Mamma mia
Questa settimana parliamo di maternità, vissuta ma soprattutto strumentalizzata.
Non ho seguito la cerimonia di insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, né in televisione né sui social. Mi sono messa a scrivere la newsletter, invece, che è una cosa che mi dà gioia e soddisfazione. Nei prossimi anni mi sono ripromessa di cercarla di più, questa gioia: quello che sta succedendo è troppo grande per me, troppo oltre le mie possibilità. Ho ricominciato a pensare piccolo, non nel senso della mancanza di ideazione ma nel senso della riduzione delle aspettative. Soprattutto, voglio stare bene. E guardare il grugno di Trump alla televisione o Elon Musk che fa il saluto nazista in mondovisione non è una cosa che mi fa stare bene. Ci sarò costretta, come tutti, per i prossimi quattro anni (se va bene), ma non intendo infliggermelo più del necessario. Il primo anno della presidenza Trump sarà molto doloroso per molte persone, i capri espiatori che ha già individuato e che gli serviranno per dare un segnale a chi l’ha votato: le persone con background migratorio, le persone razzializzate, la comunità LGBTQ+ e più nello specifico le persone trans, che sono il bersaglio più visibile e più fragile.
Non voglio dare a Trump, Musk e soci e nemmeno al governo di Giorgia Meloni più tempo ed emotività di quanta me ne abbiano già rubata. Ieri sera, invece di stare a guardare i nazisti che prendevano il potere in America, me ne sono andata a festeggiare il primo compleanno di Poppy’s da quando Poppy’s ha lasciato questa dimensione dell’esistenza, e mentre ero lì ho pensato che la gente della musica romana è la mia famiglia di cuore, quella che mi ha accolta in città e che tuttora amo.
Ma tornando un attimo al governo Meloni…
Titolo di studio: mamma
La nomina di Marina Terragni a Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza ha fatto un po’ di rumore, com’è giusto visto che Terragni non ha — a quanto ci è dato sapere — alcuna competenza specifica in materia di infanzia e adolescenza che non siano le sue posizioni estreme e antiscientifiche sulle identità trans e sulle cure per bambini e bambine con un’identità di genere non conforme1. La carenza di competenze è tale che Terragni, nelle dichiarazioni pubbliche che ha reso sulla questione, non è riuscita ad andare oltre una generica rivendicazione di “sensibilità” differenti, ma il momento migliore arriva in questo articolo di Viola Giannoli per Repubblica, di cui riporto il sottotitolo e un estratto.
Terragni è notoriamente litigiosa e usa spesso la querela (o la minaccia di querela) contro chi le muove delle critiche, ma il fatto è questo, incontestabile: “mamma” non è un titolo di studio, non è una qualifica, non è un’esperienza professionale, non è niente. Tantomeno “zia”, per cortesia, perché altrimenti non capisco dove sia finito il mio incarico di prestigio presso un governo qualsiasi (preferibilmente non questo). “Sono mamma” è il rifugio retorico di chi cerca di contrabbandare la maternità come evento capace di trasformarti da donna regolare a donna superpiù, un essere potentissimo e multipercettivo capace di ogni cosa. Faccio già fatica ad accettarlo nel contesto di una conversazione familiare, figuriamoci se viene portato nel contesto di una nomina a un incarico di prestigio. È un insulto a tutte quelle che hanno studiato, si sono laureate e secondo l’Istat prendono dal 16,6 al 30,8% in meno dei loro pari maschi, ma non hanno amici potenti in grado di elargire nomine di rilievo.
Le posizioni di Terragni in materia di infanzia e adolescenza, oltretutto, sono note, nel senso che l’unico punto della sua produzione intellettuale che riguarda questo momento della vita è quello che interseca la sua avversione per le identità trans. Non è difficile ravvisare in questa nomina la logica repressiva e discriminatoria che anima tutte le decisioni in materia della ministra Roccella, sodale di Terragni e come lei talmente disconnessa dalla realtà da credere davvero che le persone trans si formino spontaneamente nell’età adulta, o peggio: che siano “indottrinate” a pensarsi al di fuori del genere a cui sono assegnate alla nascita. Chi ha un figlio o una figlia trans lo sa (e fra le mie amiche e conoscenti ce ne sono diverse): non funziona così, non è mai stato vero. La maggiore quantità di informazioni disponibili può aiutare le persone trans a prendere coscienza della propria identità, non se la può inventare di sana pianta. È impossibile far “diventare” trans una persona che non lo è, mentre il tentativo di fare il contrario (cioè: manipolare una persona trans perché rinunci a vivere secondo la sua vera identità) è molto, troppo diffuso e frequente.
L’avanzata delle TERF e le mancanze del transfemminismo
Ora dirò una cosa un po’ spericolata. Una cosa che ha più a che vedere con la ripetizione di certi schemi che sto osservando nelle mie immediate vicinanze, più che con veri e propri studi. Potrei avere torto o ragione, ma è un’ipotesi con un certo fondamento.
