Giulia Blasi | Servizio a domicilio - Lavoratori dell'intelletto, uniamoci
Questa settimana: freddo, podcast e camminare, sulla scuola in tempo di Covid, un manifesto molto personale sul compenso per il lavoro intellettuale e tante altre cose.
Intanto: scusa per il ritardo, la newsletter era pronta l'altroieri ma ieri Revue ha pensato bene di rompersi, e i loro tempi biblici di risoluzione problemi mi hanno costretta a farla slittare. Comunque.
Fa. Un. Freddo. Cagnone.
Questo è buono! Perché è gennaio! E ogni anno, a gennaio, quando fa un freddo cagnone, io comincio a pensare che questo è l'ultimo freddo cagnone. Fra poche settimane comincerò a vedere le giornate che si allungano, un minuto per volta. Poi si alzeranno le temperature, un grado per volta. Torneremo a poterci fare le birrette all'aperto. E anche questo inverno finirà.
Per ora faccio così: cammino. Ogni volta che il tempo mi sembra clemente, mi metto le scarpe e le cuffie e un podcast (ho cominciato adesso, in ritardo di anni, Veleno) ed esco. Cammino per un'oretta, ho il mio percorso, dal Pigneto a Villa De Sanctis passando per la salita di via Formia e la zona delle villette, sognando di avere i soldi per comprarne una e vivere lì, in quelle case a un piano solo con il giardino intorno e il cielo sopra. Per Natale ho ricevuto un fitness tracker, uno di quei braccialetti che ti misurano la pressione e tengono traccia di tutte le tue statistiche vitali, e come tutte le Brave Bambine che hanno bisogno di sentirsi dire che sono brave, ho investito il fitness tracker del compito di incoraggiarmi quando mi muovo con regolarità e di preoccuparsi per me se non dormo bene. Vabbe', non è che si preoccupi, si limita a contarmi i passi e a dirmi che il mio livello di sonno profondo è "Basso", per il resto mi devo arrangiare, ma insomma, ci siamo capiti. Del resto, il mio modo di interagire con le intelligenze artificiali è dire "Siri, per favore mi segni a calendario questa data? Grazie."
Sulle scuole in tempo di Covid
È tutto sbagliato. È sbagliato mandare i ragazzi a scuola, perché Omicron è contagiosissima e immunoevasiva, e temo che nelle prossime settimane la riapertura delle scuole farà aumentare di molto le ospedalizzazioni, sia fra i ragazzini che fra i loro familiari. È sbagliato anche tenerli a casa, perché nessuno è in grado di reggere la DAD, né gli insegnanti (che non sono in grado di farla: lo dico avendo alle spalle due anni di insegnamento a distanza in cui mi sono sbattuta per tenere tutti svegli, ma il crollo del rendimento è stato evidentissimo) né gli studenti. È tutto sbagliato, perché non si è fatta l'unica cosa che andava fatta: cominciare a lavorare subito per mettere in sicurezza le scuole con purificatori d'aria, e in generale investire sull'edilizia scolastica. Ora il Ministero dell'Istruzione si impunta sul rientro in classe perché ammettere di aver sbagliato è troppo difficile e pure costoso, in termini di astensione dal lavoro che andrebbe altrimenti pagata. Sul piatto c'erano la salute fisica e quella mentale: si è scelta quella mentale, ma solo in apparenza. Bravi, eh. Ben fatto. Datevi delle pacche sulle spalle, poi sedetevi su un banco a rotelle, rullate gentilmente fino al molo più vicino, e buttatevi a mare.
Lavoratori dell'intelletto, uniamoci
Non serve scomodare Bianciardi, o l'antica tradizione del mecenatismo: il problema del compenso per il lavoro intellettuale è da sempre piuttosto spinosa. Per dirla brutta, se il tuo lavoro ha a che vedere con l'espressione (artistica, ideativa o entrambe le cose) si dà per scontato che tu lo faccia gratis, anzi, che tu lo faccia volentieri. Per la visibilità, per una causa, per gli altri. C'è gente che addirittura si offende, se per fare il tuo lavoro - perché scrivere è un lavoro, ideare cose è un lavoro, mettiamolo in chiaro - chiedi dei soldi. Come osi farti pagare per una cosa che ti costa tempo, fatica e pensiero? Per una cosa che hai impiegato anni a imparare a fare e che hai studiato per saper fare?
