Vrenzole al balcone
Questa settimana: Schadenfreude a palate, una novità di Substack, molte segnalazioni, qualche data.
La settimana scorsa ero un po’ avvilita. Ogni tanto capita e di solito non ne parlo, ma l’avvilimento era tale da non poter essere nascosto o contenuto. Ne ho parlato, quindi, perché non è che una possa fingere che i momenti di scoramento non esistano: bisogna accettarli, elaborarli e andare avanti. Fra i motivi per cui ero scoraggiata c’erano la nomina della condannata per peculato Augusta Montaruli in Commissione Vigilanza Rai e l’annuncio che Matteo Renzi avrebbe preso la direzione de Il Riformista, in barba a ogni considerazione di opportunità.
Tempo pochi giorni e il karma sembra avere fatto (almeno in parte) il suo lavoro. Il progetto del Terzo Polo, con cui Renzi e Carlo Calenda parevano apprestarsi a conquistare le vaste praterie del centrodestra liberale o centrocentro democristiano o quello che è, è imploso, anzi no, è deflagrato fra accuse, offese, strali e fischiabotti, il tutto fra Twitter e una disastrosa intervista di Calenda da Lilli Gruber. È successo quello che ci si aspettava: ci può essere solo un gallo per ogni pollaio, e qui ce n’erano due. Per un po’ hanno fatto finta di andare d’accordo, ma ognuno voleva proteggere il suo dominio: non poteva che finire così.
Lo so, lo so che gioire per le disgrazie altrui è una cosa brutta, che torna indietro, ma cosa ci posso fare? Ho riso. Tanto. Non sono l’unica, eh: Renzi e Calenda al balcone come le vrenzole dei The Jackal hanno dato grandi gioie a un sacco di gente.
Schadenfreude a parte, ci sono delle considerazioni politiche un po’ più serie da fare, qui. E la prima, più importante, è questa: esistono davvero queste grandi praterie di elettorato in attesa di rappresentanza, come prospettato (con vari gradi di soddisfazione) da alcuni il giorno dell’elezione di Elly Schlein a segretaria del Partito Democratico?
La mia ipotesi è che no, non esistano. Gli elettori del Terzo Polo sono quelli che sono, una fetta molto piccola dell’elettorato. Non perché le idee di Renzi e Calenda non siano condivise, ma perché le persone votano per appartenenza: a destra o a sinistra, per lo più. E soprattutto a destra, senza farsi troppe domande sulla sostanza delle proposte, come stiamo vedendo in questi primi mesi di un governo Meloni che per dirla con un francesismo non si trova le chiappe con due mani. Questo voto identitario lo vediamo in azione nelle nostre vite quotidiane, in cui gli elettori autoidentificati come del Terzo Polo sono praticamente inesistenti. Qualche voto lo prendono, ma da gente che si è sempre identificata in un altro modo: come di sinistra, o di destra moderata. Questo “terzo polo” è un’entità misteriosa, sospetta per quelli di destra (che lo ricollegano, giustamente, al PD: da lì vengono, o sono transitati, i due leader) e molle per quelli di sinistra (che ne identificano correttamente l’orientamento: del resto, non ci vuole molto). Un’ipotesi suffragata anche da Romano Prodi, che pur non essendo il mio politico preferito è anche uno che di destra, centro e sinistra forse un po’ ci capisce.
Insomma: Renzi e Calenda, chi è che rappresentano? Oltre, si capisce, sé stessi e le persone che li hanno raggiunti nei rispettivi partiti, con la prospettiva di crearne uno insieme? Sono davvero la risposta a una carenza di offerta, o solo due che combattono fra loro per affermare idee scarsamente comprensibili e ancora meno condivise? I risultati non proprio stellari nelle varie tornate elettorali (con l’eccezione di Roma, in cui il personaggio Calenda è andato meglio di quanto ci si potesse aspettare, più per demeriti degli altri candidati che per meriti suoi), inclusa quella lombarda, sembrano dire che no, quell’elettorato ora non c’è; e in prospettiva, forse, non ci sarà mai. I conservatori vanno verso la destra che già conoscono, più chiara nella sua discendenza, più netta nel comunicare il suo desiderio di ritorno a un felice passato che è per lo più un prodotto di finzione. I progressisti vanno (per ora con prudenza) verso un PD che sembra avere dato una sterzata abbastanza netta da un riformismo prudente verso uno più rigoroso, alla spagnola.
