Collettivizzare i trend di TikTok
Questa settimana: nuove paranoie per tempi moderni, un discorso che non passa mai di moda, e una cosa che sto guardando.
Questa newsletter rischia di diventare un bollettino dei miei malanni, ma non è forse un sottoprodotto naturale dell’età che avanza, lamentarsi degli acciacchi? L’ultimo in ordine di tempo (ma non l’unico) è un’influenza fatta in piedi, o raffreddore persistente, non lo so1, ma comunque sono stata male per giorni, e in mezzo a questi giorni c’era una trasferta di lavoro a cui non potevo rinunciare. Ho preso il treno, e per la prima volta dalla fine della pandemia mi sono messa una mascherina, che ho tolto il meno possibile. E per tutto il tempo ho pensato che certo, stavo facendo bene: nei paesi dell’estremo Oriente è normalissimo indossarle per proteggere sé stessi e gli altri. Dovrebbe essere un costume più diffuso. Dall’altro lato, ho pensato: tutto il vagone ora pensa di stare viaggiando con una positiva al Covid, perché altrimenti chi è che se le mette, le mascherine? Grazie mille, 2020. Ci mancava giusto una nuova paranoia da aggiungere al novero di quelle che già avevamo.
Leggings legs e altre paranoie
Non stare sul social dei giovani2 ha qualche controindicazione e molti, moltissimi vantaggi. Uno dei tanti è non essere bombardata di contenuti pensati per aumentare le insicurezze delle donne rispetto al loro corpo3: l’ultima, mi dicono, ha a che vedere con il concetto di “leggings legs”, cioè le gambe adatte a mettersi i leggings. Non so quali siano, ma mi immagino: secche.
Non mi interessa, qui, mettermi a fare la solita retorica del tipo “hai le gambe da leggings se hai le gambe e hai dei leggings”, che mi pare lasci un po’ il tempo che trova. Piuttosto, vorrei ricordare che non è mai esistita un’epoca in cui le donne non si siano viste presentare delle liste della spesa di tratti che avrebbero dovuto renderle desiderabili. Per fare un esempio: agli inizi del ‘900 bisognava essere floride e ben nutrite, preferibilmente alte, pallide ma con le guance rosee, comunque donne “di presenza”.
Inutile anche ripercorrere i trend associati ai corpi delle donne nella storia: l’importante è ricordare che ci sono stati, e che in ogni epoca sono serviti a generare insicurezza e a consolidare l’idea che la bellezza fosse il nostro unico valore, la bruttezza una colpa, e lo sforzo di adeguamento un dovere sociale. Il problema è che questi trend non svaniscono: si stratificano. Ogni nuova tendenza, che sia quella della ragazza ossuta o quello della maggiorata tutta curve, si aggiunge a quelle precedenti per aumentare il senso di inadeguatezza. Non andiamo mai bene. Neanche quelle che esibiscono il tratto desiderabile del giorno (leggings legs? Thigh gap? Diamond? Una cretina che fa i balletti a Chicago può scatenare un uragano di stronzate a Cinisello Balsamo? La risposta è sì) vanno mai bene. Loro lo sanno: per questo si agitano allo scopo di ottenere approvazione ed essere, per cinque minuti, le mejo fiche der bigoncio.
Quello che è importante fare è evitare di ridurre tutto al singolo, alla nostra autostima, a quello che facciamo o non facciamo a titolo individuale per resistere a queste continue raffiche di fuoco amico. La cosa fondamentale, qui, è capire che si tratta di un problema collettivo. Le donne sono condizionate a sentirsi insicure e a competere per l’attenzione degli uomini. Se non riescono ad affrancarsi da questa idea - e nell’adolescenza è molto difficile: tutto concorre a mettere i maschi al centro dell’universo - troverano ovvio cercare di posizionarsi come “migliori” attraverso il corpo, se non con l’esibizione di virtù e di vicinanza accogliente ai maschi, poverini, minacciati dalle femministe pazze. È il patriarcato: se non puoi batterlo, tanto vale allearti con chi detiene il potere prestandoti a opprimere e insultare le altre.
L’oppressione estetica è un problema collettivo, va risolto a livello collettivo, non semplicemente rivendicando autostima ognuna per sé. Va risolto individuando e disattivando i meccanismi che ci portano, come collettività, a fomentare e nutrire la competizione fra donne e l’insicurezza che ne deriva, e che a sua volta la genera. Siamo tutte insicure, anche e soprattutto quelle che sfoggiano i loro corpi o si dicono antifemministe sui social per piacere ai maschi. Alcune ne fanno direttamente un business, unendo le due cose. Come donna che deve sopravvivere nel capitalismo, lo comprendo. Come donna che sopravvive nel capitalismo cercando di non fare del male alle altre, non lo giustifico.
Una cosa che possiamo fare per disattivare questi meccanismi è evitare di dare rilevanza e visibilità ai contenuti dannosi, e anche e soprattutto ai trend come quello delle leggings legs e a tutti quelli che lo seguiranno. Parlarne il meno possibile, non usarlo come argomento per articoli clickbait sul pericolo dei social per i giovani, ragionare faccia a faccia (e non sui social) con le persone che conosciamo sull’effetto di certi contenuti e sul motivo per cui diventano virali, evitare gli allarmismi sul singolo trend ma tenere l’occhio sulla palla. La partita si gioca altrove, in un mondo che pretende di ridurci al nostro corpo, alla sua estetica e alle sue funzioni, ma non ha alcun interesse per la nostra salute, la nostra sicurezza e la nostra felicità. Essere donne non deve essere una fatica costante. Dobbiamo smettere di considerare la sofferenza, il disagio e l’insicurezza parte fondamentale della nostra esperienza di vita.
