Giulia Blasi | Servizio a domicilio - Le cose davvero importanti
Questa settimana se n'è andato Tuono Pettinato, e tutti stanno scrivendo cose bellissime quanto lo era lui. Anche: cosa ci dice (e non ci dice) il beef Masneri-Fogazzi.
Stavo facendo gli esami scritti ai miei studenti, e mi è cascato l'occhio su Twitter. È così che ho saputo che era morto Tuono Pettinato, e chissà se il sibilo del mio respiro sgomento si sarà sentito. Andrea - l'hanno detto tutti, lo dico anche io - era una persona deliziosa. In un mondo pieno di timidi che per difesa diventano arroganti, lui era timido e gentile, pieno di grazia, simpaticissimo. Era impossibile non volergli bene all'istante. Così impossibile che quando con quella banda di matti che avevo conosciuto al Comicon ci venne l'idea di fare dei premi finti tanto per ridere e chiamarli Gran Diamigi, a un certo punto (se la memoria non mi inganna) qualcuno fece la battuta: "Facciamo il premio per il Miglior Cattivo e diamolo a Tuono Pettinato" e tutti giù a ridere, perché non serviva certo spiegarla.
Aveva quarantaquattro anni, era un genio vero, leggete i suoi libri. Sarà bruttissimo tornare al Comicon o a qualsiasi altra fiera del fumetto e sapere che nel mondo non c'è più Tuono Pettinato, uno che anche quando non lo vedi è bello sapere che esiste.
Parliamo d'altro, va'.
Ho una bolla social abbastanza affidabile, che a volte mi mostra cose a cui non avevo mai pensato, ma che di rado dice cose che mi trovano in totale disaccordo (con qualche eccezione, perché alla gente si vuole bene anche quando non sei 100% sulla stessa lunghezza d'onda). Poi Michele Masneri si è appiccicato con L'Estetista Cinica, con risultati disastrosi (per lui), e io per la prima volta dopo molto tempo mi sono sentita in minoranza.
Mi spiego.
Ammetto di essere un po' invidiosa di Michele Masneri che scopre le shitstorm alla sua veneranda età (ho dovuto cercare su Google: è del 1974, ha due anni meno di me). Per riassumere, Masneri ha scritto un pezzo sull'inaugurazione della mostra di Damien Hirst, inaugurazione a cui ha partecipato anche Cristina Fogazzi, imprenditrice nota come "Estetista Cinica". Fogazzi si è costruita un impero anche usando con abilità i social media, e non è questa la sede per spiegare come, ma sì, è molto seguita: e non c'è una dissociazione fra lei e il suo brand. Lei è il brand, e questo non rappresenta certo una novità: l'unica cosa relativamente nuova è che chi la segue può interagire con lei direttamente, cosa che in molti casi finisce per cementare un rapporto di identificazione che rasenta l'idolatria, e si sa che i fan non sono le persone più ragionevoli del mondo. Sta di fatto che lei si offende per alcune cose che Masneri ha scritto nel pezzo, e invece di lasciar correre fa delle stories per commentarle. Masneri passa 24 ore antipatiche, passate le quali scrive venticinquemila battute sul Foglio, con tanto di foto della Cinica in mezzo. Aggiunge che non era convinto, ma che l'hanno persuaso dell'importanza dell'argomento.
Quando scoppia il merdone io sono fuori casa da giorni, a fare cose di lavoro (o a ubriacarmi post-cose di lavoro con gente che non capisco perché non ho conosciuto prima, o non frequento più spesso) e quindi mi perdo il pezzo originale, ma penso subito che se il tono era quello delle venticinquemila (VENTICINQUEMILAAAAA) battute di follow-up, forse Fogazzi tutti i torti non li aveva. Me lo leggo sul treno che torna da Torino: il paragrafo dedicato a Fogazzi la chiama "installazione site-specific" e sfotte lei e le sue clienti, colpevoli di seguire le sue stories dalla mostra di Hirst "fra un fango e una crema anticellulite". Che Masneri ne sia consapevole o meno, la puzza di maschilismo e pregiudizio è indiscutibile e capisco perché Fogazzi (e le sue clienti-follower-fan) si siano innervosite.
Le shitstorm sono - per esperienza personale e di prossimità - una merda che non auguro a nessuno, quindi neanche a Masneri, che però non si è curato moltissimo di trattare Fogazzi come una persona: l'ha liquidata in poche righe come personaggio, simbolo di una deriva contemporanea che lo lascia quantomeno perplesso, "influencer" di poco spessore, rappresentante dei "social" (che due righe sopra sono citati solo per dire che si stava meglio quando non c'erano, in sintesi), e per fortuna che la conosceva e gli stava simpatica, se no chissà che avrebbe scritto. Un minimo di autocritica ci starebbe, ma perché fare autocritica, quando si può gridare all'aggressione gratuita e immotivata e lamentarsi (non del tutto a torto, glielo concedo) della sproporzione di potere? E soprattutto: che problema c'è se un museo decide di affidarsi a una persona molto seguita per pubblicizzare una mostra? Abbiamo forse paura che quelle creature dal nome buffo che la seguono vadano a vedere Damien Hirst?