Soprattutto, mi pare, alle questioni di rappresentanza bisogna anche affiancare un discorso sulla visione. Inseguire l’elettorato per promettergli quello che vuole è l’essenza del populismo che ha distrutto la politica italiana, riducendola a un mercato rionale in cui si compete per conquistarsi la clientela. “Vincere al centro” è una strategia già tentata e del tutto fallimentare: perché non provare, piuttosto, a proporre idee chiare, realizzabili, con un indirizzo preciso che non sia dettato dal desiderio di conservazione ma piuttosto dalla necessità di rivoluzionare un modello economico e sociale basato sulle disuguaglianze? La sfida è quella, non certo andare all’inseguimento di un elettorato che, dati alla mano, non sembra proprio esserci.
Io quasi quasi spero che dai balconi dell’ormai defunto Terzo Polo continuino ancora un po’ a far volare gli stracci. In un momento cupo come questo, in cui l’Italia ha deciso di sposare la linea Orbán sui diritti delle persone LGBTQ, e la propaganda di destra tiene un cuscino premuto su qualsiasi tentativo di dibattito o rivendicazione, abbiamo proprio bisogno di un bel drammone politico dove nessuno si fa male davvero. È Uomini e donne per i nerd della politica, e Calenda è la nostra Gemma Galgani.
Una cosa che ho scritto
La settimana scorsa dicevo che sarei tornata sulla questione del neonato lasciato nella Culla per la Vita dell’Ospedale Mangiagalli. Arianna Ciccone, fondatrice di Valigia Blu e del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia, ha colto la palla al balzo e mi ha proposto di espandere le mie riflessioni in un pezzo che puoi leggere qui.
Una cosa che ha scritto qualcun altro
C’è un dibattito in corso sull’utilità dei TEDx e il valore del lavoro culturale che è piuttosto interessante, e ci sarei tornata pure io se non fosse che quello che dovevo dire l’ho detto a
, che ne ha scritto nella sua newsletter.La novità della settimana
Qualche giorno fa Substack ha lanciato Notes, una sorta di social network interno che per ora mi è stato utile per scoprire un po’ di gente nuova. Per gli americani è una mezza svolta, pare: chi ha cominciato a usarlo con costanza ha visto un incremento notevole degli iscritti nel giro di poche ore. Per noi italiani, che dentro Substack siamo ancora i figli della serva, le cose sono rimaste più o meno uguali. Gli utenti di Notes, per ora, sono le persone che hanno una newsletter su Substack, e anche se gli americani già si lamentano dell’assenza di moderazione e della conseguente presenza di nazifascisti nella loro timeline, lato Italia è tutto molto più tranquillo e civile e per ora non ci sono i troll, né quelli fascisti né quelli no vax e nemmeno quelli del Terzo Polo.
Ne sto approfittando per ricircolare (qui si chiama “restack”, temo l’orrendo calco che ne potrebbe derivare) alcune cose che ho trovato interessanti, fra cui la neonata newsletter di
.La newsletter è troppo lunga!
L’avevo detto, io, che questa settimana avrei sbrodolato: mi mancano ancora da segnalare le date della settimana, e Substack mi manda messaggi minatori sulla lunghezza della mail. Ricapitolando…
Il 20 aprile, all’ora dell’aperitivo (più o meno le 19.00), sono da Mademoiselle Vintage a chiacchierare, di libri ma anche di altro. Il 21 aprile sono a parlare di Scintilla nel buio alla Casa delle Donne di Terni: si inizia alle 17.30.
Il 22 aprile sono all’International Journalism Festival di Perugia, per un panel che in origine avrebbe parlato di aborto, ma che abbiamo aggiornato per ampliare il tema, e ovviamente ci rientra anche la questione del parto in anonimato.
Finita? Sì, dai, ci sentiamo la settimana prossima (e ci saranno date nuove).
Giulia
credo che sul terzo polo incomae anche, nel bene e nel male, una legge elettorale polarizzante