Pasolini vi avrebbe sputato in faccia
Questa settimana: la cosa che dicevo nel titolo, chi è politico e chi no, e due podcast.
Mia madre al telefono, sabato: “Sto leggendo Rivoluzione Z, e sono arrivata al punto in cui dici che tua mamma non legge mai le cose che scrivi. Be’, insomma, ecco!”
Io: “Infatti quel libro è del 2020, mamma, ne ho fatti altri due.”
Questo simpatico siparietto mi serve a ribadire a mia mamma1 che tutto è materiale (anche le sue rimostranze, spiace mamma, ti voglio bene!) e pure che oggi Rivoluzione Z torna in libreria in formato tascabile, non fare come mia madre che aspetta tre anni per leggerlo: accattatill’ subito. Rendiamo giustizia al mio secondogenito2 Rizzoli (settimogenito assoluto), che ha ancora un suo perché.
Avevo già in uggia la ministra Roccella per le sue idee e il suo uso strumentale della qualifica di “femminista”, quando di femminista - è evidente - non le è rimasto più niente: il suo femminismo è un guscio vuoto in cui avvolge un fanatismo essenzialista che non si fa scrupoli di giacere prono ai piedi dell’estremismo di destra e del suprematismo bianco. Non esiste femminismo che non sia collettivo: Roccella e le sue (poche) compagne hanno deciso di collocarsi fuori da questa collettività, facendo gruppo a sé e tentando con ogni mezzo di ostacolare l’azione dei movimenti, forti delle loro posizioni di potere. Adesso le rimprovero anche di aver rovinato il mio unico giorno di riposo, che avrei potuto passare orizzontale a guardare Succession, e che invece ho dedicato per metà a discutere del perché le contestazioni che ha dovuto affrontare al Salone del Libro sono parte della dialettica democratica, e se non ci vuole stare può sempre dimettersi, perché chi rappresenta le istituzioni deve necessariamente vedersela con le opinioni delle persone per cui governa. Però non ne vorrei parlare qui, uno perché è una cosa che ha bisogno di spazio, e due perché ce n’è un’altra che vorrei puntualizzare. Ci tornerò, vedremo come.
La cosa che mi preme è questa: quando la gente (da Matteo Renzi all’ultimo degli scemi3) usa l’espressione “il fascismo degli antifascisti” pensando di citare Pasolini, sta dicendo una cazzata e sta compiendo un’operazione disonesta, resa possibile dal fatto che Pasolini, essendo morto nel 1975, non li può mandare tutti affanculo.
Sul sito del Centro Studi Pier Paolo Pasolini di Casarsa (luogo, come sappiamo, caro allo scrittore e nel quale è sepolto) è riportato un lungo articolo di Wu Ming 1 che spiega con chiarezza perché l’espressione “il fascismo degli antifascisti” viene usata in maniera disonesta. Per riassumere (ma è meglio leggerlo): Pasolini considerava il fascismo una nevrosi collettiva, le contestazioni del ‘68 un momento di grande libertà democratica, e riteneva che il capitalismo borghese che esprimeva (ed esprime tuttora) l’ordine costituito fosse una riproposizione del fascismo sotto altre spoglie. Per citare le conclusioni di Wu Ming 1:
Lo ripeto con le esatte parole usate sopra: il 99,99% di quel che Pasolini scrisse, se letto da quelli che ne citano a cazzo di cane lo 0,01%, li farebbe fremere d’odio nei confronti dell’autore che stanno usando come pezza d’appoggio.
Insomma, Pasolini gli avrebbe sputato in faccia, a quelli che lo citano a sproposito. Perché era comunista, anticapitalista, odiava i borghesi in maniera assolutamente viscerale, ed era per giunta figlio di un padre fascista con il quale non aveva mai avuto un rapporto facile, per usare un eufemismo4. Se chi tira in ballo Pasolini per giustificare la repressione del dissenso pacifico l’avesse letto, si terrebbe alla larga dalle citazioni, ma come dicevo: gli intellettuali morti non possono darti dello stronzo. Li puoi ridurre a quello che vuoi.
Chi è politico e chi no
A proposito di Renzi: sto seguendo il crollo al rallentatore del fu Terzo Polo come si guardano i video delle demolizioni controllate, se non che qua di controllato non c’è niente che non sia la progressiva autodistruzione di Azione!, con gli iscritti che si sfilano a mazzi per unirsi ai ranghi di Italia Viva.
Io la vedo così.
Matteo Renzi sta spolpando Carlo Calenda pezzo dopo pezzo. Non è uno sviluppo granché sorprendente, soprattutto alla luce del rapporto fra i due, tanto fragile quanto apertamente transazionale. Renzi ha sfruttato la disponibilità di Calenda a buttarsi in prima linea per rientrare in Parlamento senza quasi fare sforzi (e c’è chi ha coniato, con perfida intuizione, l’espressione “Taxi del male”), e ora sta semplicemente proseguendo nella sua opera di cannibalismo.
