La gioia di non svegliarsi Andrew Tate
Questa settimana: (not) being Andrew Tate e un sacco di podcast
Comincio a scrivere questa prima newsletter dell’anno sul treno che mi riporta a casa da Milano dopo i festeggiamenti di Capodanno. Cosmo suonava in piazza a Parma, in una serata nemmeno troppo fredda in cui ho bevuto poco spumante, visto amici che non pensavo di vedere, incontrato amiche di Instagram che chi se l’aspettava e ballato in mezzo alla folla. Poi sono andata a dormire, mi sono svegliata, ho acchiappato la coda della colazione in albergo, sono tornata a letto, ho messo la prima puntata di Indagini nelle cuffie e mi sono distesa ad ascoltarla al buio, e stavo benissimo.
Su Indagini ci torno, prima vorrei concentrarmi sullo stare benissimo, ma ci arrivo facendo il giro largo. Nei giorni scorsi, molta gente ha scoperto dell’esistenza di Andrew Tate, ex kickboxer che si è riciclato come guru del maschilismo radicale e ha fatto un sacco di soldi vendendo corsi fuffa a ragazzi e uomini insicuri. In realtà Tate i soldi li faceva principalmente con lo sfruttamento della prostituzione e la tratta di esseri umani: se ne vantava spesso sui social, raccontando di essersi trasferito in Romania perché lo considerava un posto più amichevole nei confronti di chi volesse avviare quel genere di attività. Il metodo di Tate e del fratello era il seguente, molto comune fra i trafficanti di esseri umani: corteggiavano le ragazze facendole sentire delle regine, e quando queste ormai si sentivano coinvolte dalla relazione le spingevano a lavorare come sex worker (cam girl, nello specifico), tenendole prigioniere con un misto di minacce, violenze e pressioni psicologiche. Di tutto questo Tate parlava liberamente, appunto: solo che anche in Romania queste azioni costituiscono reato, e lui per quei reati era indagato da tempo.
Quindi succede la cosa di Greta Thunberg, e Tate finisce al gabbio.
L’impazzimento dei suoi fan era prevedibile, dato che buona parte della personalità pubblica di Tate era basata sulla presunzione di invincibilità. Se l’eroe della rivalsa maschile viene arrestato, quell’invincibilità non è più tale e viene giù un po’ tutto, inclusa l’illusione di seguire una persona con idee “sane” e “costruttive” che ha “salvato tantissimi ragazzi”. Insomma, uno di questi porelli disperati a un certo punto dice questa cosa qua.
Premesso che sticazzi di cosa pensa Gianporello di me e del mio essere o meno qualcuno, il concetto interessante qui è “lui è lì”. A parte il fatto che a quel punto “lì” è già “ar gabbio”, diamo per scontato che si intendesse “in una posizione di potere decretata dalla sua superiore capacità economica e dall’enorme seguito accumulato nel tempo”. Lasciamo perdere come è stato acquisito, questo seguito, e pure come sono stati acquisiti i soldi: siamo proprio sicuri che il “lì” di Andrew Tate sia invidiabile in assoluto? Non riesco a immaginarmi alcuna dimensione del reale in cui vorrei scambiare la mia posizione con quella di uno così fragile e insicuro da non riuscire a tollerare che una donna gli risponda a tono, tanto da dover pubblicare quel video patetico con cui tenta di recuperare qualche punto-credibilità, fallendo. E che comunque è accusato in maniera credibile di essere un cazzo di stupratore e trafficante di esseri umani.
La mattina del primo gennaio 2023 io mi sono svegliata in un letto comodo con una puntata di Indagini da ascoltare e una bella giornata da vivere con le persone a cui voglio bene; Andrew Tate si è svegliato in prigione, per giunta con la consapevolezza di essere stato umiliato in pubblico dal tipo di essere umano che più odia e teme. Come si dice: sto.
Indagini, dicevo (e di come è difficile fare un podcast di nera)
Che io sia una fan di Indagini è un’informazione a questo punto superflua, dato che è letteralmente il primo prodotto culturale che ho consumato quest’anno. Non è nemmeno un culto particolarmente originale: ogni primo del mese, la mia timeline di Twitter si accende di screenshot dei titoli delle puntate nuove. Da vecchia appassionata di nera convertita ai podcast nell’ultimo anno e mezzo, non posso fare a meno di notare che Indagini sta una spanna sopra praticamente qualsiasi altro prodotto simile. I podcast dedicati al true crime ormai sembra che crescano sugli alberi di Spotify: ogni settimana ne escono tre o quattro nuovi, io me li segno tutti e almeno li inizio, ma sto diventando esigente. Sono sempre meno tollerante verso le narrazioni enfatiche, che fanno largo uso di inserti speculativi, emotività artificiale e tentativi di pilotare la reazione dell’ascoltatore con l’uso di trucchetti e mezzucci narrativi.
