L'imprescindibile analisi del voto
E figuriamoci se potevo esimermi. Ma anche: un podcast dal grande tempismo, e un film che mi è piaciuto moltissimo.
Questa settimana ci sono un sacco di cose da dire, quindi le comunicazioni di servizio le mettiamo all’inizio. Cose mai successe è uscito anche in formato audiolibro su Storytel, letto da me medesima: è possibile attivare una prova gratuita qui.
Venite a parlarne con me qui:
13 giugno, ore 19.00 - Empoli (FI), Libreria Rinascita
23 giugno - Pescara, Squilibri Festival
30 giugno - Cividale (UD), Mittelibro
8 luglio - Thiene (VI), Villa Fabris
18 luglio - Firenze, Libreria Malaparte
19 luglio - Arezzo, libreria Feltrinelli
E ora…
L’imprescindibile analisi del voto, appunto
All’indomani di un’elezione importante, l’elettorato di sinistra si divide grossomodo in due gruppi: quelli che - a prescindere dai numeri e dai risultati reali - piange e si dispera e si straccia le vesti al grido di “non c’è speranza!”, e quelli che, a fronte di una situazione che presenta elementi concreti di preoccupazione1, cercano comunque i punti su cui ricostruire2. Pur non andando pazza per la pratica dell’attribuzione della vittoria anche a fronte di una sconfitta, io tendo a rientrare nel secondo gruppo. Sono femminista, dopotutto: il nostro lavoro è sempre in salita. E con dei secchi d’acqua sulla schiena. E le vesciche. E una corda alle caviglie a cui sono appese le TERF e quelli che frignano “NON TUTTI GLI UOMINIIII!”
Cominciamo dai dati che sono sotto gli occhi di tutti: il risultato delle europee in Italia è una legittimazione della leadership di Meloni, che ha preso circa due milioni di preferenze personali. Non è chiaro se chi l’ha votata sapesse o meno che non aveva intenzione di andare al Parlamento Europeo, e non è rilevante: questo voto la conferma alla guida della destra italiana ed è una misura del larghissimo consenso di cui gode a livello personale dopo oltre un anno e mezzo di governo. Cosa ne sarebbe di Fratelli d’Italia se lei non ci fosse è difficile dirlo, e forse non è nemmeno rilevante. Con i due principali alleati sostanzialmente disattivati (in particolare la Lega, che nemmeno il mezzo milione di voti a Vannacci è riuscita a salvare), Meloni va dritta verso la fine del suo mandato e al momento ha solo il problema di capire dove posizionarsi in Europa, se in maggioranza e contro Salvini, o all’opposizione e quindi fuori dalle stanze in cui si prendono le decisioni. Un risultato conseguito, certo, avendo il controllo dei media e senza fare mai una conferenza stampa o un incontro con i giornalisti che non fosse improntato alla massima compiacenza, ma comunque un risultato notevole.
Dall’altro lato, c’è una segretaria del Partito Democratico a cui pure il partito stesso era restio a dare fiducia, per usare termini caritatevoli, e invece è stata capace di portare il partito a un risultato di molto superiore alle aspettative. Quell’oltre 24% certifica la leadership di Elly Schlein sia all’interno del PD che fuori, nel campo più largo dell’opposizione. I maneggi e i capricci e i voltafaccia di Giuseppe Conte e del Movimento 5 Stelle (che in molte tornate delle amministrative, e anche in questa, hanno avuto come risultato la vittoria delle destre) non hanno pagato, mentre sono andati molto bene e molto al di sopra delle aspettative i partiti di sinistra ecologista: Alleanza Verdi Sinistra ha avuto un boom, raccogliendo il voto dei giovani e degli studenti fuorisede, che per la prima volta hanno potuto votare fuori dal comune di residenza.
Un po’ di numeri per capirci qualcosa di più
L’affluenza è un disastro, questo è chiaro: meno della metà degli italiani ha votato. La maggioranza per dissociazione cronica dalla politica, una sparuta minoranza per convinzione personale rispetto alla necessità di non legittimare la politica esistente con un voto, ma all’atto pratico sono sempre voti che mancano, e intanto in Germania, Francia e Austria i nazifascisti fanno il botto. La democrazia è anche aritmetica: il voto non espresso è un voto non espresso, e se a votare ci vanno in percentuale maggiore quelli di destra, vincono quelli di destra. Come dicevo un paio di settimane fa, è più facile litigare con un centrosinistra anemico che con fasci vigorosi, per quanto irrimediabilmente cialtroni.
