L'ultima del 2022
Questa settimana: un po' di feste di Natale, niente propositi per l'anno nuovo a parte uno, roba che ho scritto e che ho visto, e tanti saluti.
Sì, questa settimana si esce con un giorno di ritardo. Avevo da fare la zia: è un lavoro a tempo pieno. Quando non facevo la zia dovevo cucinare (la mia capacità di seguire le ricette dei dolci trovate su internet è molto apprezzata in famiglia) o reggere una torcia per aiutare mio padre a riparare l’impianto elettrico di casa che aveva svampato, operazione andata a buon fine e durante la quale è stato battuto il record di bestemmie indoor. Mia sorella e io ci siamo anche fatte la prima foto insieme dagli anni ‘80, ma i nostri maglioni di Natale brutti erano troppo belli per non essere immortalati.
La buona notizia è che non ho raccomandazioni da fare, a parte una, ma ne parliamo dopo. Se c’è una cosa che ho abbandonato da anni sono i buoni propositi per il nuovo anno: mi generano solo frustrazione, quindi ho smesso. E anche i bilanci, boh, che ti devo dire: ogni tanto penso che se vivessimo su un altro pianeta, uno con una rotazione più rapida di quella della Terra, o più lenta, “giorno” e “notte” vorrebbero dire cose diverse, così come “anno”, “settimana” e “mese”, tutte unità di misura che abbiamo stabilito più o meno alla circa per scandire il tempo fra una stagione e l’altra. Insomma, tutto questo pippone per dire che il tempo non esiste, figuriamoci gli anni, che poi mica sono 2022 o 2023, quella è una decisione più o meno arbitraria di Papa Gregorio XIII. Lascia perdere. Goditi ogni istante. Cerca di stare bene. Fai scelte che ti sembrano sane, e qualcuna meno sana ma fatta solo per il gusto di sentire la vita che scorre nelle vene.
Però…
Partiamo dal presupposto che la polarizzazione delle idee politiche aumenta la frustrazione di tuttǝ e che prendersela col cretino dell’internet è il cardio dell’autostima, ma: le nostre energie sono limitate, e se proprio dobbiamo prendercela con qualcuno ci sono pesci più grossi verso cui dirigere il nostro disappunto. Faccio un esempio: sfottere in pubblico la porella che dice cose maschilistissime e aggressive verso le altre donne perché spera di essere scelta dai maschi è soddisfacente, ma non solo rafforza l’idea della porella di essere nel giusto. Perché la polarizzazione funziona così: essere sfottuta non la convince del fatto che si è scelta la squadra sbagliata (lo scoprirà, prima o poi: non sarà bello) ma rafforza la sua idea di essere “controcorrente” e “disallineata” al sistema.
È una porella: la Presidente del Consiglio che si fa chiamare “il” Presidente è la versione deluxe della stessa porella. Così terrorizzata dall’idea di essere percepita come femmina che dopo anni di sonogiorgiamadrecristianaitaliana ha deciso di mimetizzarsi tra i maschi. Il porellometro è fuori scala, e non stiamo parlando di una porella da giardino con mille follower e tanta rabbia nel cuore, ma della donna più potente d’Italia. La porella, invece, è porella. Ci fa incazzare per quello che esprime, ma il motivo per cui fa la porella sui social è che sente di incidere zero sulla società. Fare incazzare qualcuno forse la fa sentire viva. Davvero dobbiamo mettere la nostra energia al servizio del suo vuoto esistenziale?
E che dire di quelli che sfruttano la nostra miccia corta lanciando titoli e affermazioni sempre più volgari e stupide e offensive, sperando che abbocchiamo? Io sono abbastanza piena pure di quelli, ma so che lo fanno apposta. Devono mori’ gonfi prima che gli rispondo.
Diamoci delle regole: smettiamo di rispondere ai titoli di Libero e de La Verità. Finiamola di litigare online con le porelle, con i no vax che potrebbero essere tuo cugino Vincenzo, con i filoputin da quattro follower, con i maschilisti che vogliono solo attenzione. Basta. Se proprio abbiamo bisogno di un sacco tirapugni, c’è gente che ne vale la pena. Ci sono no vax fra gli onorevoli e i senatori, ci sono porelle sparse qua e là in tutto il Parlamento, filoputin quanti ne volete, e maschilisti che te lo dico a fare. E gli paghiamo lo stipendio: abbiamo il diritto, no, il dovere di manifestare le nostre opinioni sul loro operato. Preferibilmente fuori dai social e facendo tutto il possibile per contrastarne i danni.
Un po’ di cose che ho scritto
Oggi è uscito su La Svolta il primo di due pezzi che cercano di fare il punto sulla situazione dei diritti in Italia.
