di giorno non ho tempo per leggere, di sera francamente voglio smettere di fare le cose che devo e iniziare a fare le cose che voglio (vedi sopra), e quello che voglio NON È leggere saggistica, spiace, i saggi sono belli ma la narrativa è il mio vero amore.
Però madonna se mi arriva una montagna di libri fichissimi che vorrei in qualche modo rendere visibili. Insomma: se ogni tanto faccio un'edizione straordinaria in cui segnalo tutti i libri che mi passano per casa e che mi sembrano strepitosi anche solo sfogliandoli, fa brutto? È abuso di newsletter? O si può fare? Dimmi.
Per questa settimana è tutto. Stai bene, bevi molta acqua, mangia sano, fai esercizio, fai cose inutili al mondo ma utilissime per te e non dire parolacce, se no Aldo Cazzullo si offende.
Giulia