Rita De Crescenzo, la comunicazione e il paternalismo della sinistra
Questa settimana: una piccola riflessione inutile su TDOV, un'altra su Rita De Crescenzo che forse è meno inutile, e una serie che sto guardando.
Ieri era TDOV, Transgender Day of Visibility, e l’ho passato tutto a mettere like e ripostare contenuti delle persone trans che seguo. È un momento terrificante per chiunque, ma per le persone trans è ancora più terrificante, perché sono state individuate come capri espiatori dalle destre di tutto il mondo, cosa che - oltre alla soppressione dei diritti e alla difficoltà di accedere alle cure per l’affermazione del genere - inevitabilmente porta alla violenza casuale. Ogni giorno in cui siamo timidə verso l’esistenza delle identità trans è un giorno in cui ci allineiamo alle autocrazie di tutto il mondo. Non è questione di opinione, l’esistenza della gente non si discute e io personalmente non sono interessata a discuterla (ed è due terzi del motivo per cui non apro dibattiti con le TERF). È questione di accettare la realtà per come si presenta, quando la realtà è che le persone sono molto varie e per lo più vogliono solo vivere in pace.
L’ho toccata piano
Ieri è uscito su Valigia Blu un articolo a cui ho lavorato con molta cura (del resto, quando mai no: se non ce la mettessi io, ce la metterebbero i redattori che me li spulciano riga per riga) sulla funzione culturale della violenza sessuale, a partire dalla presenza di una certa quantità di stupratori e predatori sessuali dentro la Casa Bianca. Ci tengo, perché è raro avere lo spazio per dire le cose dritte.
Rita De Crescenzo non è una guru della comunicazione
Rita De Crescenzo, la TikToker napoletana diventata famosa anche fuori da TikTok per la storia della gita di massa a Roccaraso, ha invitato la gente a partecipare alla manifestazione del 5 aprile contro il riarmo organizzata dal Movimento 5 Stelle. Fino qua niente di male: De Crescenzo è una cittadina come tutte, e ha ogni diritto di usare il suo spazio per inviare un messaggio politico. La si può criticare sulla forma o sulla sostanza, ma il suo diritto di parola è sacrosanto: le critiche, a loro volta, possono essere affette da classismo, antimeridionalismo, misoginia. Non sarebbe la prima volta che una donna un po’ sopra le righe viene criticata per come si presenta, più che per quello che dice o fa. De Crescenzo, tra l’altro, è sotto processo per traffico di droga e spaccio, cosa che (al netto dei tre gradi di giudizio) rende complicato annoverarla fra le grandi maestre del pensiero contemporaneo.
Eppure giuro che l’ho visto dire, che Rita De Crescenzo evidentemente sa parlare alla gente in un modo che per altri è inarrivabile, quindi bisogna stare zitti.
Sono anni, ormai, che a sinistra il dibattito sulla narrazione della politica e il “saper parlare alla gente” sta deragliando in direzioni a volte involontariamente comiche, che finiscono per accreditare qualunque influencer come Gran Mogol della comunicazione efficace. Rita De Crescenzo è una TikToker, non una comunicatrice: intrattiene, fa spettacolo in quel contenitore di varia umanità che è la piattaforma video più popolare del mondo, ed è seguita come tante altre persone, non per quello che dice ma per il suo essere, come dicevo, costantemente sopra le righe. Ho scorso i suoi video sulla piattaforma: quando non fa il lip-synch su questo o quel brano, parla di sé stessa, si mostra mentre viene truccata, mostra la macchina o i vestiti. Non c’è uno studio del personaggio, non c’è nient’altro che lei che fa sé stessa.
L’idea che una TikToker napoletana possieda la chiave per arrivare dritto al cuore di un elettorato inerte è, mi pare, un po’ figlia del paternalismo con cui certa sinistra guarda alle classi sociali meno istruite, che da un lato vorrebbe civilizzare e dall’altro osserva come se fossero creature innocenti e incontaminate, “vere” e quindi in qualche modo migliori. Un cocktail micidiale di anti-intellettualismo e classismo al contrario per cui dobbiamo ringraziare Silvio Berlusconi e la sua metodica demolizione di ogni discorso pubblico appena più sofisticato di “C’è figa, qui?”
Se Rita De Crescenzo “arriva” alla gente è per i motivi più disparati: c’è chi si identifica in lei perché in qualche modo le somiglia, chi condivide con lei dei tratti culturali che gliela rendono simpatica, e chi invece la segue per lo stesso motivo per cui la gente segue La Zanzara su Radio24 o guarda Italia Shore o Ex On the Beach: gli piace guardare gente che considera mostruosa, si rilassa così, contemplando l’umanità a grado zero. Nessuno, ma proprio nessuno, segue Rita De Crescenzo perché “sa parlare” alle persone, perché da lei nessuno si aspetta che dica qualcosa di illuminante sulla vita o sulle cose. Se stiamo cercando un guru della comunicazione per salvare la sinistra dall’irrilevanza, mi sa che dobbiamo cercarlo altrove.