Insomma, sono piena piena pienissima di quei prodotti Parcast narrati da Greg Paulson e Vanessa Richardson fatti tutti di toni enfatici e di “Something else was going to happen… something… horrible” (SBRAAAAAM!). Basta. Quest’anno faccio fioretto, come dicevamo noi forzati del Catechismo anni ‘70, e non li ascolto più.
Stefano Nazzi, l’autore di Indagini, ha l’asciuttezza e il senso della misura di chi di casi di nera ne ha visti davvero tanti, eppure non si dimentica che al centro di ogni omicidio c’è un morto, o più di uno. Vite stroncate con la violenza, persone che non cresceranno, non invecchieranno, non ci sono più perché qualcuno ha deciso di disporre di loro. Nelle due puntate dedicate alla morte di Samuele Lorenzi per mano della madre, solo una volta Nazzi dice che è morto un bambino. Una. Basta quella, per avere la misura dell’orrore. Come nel caso Vannini non serve insistere sulla giovane età della vittima: le telefonate al 118 con le sue urla disperate in sottofondo sono sufficienti a ricordare che Marco Vannini era un ragazzo, che è esistito ed è morto in un modo orribile di una morte evitabile.
L’unico difetto di Indagini è che ogni volta che le due puntate del mese sono finite è difficile trovare subito un podcast all’altezza di quella sobrietà, completezza e precisione narrativa. Uno, in realtà, l’avevo trovato, ma…
…me lo sono già ascoltato tutto
Mi contraddico subito. In Omissis, scritto e narrato da Loredana Lipperini per Rai Play Sounds, l’elemento emozionale c’è, ma ha anche una sua bella ragione per esserci. La storia di Omissis è quella della giovane giornalista Graziella De Palo e del suo collega ed ex compagno Italo Toni, scomparsi in Libano nel 1980 e mai ritrovati. Un mistero che intreccia servizi segreti, OLP, depistaggi e insabbiamenti in puro stile italiano, e che Lipperini racconta come un dramma a più facce: quello della famiglia De Palo, ma anche il suo (lei e Graziella erano state inseparabili nell’adolescenza, e si capisce che si erano successivamente perse di vista: quell’allontanamento, mai spiegato, è parte del dolore della perdita) e quello di due generazioni cresciute a botte di traumi, uno dopo l’altro. Boomer e Gen X hanno attraversato in modi diversi una stagione di sangue il cui impatto fatichiamo a quantificare: i primi da protagonisti, e spesso attori principali, delle violenze. I secondi - noi - da vittime, spettatori passivi e frustrati di una violenza politica che non potevamo comprendere e sulla quale non potevamo agire.
Sempre a proposito di podcast…
…ho anche ascoltato tutto Mele Marce, serie di podcast sui più grossi casi di truffe e crimini commessi in ambito tech. Nonostante più di qualche sbavatura (soprattutto frasi idiomatiche tradotte alla circa e pronunce sbagliate, cosa che manda ai pazzi la parte di me che è pur sempre laureata in Traduzione) e un titolo un tantino fuorviante, il podcast nel complesso fa un ottimo lavoro di spiegazione di come la Silicon Valley sia l’emblema del capitalismo facilone, sempre ben disposto a riempire di soldi ogni psicopatico narcisista in grado di farsi passare per genio. Le “mele marce” non sono anomalie del sistema: sono, anzi, il prodotto finale di una cultura in cui la fede (nel futuro, nel progresso, nei miracoli, nell’individuo che cambia il mondo) ha bisogno di devoti, e mostrarsi miscredenti è considerato disdicevole.
Con la sola eccezione di Elizabeth Holmes, tra l’altro, tutti i criminali protagonisti delle epiche truffe raccontate nel podcast sono maschi. Ci sarebbe molto da dire su questo punto, dirò solo che il capitalismo ha creato i tech bros, e probabilmente saranno loro a distruggerlo. Spero che nella nuova stagione ci sia un posto tutto speciale per Elon Musk, che sta lavorando con una certa alacrità alla distruzione del suo stesso mito.
Finale
Da un paio d’anni evito di sfoggiare il mio Spotify Wrapped in pubblico, le mie ossessioni private sono private. Ieri sera però Emiliano ha fatto partire una newsletter con i suoi dischi dell’anno (il 2022, ovviamente), e siccome sulla musica ci si può fidare più di lui che di me, vale la pena di darci un’occhiata. C’è dentro di tutto, per cui qualcosa che ti piace lo trovi.
Ci sentiamo la settimana prossima!
Giulia
Ciao Giulia, long time reader, first time caller, che altri podcast Italiani consiglieresti su storie di servizi, P2, roba cosi?
Per me disco dell’anno Beyoncé.