Quello delle ex femministe diventate strumento delle destre è un gorgo vorace che sta risucchiando anche donne altrimenti aperte e disponibili all’altro. La leva utilizzata per attirarle è proprio quella della maternità, dipinta come esperienza mistica ai confini con l’esoterico, e lo capisco: c’è qualcosa di davvero misterioso nella capacità di un corpo di formare un intero altro corpo al proprio interno. Ogni volta che vedo un neonato mi fermo a guardare le mani, le orecchie, i piedi: sono miniature perfette, le unghie minuscole e già un po’ lunghe, ditini piccolissimi e già funzionali, un capolavoro di ingegneria. È stupefacente. La maternità, però, rappresenta anche uno stato di vulnerabilità assoluta, in un paese che disprezza le madri nella pratica in proporzione a quanto le loda nella teoria, e disconosce il loro desiderio di continuare a essere persone che vivono nel mondo e contribuiscono alla società oltre il lavoro riprodutivo. Le TERF agiscono su questo, sulla necessità delle madri di sentirsi riconosciute e parte di una squadra, perché i femminismi contemporanei le hanno abbandonate.
Lo dico perché è importante: i femminismi si occupano delle madri come lavoratrici, come cittadine e come detentrici di diritti, ma non sono molto accoglienti con il senso della maternità e con il ruolo della madre. Se ne occupano per decostruirlo, per liberare le donne imprigionate dentro la routine della cura e metterle nelle condizioni di conservare la propria identità, ma non lasciano un grande spazio alla metamorfosi profonda generata dal mettere al mondo un microumano, e ancora meno da quella (altrettanto complessa e duratura) attraversata dalle madri adottive2. Le femministe della differenza, quelle che con maggiore facilità finiscono per adottare posizioni transfobiche, danno un sacco di attenzione alla parte meravigliosa e trasformativa della maternità, che lungi dall’essere un retropensiero diventa pietra fondante di un impianto ideologico basato sul binarismo di genere e sul riconoscersi come forma di vita complementare a quella maschile. Una visione che compensa la sua scarsa validità scientifica con la poesia dell’immediato. Quanto è più facile sentirsi parte armoniosa del tutto, piuttosto che perenne dito nell’occhio dell’universo?
Anche questa apparente centralità ha dei limiti, dato che qualunque esperienza materna che non passi per il parto viene esclusa dal suddetto misticismo, e le donne che liberamente scelgono di mettere al mondo figli per altre persone sono prese in considerazione solo in un ruolo strumentale, raccontate come schiave, mai ascoltate o rispettate nella loro individualità. Il paradosso è che alle donne che portano avanti gravidanze per altri viene attribuita più voce e soggettività nel transfemminismo che nel femminismo della differenza, che invece sostiene di tutelarle.
Non ho risposte esaustive a questo problema, mi limito a segnalarlo: i femminismi li fanno le donne che li popolano, non ci sono stadi di proprietà o tesseramenti a una o all’altra squadra. Questa frattura mi sta portando via delle amiche, sta allontanando da me persone a cui voglio bene, perché la loro visione dell’umanità mi risulta ormai intollerabile. Non voglio dover scegliere fra loro e i miei fratelli e le mie sorelle trans, ma sono costretta a farlo: posso accogliere le differenze, non il dibattito sull’esistenza di persone che sono presenti e vive intorno a me nella loro umanità. Ma sono anche convinta che da quel gorgo di separazione e perdita di contatto con la realtà si possa e si debba uscire, e quando succederà io sarò ancora qui, senza giudizi.
Le date del tour di Brutta
Sono sempre quelle! Le informazioni sui biglietti sono qui.
8 febbraio - Cadelbosco (RE), L’Altro Teatro*
22 febbraio - Fara Sabina (RI), Teatro Potlach*
1 marzo - Bologna, Auditorium San Filippo Neri (ingresso gratuito)*
6-9 marzo - Roma, Spazio Diamante*
30 marzo - L’Aquila, Teatro dei 99
11 aprile - Gozzano (NO), Sala Somsi
Ci risentiamo martedì. Cerca di stare bene.
Giulia
Un’espressione per cui non vado pazza, perché: conforme a chi, conforme a cosa? (cit.) Purtroppo lo sappiamo: esiste una conformità, e quasi nessuno ci sta dentro davvero.
Se sembra che non stia parlando di padri, è perché della paternità devono parlare gli uomini, finalmente. Non possiamo farlo al posto loro.
Da adolescente ebbi la fortuna di guardare su una Rai ancora degna di essere servizio pubblico, una serie intitolata "un medico tra gli orsi". Educativa, piena di humour, interessante e con il merito di affrontare in ogni puntata il tema del diverso: il cittadino in un remoto angolo di mondo, l'indiano della riserva, la coppia con una marcata differenza d'età. Una battuta di una puntata mi folgorò. Si parlava di razzismo. E un personaggio disse all'altro che il razzismo dopotutto è qualcosa di curabile perché è qualcosa che hai imparato. "E allora?" Replicò l'altro. "Beh lo puoi disimparare SE VUOI". IL fulcro di tutto e li. Se vuoi, puoi considerare i trans persone come tutti e disimparare a considerarli sbagliati. Se vuoi, puoi cambiare il modo di vedere la maternità. Ma i fascisti odierni, orfani del dubbio, non lo vogliono. Più comodo farsi dare visioni e idee preconfezionate che fare la fatica di crearsele con il confronto e l'esperienza.
Quello che dici sul femminismo e la maternità non lo avevo mai messo a fuoco, ma è verissimo. Non dico che non siano state avanzate più volte istanze sul tema dei diritti delle madri, ma è un aspetto che indubbiamente è stato schiacciato in un angolo. Certo, è una reazione al madrecentrismo che ci impezza da sempre, però per forza poi le persone più vulnerabili si lasciano convincere che sia tutta colpa delle donne trans...anche se il nesso logico continua a sfuggirmi, forse è lo stesso degli immigrati che ci rubano il lavoro.