Renzi, che piaccia o meno, è un politico di notevole abilità. Sa gestire le circostanze, approfittare delle debolezze altrui, volgere a proprio favore situazioni a rischio (vedi la famosa storia di Salvini e del Papeete). Le sue capacità tecniche, oratorie e di persuasione gli sono servite negli anni a piazzarsi nel campo della sinistra pur essendo in tutto e per tutto un politico di centrodestra liberale, e nel farlo è riuscito a fregare anche un bel po’ di gente. Pazienza, riga’, la prossima volta datemi retta.
Calenda, invece, non è un politico. È uno che fa il lavoro del politico senza averne la vocazione: ha imboccato la preferenziale da tecnico e si è ritrovato ministro, ci ha preso gusto, si è tesserato con il PD, ci stava stretto, si è fatto il partito suo pensando di sfondare, ha toccato una vetta del 20% a Roma perché a confronto del pallido Gualtieri e dell’improbabile Michetti sembrava quasi uno con un suo perché, ma non è un politico. La prima abilità specifica del politico è quella di gestire il conflitto, negoziare, mediare, parlare, trattare, unire le parti. Calenda si fa detonare in pubblico ogni volta che qualcosa non va come dice lui, ma questa volta la controparte era Renzi, vecchia lenza di stampo andreottiano che non credo abbia mai desiderato dividere il palcoscenico e lo spazio vitale con un altro leader, e che non ha dovuto fare altro che dargli corda.
La politica è lavoro di relazione: oltre alle idee e all’intuito serve la capacità di creare legami, ponti, connessioni, contatti. Bisogna sapere quando parlare e quando tacere, e quando si parla bisogna misurare le parole, dare sempre l’impressione di avere contezza delle questioni (e pazienza se non è così). La politica è la cosa più vicina possibile alla prestidigitazione, ci vogliono talento, esperienza e mestiere. C’è chi ce l’ha e chi non ce l’ha. E purtroppo la differenza si vede.
Due podcast
Ne sto ascoltando tanti, complice il fatto che in queste settimane insegno fino a quattro giorni a settimana, e quindi cammino moltissimo. Il primo è Figlie, di Sara Poma, si ascolta su RaiPlay Sound (che consiglio di scaricare perché c’è un sacco di roba e anche perché entrambi i podcast di questa settimana sono disponibili su quella piattaforma). La storia è quella di Sofia, argentina naturalizzata italiana, figlia di una desaparecida rapita dalla polizia di Videla durante gli anni della dittatura. Sofia e Sara, coetanee e orfane di madre, partono per un viaggio di ricerca e ricostruzione della storia di Silvia, madre di Sofia. La storia e la politica, qui, restano sullo sfondo: ci sono però le voci, tante voci di persone che hanno attraversato quegli anni.
Il secondo è brevissimo, l’ho esaurito nel tempo che mi è servito a lavare i piatti e pulire per metà il bagno: Giorgiana. 12 maggio 1977, di Loredana Lipperini, è la cronaca della morte di Giorgiana Masi, uccisa negli scontri di piazza fra polizia e civili a Roma nel giorno citato dal titolo. Masi aveva 19 anni e la sua morte, per la generazione dei Baby Boomer, fu l’equivalente della morte di Carlo Giuliani a Genova nel 2001 per la Generazione X: un trauma che non ha mai avuto colpevoli riconosciuti e che ha contribuito in maniera significativa a spegnere la spinta rivoluzionaria dell’epoca. Lipperini è una narratrice, autrice e interprete di livello assoluto, tra le migliori voci di podcast che ho ascoltato in questi anni. Quando questa storia è finita ne avrei voluto ancora: tante sono le domande, e altrettanto lo scandalo. Perché mettendo insieme tutti i pezzi, è difficile capire come una figura spregiudicata e oscura come Francesco Cossiga sia potuto diventare Presidente della Repubblica. Forse è materia per un altro podcast.
Per ora è tutto. Le date sono le stesse della settimana scorsa.
A presto!
Giulia
Che non è iscritta alla mia newsletter.
È una battuta, assolutiste della maternità: non ho partorito dei libri, li ho scritti.
Io non ho pensato a certi consulenti ministeriali, tu ci hai pensato!
Per un’analisi recente del rapporto fra maschilità e fascismo rimando a Cose da maschi di Alessandro Giammei.
C'era proprio bisogno di un'altra occasione per fraintendere e manipolare Pasolini. Non bastavano i poliziotti di Valle Giulia.