Giulia Blasi | Servizio a domicilio - Maschiocentrismi
Questa settimana: no, Meloni non si è fatta da sola; un paio di podcast, una serie, due film e due eventi a cui partecipo.
Dovrei lavorare all'editing della Cosa Nuova che esce a marzo, e sulla quale sto creando la necessaria suspense perché ormai il marketing è tutto e con la qualità ci facciamo un uso analogo a quello della Carta Camomilla. Per farla breve, sono stanca e non ho voglia: avrei dovuto lavorarci nei due viaggi in treno per andare a Valdagno a presentare Brutta in quella che era in effetti l'ultima tappa di un tour durato un anno (e che sarebbe durato di più, se non avessi cominciato a dire dei no), e invece ho usato entrambi i viaggi per ascoltare dei podcast.
Il primo lo consiglierei a chi insegna alle superiori per fare un ripassone di storia patria, in particolare le puntate sul Ventennio fascista. Sto parlando di Qui si fa l'Italia, una serie molto bella ideata e realizzata da Lorenzo Baravalle e Lorenzo Pregliasco che penso raccomanderò anche ai miei studenti, quando inizieremo l'anno accademico. Il caveat qui è che la versione della storia raccontata è quella molto maschiocentrica che conosciamo, in cui le donne sembra non esistano neanche quando sono protagoniste degli episodi narrati: quando si parla dell'attentato di via Rasella, in cui Carla Capponi e diverse altre donne furono al centro dell'azione, le partigiane non vengono mai menzionate. Così come Teresa Noce e Nilde Iotti vengono nominate solo in relazione alle loro vicissitudini coniugali, una come ex moglie di Luigi Longo e una come compagna di Togliatti, e soltanto per illustrare l'ipocrisia dei comunisti italiani riguardo al divorzio. Chissà quante altre sono sparite, perché di queste so, di altre no: l'unica a a rivestire un ruolo di primo piano in una delle vicende narrate è Tina Anselmi, nell'episodio sulla P2.
Detto questo, è un podcast fatto benissimo e che aiuta molto a comunicare la visione d'insieme di una storia che altrimenti sfugge ai programmi scolastici, e della quale si sa veramente poco.
Il secondo è Ex Voto, il godibilissimo podcast di Marco Damilano sulle elezioni politiche dall'origine della Repubblica a oggi, che capisco che interessi principalmente a chi come me è impallinato dell'argomento, ma che fornisce degli spunti molto interessanti e rilevanti per la lettura del presente. Fra gli episodi più recenti ce n'è una serie nella serie dedicata alle accoppiate di politici protagonisti dell'ultimo ciclo elettorale. E qui veniamo al punto che mi interessa sviscerare questa settimana.
Il punto
L'episodio di Ex Voto dedicato a Gianni Letta e Giorgia Meloni non è interessante solo per la sua rilevanza nella cronaca recente. Al di là delle differenze nella storia personale, Letta e Meloni sono uniti da una caratteristica che accomuna letteralmente qualsiasi politico di carriera dall'inizio della storia repubblicana: la loro ascesa è iniziata grazie alla cooptazione, unico vero ascensore sociale all'interno dei palazzi del potere. Nel caso di Meloni, il mentore fu Gianfranco Fini.
Quindi, se da un lato è vero che questo vale per chiunque, e che la cooptazione è l'unico modo per accedere a ruoli, nomine e incarichi di prestigio, è anche vero che questo dettaglio fa crollare tutto l'impianto della narrazione costruita intorno a Giorgia Meloni come donna che si è fatta da sola, leader carismatica capace di aggregare intorno a sé il consenso. Meloni viene dalla militanza di destra, è vero: ma senza il consenso, l'assenso e l'aiuto degli uomini di potere, nemmeno questa donna sarebbe riuscita a farsi strada nell'ambito politico.
In questi giorni di direzione PD che ho deciso di non seguire per pura autodifesa, tanta è la convinzione che non cambierà assolutamente nulla, quell'episodio mi ha ricordato che le cupole di maschi potenti e prepotenti sono dappertutto e decidono tutto. Meloni ora si trova nella posizione - davvero unica, per una donna - di essere lei quella che può a sua volta cooptare. Dovrà vedersela prima di tutto con quelle cupole, che finora l'hanno lasciata correre perché non li intralciava, ma che le si rivolteranno contro alla prima occasione, perché la loro complicità nel restare attaccati al potere è il cemento della politica. Non sarà mai una di loro, non davvero, non fino in fondo.
