Il caso Scurati e la sottovalutazione del lavoro intellettuale
Non è solo un problema della destra.
Questa newsletter arriva un po’ tardi perché ieri ero troppo cotta per scriverla. Succede. Ma avevo delle cose da dire e volevo dirle al meglio delle mie possibilità.
Una battuta ricorrente che poi non lo era è che mio padre non sa cosa faccio di mestiere. Come molte persone della Generazione X e successive, ho attraversato varie fasi della mia vita professionale, quasi tutte all’insegna della precarietà più assoluta ma anche della libertà di movimento. Da quando mi sono laureata ho fatto di tutto, cercando sempre di puntare verso quella che era la mia specificità: la scrittura creativa, la comunicazione, l’elaborazione di idee e di concetti. Non è una cosa che viene naturale, ma un’attività che richiede studio, allenamento, preparazione. Il lavoro intellettuale è questo: prendere le idee e renderle fruibili, pescare storie dal caos e farle diventare materia coerente.
Quello che è successo negli ultimi giorni intorno al caso Scurati ha portato a galla diversi problemi, e oggi voglio parlare di quello che sembra più trascurabile, vale a dire la svalutazione del lavoro intellettuale. Proprio oggi è arrivata la notizia che Meloni si sarebbe irritata con la dirigenza Rai perché le avrebbero fatto fare una figuraccia dicendo che l’esclusione di Scurati da Che sarà (non il primo o l’unico caso di censura dei contenuti della trasmissione) era legata a scelte editoriali e non a questioni di soldi. Perché secondo Meloni sarebbe stato più facile far passare che 1.800 euro, poi ribassati a 1.500, siano troppi per un monologo originale scritto dall’autore di M, uno scrittore riconosciuto e studioso della storia del fascismo, letto in prima serata sulle reti Rai e reso disponibile poi su Raiplay, piattaforma che a sua volta raccoglie introiti dalla pubblicità.
Ovviamente non lo sono, e non solo alla luce dei cachet molto più alti che vengono elargiti a gente con una statura intellettuale molto inferiore a quella di Scurati, ma che sono più funzionali a mantenere vivo l’ecosistema autonomo dell’infotainment sui canali Rai. Un ecosistema che ha contribuito a creare la convinzione che tutte le idee si equivalgano, che uno scienziato valga come un no vax, e che su tutto si possa costruire un contraddittorio, perché il contraddittorio, specialmente se rissoso, fa audience. In questa fabbrica del nulla, Scurati si erge come un totem di preparazione e capacità autoriali. Forse per questo i tirapiedi del governo hanno pensato fosse opportuno farlo sparire dalla trasmissione: hanno fatto male i conti, ovviamente, e sottovalutato l’effetto Streisand. Se Scurati fosse andato in onda, quel monologo avrebbe avuto forse un decimo della visibilità che ha avuto.
E qui veniamo a un altro punto fondamentale: Scurati non è andato in onda, il monologo è stato letto (in maniera un po’ spiccia, ma non era quello il punto) dalla conduttrice della trasmissione, con il benestare dell’autore. È stato ripubblicato, in maniera strumentale, dalla stessa Presidente del Consiglio. È stato letto sulle riviste culturali, sui feed social di attori e intellettuali, è stato spacchettato in card riprodotte ovunque. Antonio Scurati, in pratica, ha lavorato per la visibilità. Che non gli serviva granché (M è stato un successo enorme, ne stanno facendo una serie TV), e che spesso viene spesa come moneta corrente per invitare le persone in televisione senza pagarle.
Il conflitto pretestuoso fra attivismo e lavoro intellettuale
Ogni volta che sono andata ospite in televisione, e dico ogni volta, l’ho sempre fatto gratis. A volte perché stavo promuovendo una causa o una campagna, e a volte - molte volte, la grande maggioranza delle volte - perché “qualcuno certe cose deve dirle” e “gli spazi vanno occupati, altrimenti ci vanno solo i mostri”. Tutte cose legittime, e infatti eccomi a Blob mentre prendo per il culo l’ex senatore bigotto della Lega messo lì apposta per farmi sbroccare. Era ed è un ricatto emotivo che ha a che vedere con il fatto che “se ci credi, lo fai gratis”: dal che bisogna dedurre che altri ospiti ricorrenti che invece sono pagati non solo non credano a quello che dicono (e si fanno pagare per la performance), ma che il loro lavoro intellettuale vada compensato perché non sono “attivisti”.