La settimana scorsa, invece, sono uscita con due articoli. Il primo ha girato molto più di quanto mi aspettassi, ed è una riflessione sulle implicazioni della débacle di Cristina D’Avena che se ne va a cantare per il compleanno di Fratelli d’Italia come se niente fosse, e poi si stupisce se il suo pubblico si risente.
Ho parlato anche della sentenza nel caso della molestia a Greta Beccaglia, che sembra avere infastidito molta gente. Chissà cosa si aspettavano. Boh.
Una cosa che ho visto (e che mi ha fatto pensare)
Nelle buie serate friulane in cui avevo solo sonno e crollavo morta nel letto alle undici, ci siamo visti (un po’ a mozzichi) Summer Job, il primo reality di Netflix, un incrocio fra Il Collegio ed Ex On the Beach, vale a dire due reality che non guardo. Il primo perché mi viene da tifare per i ragazzini e spero sempre che diano fuoco a tutto, il secondo perché mi fa venire voglia di ritirarmi a vita privata sulla cima di una montagna, coltivando un orto e non parlando più con nessuno per il resto dei miei giorni. Summer Job, un po’ come Riccanza a suo tempo, mi fa venire voglia di darmi alla lotta armata, ma mio malgrado mi sono un po’ affezionata alla squadra di giovinastri incapaci e perdigiorno, a larga maggioranza figli di papà dotati del genere di arroganza che solo i soldi di famiglia ti possono dare, che pensavano di andare a farsi una vacanza in Messico scopando in favore di telecamera, e invece si ritrovano a - orrore! - lavorare per guadagnarsela.
Come Il Collegio, il reality è costruito sulla presenza di una serie di “boss”, misteriosamente tutti italiani in Messico (e vabbe’) che sono il doppio più stronzi di quanto lo sarebbero nella realtà, soprattutto con degli apprendisti che non pagano. I giovani sfaticati hanno dai 18 ai 23 anni, e come la stragrande maggioranza dei loro coetanei non hanno mai svolto lavori manuali: non è strano, del resto anche i lavori manuali sono lavori e bisogna saperli fare. Oltre a essere ossessionati dall’estetica, la maggior parte dei concorrenti sembra avere la vita interiore di una pianta di fico d’India, a partire da Pietro, che è praticamente Hansel di Zoolander. Quello però potrebbe essere l’editing carogna, perché l’unico motivo per guardare questi reality è ridere di quanto sono scemi, superficiali e incolti i personaggi presentati, e quindi bisogna farli sembrare più scemi di quanto non siano in realtà. Mi sono domandata: se facessero un reality su gente intelligente che deve fare cose difficili, lo guarderei? Io forse sì, ma mi rendo conto che è una scelta impopolare. Credo che guardare i mostri in televisione serva al pubblico a sentirsi migliore o almeno a consolarsi un po’, però per quello che mi riguarda è proprio faticoso da seguire.
Difficile anche dimenticarsi, in tutto questo, che negli ultimi tempi il Comune di Napoli ha annunciato urbi et orbi che fra i neoassunti nel concorsone per operatori ecologici ci sono anche 12 laureati, e che il senatore Durigon della Lega ha detto che chi ha una laurea deve accontentarsi di fare il cameriere. Il lavoro, che dovrebbe essere il fondamento della Repubblica come mezzo per l’emancipazione dei cittadini e di costruzione collettiva del paese, viene trattato come un’umiliazione e una punizione a cui è necessario sottostare, in particolare se si è studiato per svolgere un lavoro qualificato che non c’è, e quando c’è è pagato male. Il lavoratore ormai deve ringraziare se non viene preso a calci, e così anche i ragazzi di Summer Job, che saranno pure dei perdigiorno, ma sfido chiunque a trovarsi catapultato da un giorno all’altro in una pasticceria (per dirne una) e azzeccare subito la consistenza dei cornetti. L’idea che il lavoro sia una condanna che tutti dobbiamo scontare senza fiatare è una delle grandi idee di merda del capitalismo che fa margine sulla nostra fatica. Alla fine dei conti, non riesco a biasimare i concorrenti quando dicono che non hanno voglia di lavorare. La verità è che non ce l’ha nessuno, ma fa brutto dirlo.
Quindi…
Ci risentiamo nel 2023, il 2 o il 3 a seconda di quanto sarò crepata nei giorni precedenti. Divertiti come più ti piace, e grazie per avermi fatto compagnia per tutto il 2022, o per un pezzettino. Grazie anche in anticipo se resterai per il prossimo anno: cercherò di fare in modo che ne valga la pena.
Giulia
Likato e diffuso, as usual. ✊🏿