Fermo restando che Marx non ha mai detto che i lavoratori non debbano essere pagati, ho deciso di mettere dei paletti. Non pretendo che siano universali, c'è chi si regola in altri modi ed è una scelta individuale. Ci sarà sempre una parte consistente di cose che farò gratis, nello spirito del dono e della condivisione o semplicemente perché mi va; e ci sono altre cose che semplicemente non faccio. Per il resto, questo è il grosso delle regole d'ingaggio, maturate a valle di diverse esperienze spiacevoli, qualcuna anche recente (non si finisce mai di imparare):
Se il mio lavoro è inserito in un progetto o in un oggetto che vendi e su cui fai profitto (in termini di soldi, di ritorno d'immagine o di acquisizione di pubblico), mi paghi
Se sei una testata, mi paghi
Se non sei una testata ma ti comporti come se lo fossi, mi paghi
Se mi chiami a partecipare a un evento per cui vendi dei biglietti, mi paghi
Se mi devo preparare slide o materiali, mi paghi
Se non mi paghi e io decido comunque di partecipare (a mia discrezione), mi copri le spese
Se sei un'azienda, mi paghi
Se sei una fondazione prestigiosa, mi paghi
Se sei un'amministrazione comunale e hai dei fondi da spendere, mi paghi.
La settimana prossima parliamo anche di quanto farci pagare (non c'è una misura unica, ma ci sono modi per capirlo). Non è una questione da poco. Intanto però, se anche tu lavori nell'industria culturale e hai problemi a capire come e quando è il caso di chiedere dei soldi, puoi usare questi punti fermi come riferimento. Oppure no. L'importante è che si cominci a fare cartello su un principio: se lavori gratis, stai regalando qualcosa. A volte è un regalo che è importante e giusto fare, e a volte (molto più spesso) stai regalando soldi e tempo a qualcuno che se ne approfitta.
Brutale? Forse. O forse ci sembra brutale perché parlare di soldi è considerato déclassé, dato che i ricchi non ne parlano? (E grazie tante che non ne parlano: sono ricchi.) Io non credo che i soldi siano una misura del valore delle persone, e nemmeno del valore effettivo del lavoro delle persone. Ma non sono nemmeno così ingenua da pensare che ergerci costantemente sopra le considerazioni economiche faccia di noi persone migliori. L'unica cosa che succede è che i soldi che noi non chiediamo per pudore finiscono nelle tasche di qualcun altro. Hell no. Liberiamoci di questo cattolicesimo professionale: il nostro lavoro ha un valore, e quel valore deve essere riconosciuto.
Sto guardando
The Witcher, che è proprio il genere di intrattenimento scemissimo che mi serve ora come ora. The Witcher è una serie da cervello spento: spadoni! Mostroni! Dragoni! Magia! Henry Cavill che grugnisce! Una ragazzina che vuole diventare una guerriera! Geopolitica spicciola! Mazzate! Ahhhh. Contemporaneamente, stiamo anche giocando a The Last of Us II (stiamo = uno gioca, l'altra dice "Vai qua! Fai questo! Occhio a quello!"), che è molto bello e molto splatter e molto triste. Ho preso il controller in mano solo una volta, ho seccato tre zombie con il fucile a distanza e ho ridato il controller al gamer titolare con una certa soddisfazione. Adesso però ho voglia di iniziare un gioco in cui sono io a manovrare i personaggi, quindi si può dire che gli zombie siano la mia gateway drug.
E per finire
Ieri sono stata alla Casa Internazionale delle Donne per partecipare a un incontro con Cecilia D'Elia, candidata alle suppletive per il collegio Roma 1. Sono elezioni parlamentari (quindi importantissime) ma se ne parla poco perché riguardano solo un collegio della città. Le abbiamo consegnato le nostre parole per il futuro. La mia è "educazione".
Cecilia D'Elia - Diretta dell’incontro “Femminismi,... — www.facebook.com Diretta dell’incontro “Femminismi, politiche e futuro” dalla Casa Internazionale delle Donne. Partecipano Giulia Blasi, Susanna Camusso, Maura...
Quanta roba, eh? Ci risentiamo martedì.
Giulia