La parola “attivista” è diventata una specie di palla avvelenata, che a turno viene utilizzata per colpire chi nel suo lavoro intellettuale fa confluire qualche sorta di tematica collettiva, soprattutto quelle relative ai diritti di autodeterminazione delle persone, oppure per creare distinzioni (più o meno pretestuose) fra chi si spende davvero per una causa e chi la utilizza per posizionarsi. Ne consegue che quasi nessuno è attivista per autodefinizione, perché autodefinirsi è considerato immodesto: nessuno è mai abbastanza attivista da chiamarsi tale. Questo, però, significa anche che se ti senti chiamare “attivista” da qualcun altro puoi avere la certezza che da qualche parte quella definizione viene utilizzata per squalificare il tuo pensiero, che viene considerato “di parte” e non universale. Chi fa attivismo ti guarda con sospetto perché ti pagano per produrre, elaborare e comunicare idee; chi quelle idee le dovrebbe considerare, discutere e integrare a sua volta nella sua opera, ti guarda con disprezzo perché ti sporchi le mani con la politica e con cause che il mondo intellettuale italiano ritiene essere marginali. Oppure prova a estorcerti lavoro gratis su cui fa margine con i ricavi pubblicitari, e che a te richiede uno sforzo emotivo gigantesco. Perché se pensi che litigare in televisione con i peggio mostri della destra nel nome del principio di realtà e di un minimo di giustizia sia facile o soddisfacente, pensi veramente male.
Antonio Scurati fa lo scrittore. Aveva scritto un monologo sul delitto Matteotti che tracciava la linea chiara e inequivocabile che unisce il fascismo al governo attuale. Lo ha fatto a ridosso del 25 aprile, festa della Liberazione. Sarebbe andato in televisione a leggerlo. Questo avrebbe fatto di lui un attivista antifascista, quindi - nella testa di molti attivisti come in quella di molti fasci e qualunquisti - qualcuno che non doveva pretendere un compenso per il suo lavoro. E infatti ecco qua: il suo monologo gira gratis dappertutto. Con il suo benestare, certo: ma quali erano le alternative?
La faccio brevissima: se l’attivista non può fare lavoro intellettuale, e il lavoro intellettuale non è pagato, l’attivismo e il lavoro intellettuale lo possono fare solo i ricchi, cioè gli stessi che già disegnano il mondo a loro immagine e somiglianza e si possono permettere di soffocare le voci dissidenti e marginalizzate. Il lavoro intellettuale è lavoro, e va pagato. Lo dico da sempre, lo dicevo in questa newsletter a gennaio 2022 (come vola il tempo, eh?) e lo dico anche oggi.
Ci vediamo in giro
C’è una nuova data del tour di Brutta, eccole qua in fila:
26 aprile - Terlizzi (BA), ingresso gratuito!
28 aprile - Taranto, Spazio Porto
4 maggio - Perugia, Auditorium S. Francesco
14 maggio - Parma, Circolo Arci Post
15 maggio - Milano, ARCI Bellezza
Per quanto riguarda invece Cose mai successe, ecco le presentazioni già confermate:
9 maggio - Torino, Offtopic
10 maggio - Firmacopie allo stand Rizzoli del Salone del Libro di Torino
17 maggio - Terni, Casa delle donne
18 maggio - Pomezia (RM), Libreria Odradek
31 maggio - Bologna, Serre dei Giardini Margherita
1 giugno - Alba (CN), dettagli da confermare
7 giugno - Palermo, Una marina di libri
Altre date:
Il 3 maggio sono alla festa di lancio dell’audiolibro di Le mille e una notte, edito da Emons. Non so se sarà aperta al pubblico, ma nel caso sono lì.
11 maggio - Pesaro, Festival Percorsi
26 maggio - Chiari (BS), per un evento organizzato da Rete di Daphne.
Ci risentiamo martedì prossimo!
Giulia
Bello torni all’Off Topic!
Questo concetto va ribadito fino all'esasperazione e oltre: "il lavoro intellettuale è lavoro, e va pagato". Brava!!