Giulia Blasi | Servizio a domicilio - Finalmente Eurovision
Questa settimana: pa pa papapa pa paaaa pa paaa, pa pa pa pa pa pa pa papapapapa! Più libri, serie, film.
Come stai? Ormai non so più da quanto tempo le notizie che arrivano dal mondo mi fanno sentire come se stessimo bloccati dentro le gallerie dell'Alta Velocità fra Firenze e Bologna. Due anni di Covid, poi la guerra in Ucraina, ora la Corte Suprema degli Stati Uniti che va verso la realizzazione di un progetto lungo decenni: i conservatori hanno avviato l'offensiva contro l'accesso all'aborto dal giorno in cui Roe v Wade è entrata in vigore. È stato un lavoro lungo, ma stanno per arrivarci: salvo sorprese, l'estate 2022 sarà quella in cui 25 Stati dell'Unione metteranno fuorilegge l'interruzione di gravidanza, per poi passare a ogni diritto che non abbia un precedente negli scritti di giuristi inglesi del '700. Vorrei inventarmelo, è tutto vero. L'ho spiegato meglio qui.
Così muore il diritto — www.lasvolta.it La Corte Suprema degli Stati Uniti starebbe per pubblicare una decisione che invaliderebbe Roe v Wade, la storica sentenza che tutela l’accesso all’aborto - Leggi adesso su La Svolta
Per questo sono molto felice che oggi inizi lo Eurovision Song Contest, che come Sanremo rappresenta un'oasi di felicità un po' trash nelle nostre vite tormentate dalla sensazione che tutto stia andando a gambe all'aria. Quest'anno le canzoni sono bruttine in maniera quasi aggressiva, con poche eccezioni (mi sono piaciute le proposte di Serbia e Georgia), e in mezzo ci sono i nostri diamonds of the season, Mahmood e Blanco, che difficilmente vinceranno ma ci faranno fare un figurone, e non solo perché il pezzo è nettamente il più bello in gara (ci voleva poco). Spero che sfondino all'estero, del resto per Mahmood non è la prima volta: Soldi è tuttora la più ascoltata fra le canzoni che non hanno vinto il concorso. L'ESC è un Sanremo queer senza gli inutili siparietti, tutto fischiabotti, popstar scosciate e inni all'accettazione di sé. Quest'anno i fischiabotti arrivano su Rai1 per ben tre serate. Cosa chiedere di più?
In questi giorni sono anche particolarmente contenta di essere abbonata a Il Post, perché sull'app c'è Il prevedibile podcast del Post sull'Eurovision Song Contest. Una roba talmente esilarante che è facile trovarmi che cammino in giro per il quartiere ridendo da sola.
Sigla!
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Una presentazione
Sono sempre stata una procrastinatrice di primissima categoria: procrastinavo a scuola, procrastinavo nella vita, procrastinavo un tempo e procrastino ora, quindi mi trovo sempre a fare le cose all'ultimo. Oggi alle 17.30 presento Sam è tornato nei boschi di Maria Marchese alla Libreria Europea di Roma, e ovviamente l'ho letto l'altroieri. Però l'ho letto tutto, o quasi tutto, in due ore, lasciando solo il finale per ultimo: un po' per affrontare meglio il senso di inquietudine che stavo provando nella lettura, e un po' per godermi di più la chiusura della storia. Sam è tornato nei boschi è ambientato a Barcellona all'inizio della pandemia, e in questo si distingue dalla maggior parte dei romanzi che ho letto ultimamente: il virus è parte della storia, anche se non la determina se non in dettagli secondari. Manco da Barcellona da due anni - quelli dell'epidemia, appunto - e sentirla raccontata attraverso gli occhi di Serena, la protagonista, ha aggravato il senso di nostalgia. Il Sam del titolo è un giovane senza fissa dimora, che finisce quasi per caso a vivere con Serena, italiana all'estero che vive affittando parti del suo appartamento e che prova a dargli una casa e una relazione stabile. Serena è la voce portante della storia, ma è la vicenda di Sam (narrata in un blog) a fornire la chiave interpretativa del romanzo, che è contemporaneamente una critica al concetto di "stabilità" borghese e al prezzo che esige per essere mantenuta. Non guasta che l'autrice - vincitrice del Premio Clara Sereni - sia di una simpatia travolgente e abbia molto da dire su quello che consideriamo "normale".