Aneddoto personale: come qualsiasi donna che vive in rete da un po', di shitstorm ne ho subite una certa quantità. Qualcuna è stata memorabile, tipo quella istigata da Emis Killa, offeso da un mio pezzo un po' ironico su una sua canzone. Il pezzo, specifico, non lo attaccava a livello personale. Lui disse che al massimo potevo "recensire borse in ecopelle" e chiese a chi lo seguiva di dirmene quattro. I fan mi insultarono per giorni in modi che Masneri, penso, non sarà mai costretto a subire. Mi lamentai con venticinquemila battute su un quotidiano? No, perché non scrivevo sui quotidiani e perché non mi è mai passato per la testa che GQ (dove era ospitato il blog da cui era partito tutto il casino) potesse avere interesse per le mie dolenti riflessioni su cosa significa mettersi inavvertitamente contro un astro della scena rap, che peraltro non si prese mai il disturbo di parlare con me, né prima né dopo. Altre volte, a menare furono gli utenti residui di Second Life (questo "residui" potrebbe valermi un'altra shitstorm), i fan di Madonna o quelli di Noel Gallagher. Credo a un certo punto di aver scritto qualcosa su Tumblr, in proposito. Non così Masneri, che da non del tutto convinto finisce per prendersi comunque una pagina intera per parlare di "dittatura dello screenshot" (prego?) suggerisce che il problema sia principalmente l'abuso di influenza agito da Fogazzi, collegato a una deriva culturale e sociale in cui - OVVOVE - i social sono usati come canale di autopromozione e costruzione del consenso personale. Ne consegue che di una persona meno famosa e meno seguita si possa dire qualsiasi cosa senza che la sua reazione ti faccia sbranare in pubblico, e che quell'accondiscendenza fra il maschilismo e il classismo non sia un problema in sé, ma lo diventi solo quando colpisce una persona che può reagire (in maniera più o meno corretta) e causarti dei guai.
Sarebbe bello se il pezzo di Masneri aprisse una discussione seria sui toni che usiamo sui social e non, sulla responsabilità di chi è molto seguito ma anche di chi scrive sui giornali, e su come i social possano rovinarti non una giornata, ma direttamente la vita, magari uscendo dal proprio particolare per esplorare un problema ben più vasto. Perché se Masneri di sicuro ha vissuto una brutta giornata, la durata e intensità dell'attacco a lui non è minimamente paragonabile a quello che vivono da sempre le donne che usano i social per comunicare contenuti politici. Nel mese del Pride in corso, molte attiviste LGBTQ si stanno vedendo bloccare o sospendere i profili in seguito a segnalazioni di massa coordinate e finalizzate a contrastare ogni discorso costruttivo sui temi cari a quella comunità. Molte femministe vivono da anni sotto attacchi troll costanti e coordinati. Io stessa, che comunque campo molto più serena della media, a periodi mi becco raffiche di insulti anonimi da gente che apre profili apposta. Questo non succede per ventiquattr'ore ogni morte di papa: succede sempre. E ripeto, la mia esperienza è relativamente light. C'è gente che per continuare a usare i suoi spazi non può più aprire le richieste di DM su Instagram. Gente che è costretta a scegliere: usare i social - spesso unico canale di comunicazione, in un panorama mediatico che non è esattamente ricettivo verso le voci giovani e non conservatrici - o rinunciare. Sottrarsi. Tacere, insomma, che è l'obiettivo di chi ti attacca con costanza: distruggerti e farti sparire.
Michele Masneri non è sparito, vive e lotta insiem... vabbe', scrive ancora, com'è giusto. Forse questa newsletter lo offenderà un pochino, o la troverà ridicola e ne farà degli screenshot, forse mi risponderà in pubblico lasciando che chi condivide il suo pensiero mi insulti a livello personale (mi pare fra gli intellettuali che stima ci sia gente che lo fa d'abitudine, del resto: si vede che ci sono bulli che vanno male e bulli che vanno bene, a seconda di quanto sono amici tuoi) o forse no, perché è una newsletter personale, non un paginone sul Foglio. Però chi lo ha lodato in questi giorni, anche persone serie e che stimo, dovrebbe farsi due domande non tanto sul pericolo di far incazzare la gente potente sui social, quanto sull'opportunità di riesaminare come parliamo delle persone che pensiamo di poter sfottere a man salva, finché non ci accorgiamo che non è così. E contemporaneamente su come ci siano persone per cui il breve e sorprendente disagio psicologico che Masneri riporta non sia né breve né sorprendente, ma sia la quotidianità, il prezzo che pagano per continuare a esistere in pubblico. Un prezzo che non occupa spazio sui quotidiani, ma che esiste e spesso scoraggia le persone dal prendere parola e posizione su questioni ben più vitali di un vernissage.
E anche questa settimana...
Si riparte, ma la trasferta è più breve di quella della settimana scorsa (che è stata davvero massacrante, per quanto ricca di soddisfazioni. Qui intanto c'è una foto della chiacchierata fra me e la rappresentanza di Fridays for Future Torino a Mind the Gap, l'evento organizzato (divinamente) da OffTopic. A proposito: se oltre alla musica e alla cultura vi interessa anche mangiare e bere, OffTopic ha un menu notevolissimo per varietà e qualità. No, non mi hanno pagato, è che mi piace parlare bene della gente che lavora bene.
Il 18 giugno invece vado ad Alba, per un incontro organizzato da FuturAlba che ricompone la grande coppia comica Blasi-Gasparrini. Manco a farlo apposta, partiamo all'alba del venerdì.
So' du' etti e mezzo, che faccio, lascio?
Giulia