Ho visto
Per una volta, non solo serie TV. Mi sono fumata l'ultima stagione di Derry Girls su Netflix, ultima nel senso che è proprio l'ultima e non ce ne saranno altre, e ogni volta mi stupisco di quanto mi faccia ridere con poco o niente, e di quanto mi commuova. Orla, mi mancherai.
Parliamo invece dei film che ho visto domenica, nel senso che li ho visti tutti e due domenica salutando le pulizie di casa con la mano aperta, ciao ciao. Casa fa schifo, ma io sto benone.
Il primo è Everything Everywhere All At Once, che... come lo descrivi? Sta all'intersezione fra i film di arti marziali, la distopia, la fantascienza sui multiversi e la commedia. La storia è quella di Evelyn Wang (interpretata da quella dea di Michelle Yeoh), spenta cinquantenne cinese emigrata negli Stati Uniti, dove gestisce una lavanderia a gettone insieme al marito, il tenero e goffo Waymond (Jonathan Ke Quan, per gli amici Data de I Goonies e Short Round di Indiana Jones e il tempio maledetto). I due hanno una figlia, Joy, e i rapporti non sono proprio distesi, principalmente per colpa di Evelyn, che la vita e le delusioni hanno reso anaffettiva e gelida.
Fino qua sembra la premessa per un drammone familiare sul valore della tradizione, della famiglia e del volersi bene, e invece all'improvviso diventa una mattata in cui Evelyn si trova a vivere più vite contemporaneamente, vite che a volte vanno ben oltre il surreale e sfidano ogni logica. Ognuno ci vedrà qualcosa di diverso, io sono rimasta colpita dal discorso sulla maternità e sull'impossibilità di controllare il corso delle nostre esistenze, ma la cosa più importante per me è stata vedere una donna non giovane al centro dell'azione, in tutti i sensi. Michelle Yeoh ha sessant'anni e illumina lo schermo ogni volta che compare. Ho riso moltissimo, mi sono commossa, poi c'è tutto quel menare che è sempre catartico.
Tornata a casa ho avviato sul computer la visione di Ninjababy, un film norvegese del 2021 diretto da Yngvild Sve Flikke, e che arriva nelle sale italiane questa settimana distribuito da Tucker Film. Anche qua parliamo di una commedia, ma è una commedia norvegese, per cui non ci si ribalta dalle risate anche se le prove attoriali sono tutte pazzesche. Kristine Thorp interpreta il ruolo di Rakel, ventitreenne pigra e scombinata che vive la vita un po' come capita finché un imprevisto non arriva a fermarla. L'imprevisto - non è un grosso spoiler - è che è incinta di quasi sette mesi e non se n'era accorta. Non potendo abortire, Rakel deve far quadrare la gravidanza con sé stessa e con quello che si aspetta dal futuro.
È un film norvegese, dicevo, quindi non ha niente della retorica stucchevole intorno alla maternità che circonda un film dalla premessa analoga come Molto incinta (con Katherine Heigl e Seth Rogen). Tratto da un graphic novel, Ninjababy mescola e sovrappone animazione e live action, è buffo e tenero senza essere mai troppo prevedibile, e per una volta mette sul tavolo una distinzione fra gravidanza e maternità, senza rinunciare a sottolineare la complessità della questione, ma avendo sempre la volontà di una donna come stella polare del racconto. In questo momento storico, sembra un regalo.
Due eventi
La prima è questa: venerdì 14 ottobre partecipo a Skills for Life, un convegno destinato a promuovere l'empowerment delle ragazze dalla scuola al lavoro. È un tema che mi sta a cuore, non tanto per la questione dell'empowerment, che è un attimo che viene travisata, quanto perché da quando ho cominciato a insegnare le lacune delle scuole superiori sono diventate chiarissime ai miei occhi. Il convegno si svolge a Roma al Centro Congressi Cavour il 14 e 15 ottobre, se vuoi partecipare ti puoi registrare qui.
Sono anche una delle docenti (speaker? Ospiti?) del ciclo di lezioni online lanciato da Il Post e intitolato Lezioni di un certo genere. Dato che motivare e fomentare è un po' la mia specialità principale dopo fare gli spiegoni, parlerò di femminismo quotidiano e della sua applicazione alle nostre vite.
Ci risentiamo martedì prossimo.
Giulia