Piovuti sulla mia scrivania
Questa settimana è arrivato, finalmente, La signorina Nessuno di Giorgia Soleri (Vallardi), che sono appena riuscita a sbirciare. Devo dire che in un panorama letterario in cui la prosa arranca e per una figura nota il memoir e il roman à clef sono una scommessa ben più sicura, la scelta di Soleri di pubblicare una raccolta di poesie è un atto di coraggio (che per ora sta pagando: il libro è andato in ristampa entro 24 ore). Sono poesie che raccontano pezzi di vita, amore, erotismo, dolore, perdita, corpo sofferente. Le copie autografate sul sito di Tlon risultano esaurite, ma puoi ordinarlo uguale, immagino. Io mi tengo stretta la mia dedica personale, che mi ha fatto un gran piacere.
È arrivato anche Specchio delle mie brame di Maura Gancitano (Einaudi), che è la sorella seria di Brutta, nel senso che dice le stesse cose, in maniera ordinata e senza fare battute a base di cazzo magico, su pressione estetica, terrore della bruttezza e dell'invecchiamento, grassofobia e miti sulla femminilità. Sono molto felice che questo argomento si stia moltiplicando e popolarizzando, perché la body positivity che ci viene venduta dal capitalismo è rapidamente diventata un nuovo imperativo a cui adeguarsi comprando cose, sempre più cose.
Sto finalmente leggendo
Il mostruoso femminile è UNA BOMBA ATOMICA, e se lo dico io che con i saggi ho un rapporto difficile (il che fa piuttosto ridere, avendone scritti due negli ultimi quattro anni) ci puoi credere. È un viaggio pazzesco fra storia e cultura pop alla scoperta di tutti i modi in cui le donne sono state mostrificate dal patriarcato. Difficile spiegarlo senza banalizzarlo: davvero, vale la pena di leggerlo.
Sto vedendo
È un po' che non guardo niente di notevole, anche se di roba che mi attira ce n'è moltissima: ho scoperto che è uscita la seconda stagione di Undone, che non pensavo potesse averne una, ma sono anche incuriosita da Slow Horses, perché poche cose mi divertono come gli inglesi che fanno il comedrama. Domenica sera abbiamo iniziato Bang Bang Baby (Prime Video), che pur non essendo perfetta è sicuramente abbastanza insolita e audace da trattenerci. Per riassumere, è Euphoria con la 'ndrangheta milanese degli anni '80: regia mattissima, protagonista adolescente intensa e problematica, stereotipi sulle famiglie calabresi a manate che però sono pure un po' veri (almeno per quello che ricordo del ramo castruveddano della mia famiglia paterna), provincia lombarda depressa, killer in fissa con George Michael e capelli cotonati. Per ora è un sì.
Abbiamo anche recuperato America Latina dei fratelli D'Innocenzo, dei quali non sono mai stata una grande fan perché non amo molto la regia manierata, "artistica", che non risponda a una reale esigenza narrativa (esattamente come non amo i romanzi in cui la lingua utilizzata dallo scrittore non somiglia alla storia che sta raccontando, e ce ne sono parecchi, là fuori, soprattutto fra gli autori italiani). In quest'ultimo film, le inquadrature innaturali, le luci sparate, i costumi, i dettagli poco realistici, tutto ha un senso nella storia. Il film, un thriller psicologico girato come un horror, è un cerchio che si chiude pur senza dare grandi spiegazioni. Non è un film didascalico, la trama è quasi inesistente, molte dinamiche rimangono oscure e non vengono mai portate alla luce, ma è un film coerente nel suo rimanere fisso, in maniera implacabile, su una sola prospettiva: e la prospettiva unica non può che essere incompleta.
Di sicuro mi dimentico qualcosa, ma è ora di andare. Ci sentiamo martedì prossimo.
Giulia