Una cosa che ho scritto la settimana scorsa
Sulla vicenda delle esternazioni maschiliste e predatorie del sindaco di Terni, Stefano Bandecchi, c’era parecchio da dire. Ma ancora di più sulla risposta perbenista di un certo tipo di intellettuale che si sente lontanissimo da Bandecchi. Ne ho parlato su Valigia Blu.
Una cosa che sto guardando
Ammetto di avere cominciato a recuperare The White Lotus principalmente perché uno degli evil gays ringraziati da Jennifer Coolidge nel suo discorso agli Emmy è Francesco Zecca, vale a dire il regista dello spettacolo tratto da Brutta con protagonista Cristiana Vaccaro (non cliccare sul link se non vuoi uno spoiler gigante della seconda stagione!) La serie mi attirava comunque, perché mi piacciono i gialli e mi piacciono le commedie, ed è stata un successo enorme, tanto da fare di Sabrina Impacciatore una star internazionale dalla sera alla mattina.
A valle della prima stagione e a metà della seconda posso dire che capita di rado di trovarsi di fronte a prodotti culturali la cui valenza cambi così radicalmente da cultura a cultura. The White Lotus è una satira sui ricchi e sul turismo predatorio che appiattisce le differenze e divora i luoghi in cui approda, e ha senso solo rispetto ai valori della società che rappresenta, vale a dire gli Stati Uniti, un paese fondato sul si salvi chi può e su un’idea di supremazia culturale mai davvero messa in discussione. Chi è nato e cresciuto in paesi in cui i partiti di sinistra hanno influenzato in maniera significativa la struttura dei servizi di base a disposizione dei cittadini e le tutele dei lavoratori fatica un po’ a capire cosa ci sia di tanto interessante nel guardare dei personaggi che sono molto spesso stereotipi bidimensionali: la madre e moglie imprenditrice di successo sposata con un uomo meno potente di lei, la figlia bionda stronza col broncetto e la sua amica che in realtà la odia, la milionaria egocentrica e sciroccata con l’intelligenza emotiva di una preadolescente, il resort manager cialtrone e la resort manager autoritaria, il figlio di mammà prepotente e lamentoso e la neo-moglie graziosa e irrisolta, i tech bros che fanno simbolicamente a pisellate fra loro, gli evil gays, eccetera. La bidimensionalità è funzionale al messaggio satirico: i ricchi americani si sentono speciali, ma sono proprio tutti uguali.
Forse ha ragione chi dice che Parasite ha riportato la narrazione del conflitto di classe nel mainstream, e adesso c’è la corsa a rappresentarla. The White Lotus è divertente, a tratti inquietante, una sorta di Dieci piccoli indiani al contrario in cui fino dall’inizio si sa che qualcuno morirà, ma non si sa chi e come, e la storia ti porta a individuare una serie di vittime potenziali, riservando la rivelazione sulla sua identità all’ultimo episodio della stagione. Molto ironico, a margine, che una serie che satireggia la tendenza degli americani a trattare ogni posto nel mondo come il loro parco giochi abbia contribuito a far lievitare i prezzi di una vacanza in Sicilia, che l’anno scorso era diventata inavvicinabile anche a causa del successo di The White Lotus.
Date!
Finiamo con la solita carrellata, anche se non c’è molto di nuovo.
L’11 febbraio a Palermo per un laboratorio organizzato dall’associazione Maghweb nell’ambito del progetto Occupiamo Spazio. Ci si iscrive qui.
Il 2 marzo sono al Non Profit Women Camp al Museo dell’Automobile di Torino. I biglietti sono già disponibili a questo link.
Il 3 sono a Bari per un evento ancora non annunciato, ma lo metto come segnaposto.
L’8 marzo lo spettacolo tratto da Brutta arriva a Genova. I biglietti si trovano qui, oppure qui. Se non si trovano posti in un link si trovano nell’altro, pare, non so perché.
Ce ne sono altre, ma ci aggiorniamo più avanti.
A martedì prossimo!
Giulia
Non era Covid: ho fatto due tamponi a distanza di giorni. Perché sì, è la prima cosa che pensiamo, ormai.
TikTok, per chi è vecchio come me e non ha capito di cosa parlo.
Già ne ho abbastanza degli spottoni fatti dalle mie coetanee (e non solo) alla dermocosmesi invasiva. Non voglio sapere delle vostre punturine, tenetevele per voi.
A margine, il discorso di oggi mi ha fatto venire in mente un recente scambio con mio nipote (9 anni) che vedendo una bambina in uno spot tv dice “Ma che cessa”. Al che io gli dico “Ma scusa in che modo ti fa sentire bene dire che è cessa, tu saresti contento se lo dicessero a te”? Risposta: “Me lo dicono tutti i giorni”. Al che sono rimasto un po’ triste e un po’ disarmato e avoja a dirgli “Vabbè ma tu non metterti sullo stesso livello di questo stronzi” (a 9 anni non lo capisce o comunque non riesce ad applicarlo), ho proprio pensato che mondo di merda ma quando riusciremo a vivere e lasciar vivere... vabbè. [Modalità vegliardo off]
Mamma mia come sono contenta di stare su feminist TikTok e vedere quasi solo video di ragazze e donne che sfanculano con gioia il patriarcato 🥲 nel mio feed gli argomenti che vanno forte in questo periodo sono la decostruzione del maschio e l'elaborazione del lutto per l'accettazione della falsità del sogno romantico che ci hanno inculcato. Altro che leggins leg 🤪