Ma è andata davvero così male?
Fermo restando che sì, vincere hanno vinto (per i motivi che dicevo sopra), è anche vera un’altra cosa: i partiti di destra sono in calo di elettori. Quelli persi dalla Lega forse sono confluiti in Fratelli d’Italia, ma anche Fratelli d’Italia ha perso oltre 660.000 voti fra le politiche 2022 e le europee 2024. Gli unici partiti in crescita sono il PD (che probabilmente ha risucchiato un bel po’ di elettori ai Cinque Stelle) e Alleanza Verdi Sinistra, che è cresciuto di un terzo rispetto alle ultime consultazioni e ha registrato uno strepitoso 40,4% fra i fuorisede che hanno approfittato della possibilità di votare lontano dal luogo di residenza. I laureati e i giovani di cultura tendono a votare a sinistra, e questo potrebbe spiegare (almeno in parte) come mai la destra sia così dichiaratamente anti-intellettuale.
In un panorama politico polarizzato, l’elettore di destra difficilmente migra a sinistra. L’elettorato rimbalza, tipo pallina del flipper, dentro un quadro identitario limitato. Dati alla mano, però, c’è sempre meno gente che vota a destra e sempre più gente che vota a sinistra. Di tutte le colpe che si possono imputare a PD e AVS, almeno questa volta, non c’è quella di aver incentivato l’astensionismo. La gente è effettivamente andata al seggio a votarli. Non abbastanza da farli vincere, ma più di quanto ci si aspettasse.
Il centro non c’è più (l’avevo detto, io)
Mi autocito, perché l’abitudine di segnarsi tutto genera pezze d’appoggio utili. Ho scritto qui, all’epoca della vittoria di Elly Schlein al congresso del Partito Democratico:
[…] Il tentativo di “vincere al centro”, alla democristiana, ha avuto come effetto l’allontanamento di chi al centro non c’è mai stato e non ci vuole stare.
I risultati non esaltanti del Terzo Polo, il tentativo di centrismo liberista di Renzi e Calenda, ce lo dicono: al centro non sembra esserci granché da vincere. Dal punto di vista elettorale, i conservatori presentabili sono molto meno spendibili dei conservatori impresentabili e violenti incarnati dalla destra di Meloni e Salvini, e anche meno dei wannabe progressisti del PD, che ha sicuramente tanti difetti ma rimane un partito, e finora è sopravvissuto ai suoi leader (anche, va detto, per una certa inerzia dell’elettorato di sinistra, ormai avvezzo a scegliere il meno peggio pur di assicurarsi una rappresentanza). Le correnti vanno e vengono, i dirigenti (Renzi, appunto) entrano ed escono, ma il partito rimane.
I liberali sono spariti anche a livello europeo, e con loro anche le due formazioni delle Joan Crawford e Bette Davis della politica italiana, vale a dire Renzi e Calenda, che non hanno superato lo sbarramento. Se da un lato non so fare pronostici sul futuro del centrodestra liberale (che mi sembra sia in estinzione da un pezzo, e ci vorrebbero molte più parole per tentare un’analisi del perché), al momento non mi sembra ci siano gli estremi per individuare una possibile inversione di questa tendenza. E il primo a non averlo capito, indovinate chi è stato?
Forza Italia gioca il 47 (e vince)
No, non sono le percentuali, quelle non le faceva neanche Silvio ai bei tempi in cui tutti lo amavano alla follia, ma è indiscutibile che Tajani alle elezioni si sia giocato il numero del morto che parla, e che questo gli sia valso un risultato in doppia cifra. Ci devono aver speso un bel po’ di soldi, eh (almeno a giudicare dalla quantità di spot elettorali che giravano in loop nelle stazioni: ho perso il conto delle volte in cui ho sentito cantare Azzurra libertàààà mentre aspettavo le coincidenze a Verona o a Vicenza e in generale in tutti gli snodi ferroviari da cui partono i regionali), ma il weekend elettorale col morto ha dato i risultati sperati.