Sto guardando
Con mostruoso ritardo, abbiamo iniziato Severance (non mi viene da chiamarlo Scissione, così come non ho mai chiamato Game of Thrones con il titolo italiano, scusate titolisti: Severance contiene un gioco di parole sul licenziamento che Scissione non ha). Severance è un caso da manuale di serie-diesel: quando è uscita, nel 2022, la cultura pop era dominata da Succession. Ora che Succession è finita, Severance può finalmente avere la rilevanza che merita.
Se non ne sai niente: la serie è ambientata in un luogo non meglio precisato degli Stati Uniti, potrebbe essere il Wisconsin, l’Illinois o qualunque altro stato del Midwest. Ci sono grandi boschi, nella prima stagione piove o nevica di continuo. C’è un uomo molto triste, e c’è un’azienda, una di quelle megaditte galattiche piantate in mezzo al niente, che si chiama Lumon, e nessuno sa cosa faccia di preciso. Chi lavora in alcuni dipartimenti di Lumon accetta di farsi impiantare un chip nel cervello che scinde la memoria di quello che è all’interno dell’ufficio da quello che è al di fuori: in pratica, ogni persona è due persone, e nessuna delle due ha memoria di quello che fa l’altra, di come vive, di quali sono le sue relazioni, se sia felice o triste.
Severance parla di molte cose: di bilanciamento vita-lavoro, ma anche di identità (chi siamo, noi, se non i nostri ricordi e i nostri affetti?), della mentalità delle sette, di capitalismo, di salute mentale e di cosa siamo disposti a fare pur di smettere di soffrire. È tutto insieme, tutto denso e compresso e inquietante a partire dai titoli di testa. La cosa interessante è che la serie è ideata, prodotta e in buona parte diretta da Ben Stiller. Sì, quel Ben Stiller, quello che si strozzava il pisello nella cerniera dei pantaloni in Tutti pazzi per Mary, quello di Zoolander, lui. Ed è pazzesca. Insieme a Slow Horses, vale l’abbonamento ad Apple+.
Le date
Comincio da una cosa che aspetto come si aspetta la gita scolastica, vale a dire il Festival internazionale del giornalismo di Perugia. Un momento magico in cui si parla di cose serie, ma soprattutto si rivedono persone che altrimenti non vedremmo mai, tipo che io aspetto questo momento solo per pranzare con
, Carola non fare scherzi ché i pici con il ragù bianco senza di te non sono la stessa cosa.Domenica 13 alle 15.50 mi trovate alla Sala Raffaello dell’Hotel Brufani con Amalia De Simone, per il panel Crimine e pregiudizio: come raccontiamo la violenza quando a colpire è una donna.
Le altre date confermate sono queste:
Il 17 aprile sono a parlare di Brutta (il libro) alla sala civica di Albinea (RE) per la manifestazione Primavera di donne.
Il 16 maggio, invece, sono con Giulia Paganelli (aka evastaizitta) alla Casa delle Donne di Amelia (TR), per un incontro sul tema del corpo.
C’è una replica di Brutta in più oltre a quella già segnalata a Gozzano l’11 aprile, il 16 aprile a Lucca, mettiti un promemoria, ci sarò anche io.
A martedì prossimo!
Giulia
Sono rimasta delusa da questa puntata. Premetto che non conosco, se non per sentito dire De Crescenzo, non ho TikTok e non ho abbastanza tempo per leggere o ascoltare le cose che non mi attraggono. Quindi dò per scontato che quando asserisci che lei non è una comunicatrice, e che quello che dice e mostra non ha nulla a che fare con l'educazione di un elettorato disperso, sia una verità basata sulla conoscenza di cosa è la vera comunicazione educativa. Ma ho letto almeno 2 volte di troppo l'aggettivo -napoletana- affiancato al soggetto in questione, per definirla. È importante specificare la provenienza geografica di una persona che comunica sopra le righe? È necessario indicarla per spiegare perché quella persona non sia utile allo scopo della divulgazione, ma che anzi è anche imputata per spaccio o quant'altro, per cui non annoverabile tra le persone meritevoli di attenzione? Non so...
Molto interessante…attenzione però … i gradi di giudizio sono due e non tre .. la cassazione è un giudizio di legittimità, non di merito