Giulia Blasi | Servizio a domicilio - Il dibattito stronzo
La newsletter di oggi non è adatta ai bambini o a chi è sensibile alle parolacce. Metto anche il mio primo TW: si parla di stupro.
Cominciamo dal fondo. Ieri sera, a newsletter abbondantemente chiusa, mi scrive Arianna Ciccone per chiedermi se voglio buttare giù qualcosa sull'orrendo video di Beppe Grillo a difesa del figlio accusato di stupro. L'ho scritto un po' in trance dopo cena, lo trovate su Valigia Blu.
C'è una cosa che ho lasciato fuori dall'articolo perché spero sia superata in fretta dagli eventi, ed è che la reazione ufficiale del PD a questo episodio non depone a favore delle intenzioni dichiarate dal partito riguardo il nuovo corso sui diritti delle donne. Un tweet dei Deputati PD e un RT di Peppe Provenzano sono un po' poco, per una cosa così enorme. Do better, PD.
Il video di Grillo spiega bene la paura delle donne di denunciare – Valigia Blu — www.valigiablu.it
Il dibattito stronzo
Il dibattito sul DDL Zan e sulle varie forme di razzismo e discriminazione si sta svolgendo nel modo che ci potevamo aspettare, dato il clima culturale del paese e la tendenza a dare spazio alle opinioni più offensive possibile nel nome del "contraddittorio", come se chi parla di diritti (propri o altrui) stesse sullo stesso piano di gente il cui contributo alla discussione è pari a quello di un umarell ai cantieri, mani dietro la schiena e "Eh, ma la lotta mica si fa così". Per non parlare di chi è proprio trasparente nel dire che certa gente non dovrebbe esistere, dovrebbe sparire, via, puff. In generale sono le stesse persone che poi si lamentano della "cancel culture", che evidentemente va benissimo se a sparire è chi di spazio ne ha già poco o niente. Perché la questione è sempre l'egemonia culturale, politica ed economica, e chi ce l'ha mica la cede volentieri.
Essere stronz* nel dibattito pubblico è l'opzione a più basso dispendio di energie. Non devi dire niente, almeno, non niente di strutturato: ti basta inseguire l'argomento del giorno ed essere stronz* all'indirizzo di chi ne parla, non entrare mai nel merito ma ridicolizzare l'idea stessa di un dibattito intorno a un tema, le modalità con cui viene condotto dalla parte più progressista, o entrambe le cose. Non ti devi informare, non devi studiare, non devi ascoltare, basta sparare qualche stronzata (sempre le stesse, si possono riciclare: mica devono avere senso, l'importante è che siano provocatorie) e sei a posto. Se poi sei abbastanza feroce da essere materiale da talk show è fatta: i talk show hanno fame di nuove voci stronze da contrapporre a chi ha delle cose da dire. (Ne avevo parlato tempo fa in un pezzo che usava Vittorio Sgarbi come pretesto per spiegare un meccanismo base della comunicazione televisiva stronza.)
Una posizione stronza che ho visto circolare spesso negli ultimi giorni è la seguente: che al lavoratore non qualificato (magazziniere, bracciante, badante, ecc.) appartenente a una categoria discriminata non interessano i discorsi sulla discriminazione, roba per fighetti che non hanno altro a cui pensare. Una posizione stronza, anzi stronzissima, per diversi motivi. Il primo è che non c'è nessuna contrapposizione fra essere un bracciante e avere una coscienza politica: Soumaila Sacko, per fare solo un esempio, era un bracciante e un sindacalista, Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson, leader e iniziatrici dei moti di Stonewall e fondatrici del movimento STAR (Street Transvestite Action Revolutionaries, clicca qui per la fanzine di Edizioni Minoritarie dedicata a loro), erano due donne trans poverissime. La storia dei diritti sociali è stata fatta anche e soprattutto da chi si trovava a vivere una condizione di svantaggio, la conosceva di prima mano e aveva la capacità di organizzare la sua comunità. L'idea che il povero non abbia coscienza della discriminazione a cui è soggetto è frutto di un'interpretazione rigida della piramide dei bisogni di Maslow, in cui le necessità primarie annullano tutti i bisogni di affermazione del sé, per cui se hai fame ti dimentichi di essere una persona con desideri e aspirazioni. È un'idea - e come te sbaji - profondamente razzista, paternalista e classista, perché riduce intere categorie di persone a un monoblocco di pensiero, anzi, di bisogni insoddisfatti.