Forza Italia aveva solo un avversario: la Lega. Lo ha battuto. Non solo: Salvini ha investito tutto su Roberto Vannacci, il capo di Stato Maggiore di tutti gli scemi da bar del paese, e quello ha preso da solo un quarto dei pochi voti della Lega. Da qualche parte, in Veneto, stanno già rifacendo il filo ai coltelli del salame.
Il Premio Schadenfreude va a…
… Susanna Ceccardi, ex sindaca di Cascina e vedette della Lega, che si è giocata la campagna elettorale così:
Sono stati eletti tutti, tranne lei.
Elly Schlein ha fatto un lavorone
Dicevo prima: il partito non ci credeva. Le hanno fatto la guerra quando si è candidata alla segreteria, e anche dopo, è stata tutta una corsa in salita (del resto, è femminista anche lei). La stampa non le era amica: non potendo attaccarla sui contenuti, si sono buttati sulla forma dei contenuti, cercando di affermare la narrazione della segretaria del PD che quando parla non si capisce niente. Inconcludente, petulante, Meloni governerà per cent’anni, il Partito Democratico crollerà/si sposterà su posizioni estremiste/andremo al 17%, vabbe’.
Chi la segue su Instagram si sarà accorto della quantità di “ellyesse ha avviato un video in diretta” che ci comparivano sullo schermo, più volte al giorno e ogni volta da un posto diverso, spesso lontano centinaia di chilometri da quello precedente. La campagna elettorale se l’è fatta così, Elly: in autostrada, mangiando panini in autogrill, in mezzo alla gente. Chi ha tenuto il conto dice: 123 tappe. Come abbia fatto, io non lo so (sono stremata per aver fatto un decimo della fatica che ha fatto lei, ma del resto ho 13 anni in più), ma ha pagato. Il partito ha superato il risultato delle ultime europee, quel 22,7% di soglia psicologica inspiegabilmente usato dagli analisti come riferimento, anche se l’ostacolo da saltare era ben più alto rispetto al 19% del risultato delle politiche, che rappresentava l’asticella di tutti gli altri partiti. Sono ancora qua che mi domando perché.
Ostacolo saltato, non in scioltezza ma con un bel po’ di margine, e senza un’eccessiva verticalizzazione su di lei (le preferenze raccolte sono poche, dieci volte meno di quelle di Meloni). Ora il PD avrebbe, secondo Domani, la delegazione più forte nel gruppo dei Socialisti europei. Per citare Kim Kardashian, “Not bad for a girl with no talent.” Quella che “non si capisce niente” ha trovato il modo di farsi capire, o forse si capiva benissimo anche prima.
Il tempismo di Altre indagini
Il giorno dei risultati delle europee è stato anche il giorno in cui Altre indagini, il podcast de Il Post riservato agli abbonati in cui Stefano Nazzi racconta le grandi vicende della storia italiana con lo stesso taglio delle cronaca nera di Indagini (per cui tutto diventa un mistero da svelare o un thriller da seguire col fiato sospeso), è uscito con due puntate dedicate alla strage di piazza della Loggia a Brescia, di cui il 28 maggio ricorreva il cinquantesimo anniversario. Il podcast, essendo un podcast che parla di indagini, ricostruisce la vicenda giudiziaria paludosa e inquietante, e in buona parte ancora oscura, dietro uno degli attentati più sanguinosi fra quelli messi in atto dall’estrema destra con la probabile complicità di apparati dello Stato.
Il tempismo è straordinario. Perché è sempre bene ricordare chi sono i fascisti, e qual era l’obiettivo che perseguivano, del tutto diverso da quello dei brigatisti rossi. Le BR volevano distruggere lo Stato, erano contro lo Stato, e dallo Stato hanno ricevuto una fiera opposizione. I terroristi neri no, quelli hanno avuto, almeno in parte, l’appoggio degli apparati statali: il fine ultimo era impedire che i comunisti arrivassero al governo e che l’Italia virasse troppo a sinistra. Per farlo uccisero persone innocenti, e non si fecero scrupolo di provare a scaricare la responsabilità sugli anarchici, creando false piste.
È giusto ricordarlo: il terrorismo di qualunque colore è sempre la scelta sbagliata, ma i fascisti non hanno altra modalità che la violenza, per ottenere quello che vogliono. Le Brigate Rosse erano contrarie alle scelte politiche di Berlinguer, non volevano che i comunisti diventassero organici alle dinamiche della democrazia, e non ebbero dal PCI alcun appoggio. Non si può dire altrettanto di Ordine Nuovo, dei NAR e di tutte quelle organizzazioni, piccole e grandi, che usarono la violenza per impedire quel processo democratico, e ci riuscirono pure. La dialettica politica è estranea al fascismo: la sua unica modalità - ed è sotto gli occhi di tutti, in Italia e altrove, ieri e oggi - è la sopraffazione.
Un film bello con un titolo bizzarro
Le règne animal di Thomas Cailley esce in Italia il 13 giugno con un titolo inspiegabile che non riflette quello internazionale: per ragioni che non sono in grado di comprendere, in Italia viene distribuito come The Animal Kingdom. Il film è ambientato nella Francia rurale, l’inglese compare (a mia memoria) in un solo slogan. Va savoir.
Del film si sta parlando anche perché la colonna sonora è stata composta da Andrea Laszlo De Simone, artista torinese che per questo lavoro ha vinto un César, primo italiano a essere premiato in quella categoria. Ieri sera sono andata all’anteprima al Cinema Barberini, e mi è piaciuto moltissimo (anche se lo vorrei rivedere in originale).
La storia, come si capisce dal trailer, è quella di un mondo in cui alcuni esseri umani cominciano inspiegabilmente a mutare in una sorta di ibrido animale. Il motivo per cui questo avviene non è mai spiegato, come non è spiegato da quanto succeda e quali siano le origini della mutazione: il film non perde tempo con la pseudoscienza ma presenta uno scenario come dato acquisito, prendendo a prestito in maniera evidente molte delle suggestioni fornite dalla pandemia.
Non è, però, un film sul Covid, né un film di supereroi alla X-Men (con cui condivide la parentela più stretta). È, piuttosto, una storia di paternità, crescita, identità e amore incondizionato, di mutamenti e accettazione della propria natura, di paura e liberazione. Émile, il protagonista, si trasferisce con il padre François in un paesino isolato per essere più vicino alla madre, che ha iniziato il processo di trasformazione in “bestia”. Ed è qui che anche lui comincia a esibire i primi segni della mutazione, un processo irreversibile con cui è costretto a fare i conti, mentre François vaga alla ricerca della moglie, dispersa dopo un incidente avvenuto nel trasporto delle creature.
The Animal Kingdom è il punto in cui la distopia, la politica e i rapporti umani incontrano la cinematografia europea, i suoi ritmi, linguaggi ed estetica. Le creature del film sono in gran parte create con il trucco, con pochissima grafica computerizzata e moltissime trovate visive davvero spettacolari (due su tutte, una scena nel bosco in cui Émile vede finalmente le creature ibride che lo abitano, e una con i poliziotti sui trampoli in un campo di mais). Un film ricco, con una fotografia sontuosa, una storia a tratti davvero struggente e una colonna sonora che il premio se l’è meritato tutto, ma tutto tutto.
Ci risentiamo martedì prossimo!
Giulia
Che ci sono, mica facciamo finta di no.
A questi vanno aggiunti, ovviamente, quelli per cui qualunque risultato della sinistra non è un risultato della sinistra perché nessuno dei partiti di sinistra è abbastanza di sinistra, che probabilmente coincidono con quelli che prima delle elezioni dicevano che loro non sarebbero andati a votare, e che dopo le elezioni si camuffano per non essere insultati da chi ha fatto, come sempre, il suo dovere di cittadino.
Grazie del recap! In quanto Italiana all'estero ho avuto qualche problema ad accedere via treno regionale (quindi non ho votato)
Non mi preoccupo per il dato dell'affluenza a prescindere, visto che in Germania è aumentata "grazie" ai nazisti di AfD e ai rossobruni di Bsw