Il secondo motivo per cui questa è un'idea stronza è che presume che i diritti riguardino solo chi ne ha coscienza e li desidera, e che in assenza di un'unanimità di consenso sul tema i diritti siano capricci o velleità del momento. La legge 194 che regola l'interruzione di gravidanza fu scritta, votata e introdotta anche se all'epoca esistevano moltissime donne che non solo non erano a favore dell'aborto per sé, ma avrebbero volentieri impedito anche alle altre di abortire: molte di quelle abortirono poi facendo ricorso a quella legge, così come ci fu chi divorziò anche se al referendum abrogativo aveva votato "sì". La legge non impone di abortire o divorziare, lo rende possibile a chi vuole farlo. Serviva - e serve tuttora - a tutelare chi vuole usufruire di un diritto, anche se fino a quel punto non pensava di averne bisogno.
Poi certo, la teoria sui diritti di solito viene fatta da chi ha gli strumenti per costruire ragionamenti complessi e comprensibili, cosa che non ha tanto a che vedere con l'intelligenza quanto con l'istruzione, ma che è cruciale per fare in modo che le idee circolino e si costruisca una sensibilità su temi ancora poco discussi. Sto leggendo in questi giorni Educated di Tara Westover (in Italia è uscito per Feltrinelli con il titolo L'educazione), in cui uno dei temi centrali è proprio la scarsa scolarizzazione e la manipolazione del sapere: Tara e i suoi fratelli e sorelle, isolati dal mondo da un padre fanatico religioso e fissato con le teorie della cospirazione, non hanno gli strumenti (almeno all'inizio) per accedere all'istruzione superiore, e questo li condannerebbe a rimanere inchiodati alla vita scelta per loro dai genitori. Alcuni di loro, inclusa l'autrice, ce la fanno perché riescono a sfruttare la loro intelligenza per rimediare alle carenze di una formazione scolastica approssimativa e lacunosa. Il lavoro culturale è lavoro anche perché - come qualsiasi lavoro - deriva dallo studio: non solo dei concetti, ma anche di come presentarli, metterli in relazione e renderli comprensibili. Scrivere cose che si capiscano non è questione di culo o di cosa scegli di comunicare, è questione di conoscere la materia e il proprio pubblico, far filare i ragionamenti, minimizzare le possibilità di interpretazione errata, trovare il tono di voce e il linguaggio giusti.
Una conoscenza che si può usare anche per essere stronz*. Questione di scelte.
Altro?
No! Ho avuto un sacco da fare (seminari da preparare, slide da scrivere, ho addirittura fatto una trasferta lavorativa). Però ieri è uscito un episodio del podcast di Adil Mauro in cui parlo a braccio di lotte femministe. Qua ci sono tutti i link.
S03E13 - Le lotte femministe tra media, politica e uomini - Giulia Blasi - La stanza di Adil | Podcast on Spotify — open.spotify.com Listen to this episode from La stanza di Adil on Spotify. Dalla violenza contro le donne alle dirette Instagram #votofemminista, passando per il pamphlet di Pauline Harmange e il ruolo degli uomini... Conversazione con la scrittrice Giulia Blasi.
Vorrei provare a rendere la newsletter un appuntamento più regolare, ma so che non ci riuscirò: dalla settimana prossima riprendo a insegnare, e anche se la cosa mi fa molto felice (in aula! Con delle facce davanti! Dopo un anno di DAD!) so già che avrò un periodo di grande affaticamento. Mi impegno comunque a mandarla con una frequenza maggiore, ok?
Alla prossima,
Giulia