Com'è finita col pino
Questa settimana: caldo, cose che ho scritto, cose che ho visto, una cosa che sto leggendo.
A Roma oggi sono previsti 42 C°, casa nostra è esposta a sud e l’aria, che con l’arrivo degli anticicloni diventava irrespirabile anche prima, era un brodo denso già a 36 C°. La senti sulla pelle mentre ti sposti dentro la stanza, avverti il calore umidiccio e pesante che ti avvolge appena ti allontani anche solo di qualche centimetro dal raggio del ventilatore. Il sudore sgocciola negli occhi mentre lavi i piatti, è quasi impossibile truccarsi senza sudare subito tutto quello che ti sei messa in faccia. L’abbattimento del pino si è portato via l’ombra, e con l’ombra quel poco di protezione che ci rimaneva dall’inferno di fuoco delle estati capitoline nell’era del riscaldamento globale.
È finita esattamente come pensavamo. Il pino ci manca, e non solo perché era un bel pino, un bellissimo albero che incorniciava i tramonti sopra i tetti di quest’ultima propaggine di Pigneto. Il pino ci manca perché senza pino, qui dentro, si muore. E quando fa caldo io non riesco neanche a pensare. Ho un libro da scrivere che mi sta costando una fatica del demonio, e non riesco a connettere le frasi: figuriamoci spicciare i nodi di trama in maniera efficace.
Lo sa anche l’ultimo degli scemi, che la risposta al caldo estremo dovrebbero essere più alberi, non meno. Ieri davanti a Montecitorio c’è stato un flash mob delle parlamentari: a Roma facevano 39 C°, Montecitorio non ha un albero, un’aiuola, un punto di freschezza, solo pietre riflettenti. Mi dicono che è stata durissima.
Per questo la newsletter oggi arriva tardi ed è un po’ striminzita. Quando ho caldo, come qualsiasi essere umano, entro in modalità risparmio di energia. È successo l’anno scorso, succede quest’anno: si avvicina il momento in cui questa newsletter si prenderà una pausa estiva, salvo cose che vanno commentate nel momento.
Lo dico una volta di più: noi amici e amiche dell’estate lo siamo per imprinting, perché le estati della nostra infanzia erano calde ma sopportabili. Si sudava, ma non si rischiava di morire letteralmente per un colpo di calore, e poi io sono cresciuta fra la montagna e la campagna, in posti in cui non era difficile trovare refrigerio. La mia infanzia dai cinque ai nove anni è stata trascorsa a pochi passi da questo torrente, fra le montagne, in un posto in cui la sera bisogna mettere la giacchetta.
Noi fan dell’estate amiamo l’estate perché i ritmi rallentano, si lavora meno, si va al mare, ci si riposa. Non amiamo certo il caldo porcone, il cambiamento climatico e l’abissale stupidità dei negazionisti.
Cose che ho scritto
Cominciamo con una cosa leggera che però ha commosso un sacco di gente. Ho visto, come buona parte delle ragazze Gen X con un abbonamento a Netflix, il documentario Wham!, che racconta la storia - fulminea, pazzesca - del duo che ha definito il pop anni ‘80. Avendo vissuto quegli anni, e avendo amato gli Wham! (George Michael è stata la mia prima celebrity crush), ho trovato nel documentario una storia che non mi era mai stata raccontata, quella di Andrew Ridgeley. Quello che ho pensato si trova in questo pezzo che ho scritto per fem, dal titolo autoesplicativo: Andrew Ridgeley era il figo degli Wham! (E non ce ne eravamo accorte).
L’altra cosa che ho scritto questa settimana, sempre per fem, è una piccola riflessione sulle donne, l’invecchiamento e i ruoli in televisione a partire da Ainett Stephens e (da quel gran maleducato di) Pino Insegno.
Cose che ho visto
Quando mi sono messa a vedere L’estate nei tuoi occhi su Prime Video non pensavo fosse un cancer drama, invece mannaggiallapupazza è proprio un cancer drama, ma non è per quello che non metto il link: non lo metto perché è una mezza cacata, il più classico dei triangoli amorosi fra ragazza caruccia, bono ombroso e problematico con Oscuro Segreto e bono non problematico che però le piace di meno perché il bono problematico è problematico ed è tutto in salita. L’unica parte interessante, per me che ho cinquant’anni, è la struggente amicizia fra le madri dei boni, della caruccetta e di suo fratello che ti tira gli schiaffi. Non consiglio, anche se ovviamente finirò di vederlo perché sono curiosa di vedere se finisce prevedibile o imprevedibile, e comunque sono alla stagione 2 di 3, e la terza non è ancora uscita.
Abbiamo anche recuperato Mixed by Erry, sempre su Netflix, che funziona come tutte le commedie del Sibilia Cinematic Universe (ne parlavo in questa newsletter), e come tutti i film di Sibilia racconta l’arte di arrangiarsi, che sia inventare una droga non classificata come illegale, costruire un’isola e proclamarla repubblica o aggirare le leggi sul copyright per anni, duplicando cassette che venivano distribuite in tutto il sud Italia. La storia dei fratelli Frattasio e del loro business miliardario, un po’ ingenuo un po’ figlio di quella cultura partenopea in cui il concetto di “onestà” è plasmato dalla più completa (e non ingiustificata) sfiducia nelle istituzioni, è una delle tante che spaccano il paese in due. Una Linea Gotica del pop che comprende anche fenomeni come i neomelodici e Gigione, mai arrivati al nord e quindi a me completamente sconosciuti finché non mi sono trasferita a Roma.
Cosa sto leggendo
Ho finalmente attaccato (mesi dopo averlo segnalato) Ragazze perbene di Olga Campofreda, che per molti versi somiglia alla cosa a cui sto lavorando in questo periodo, anche se Caserta non è la provincia friulana e ogni provincia è infelice a modo suo. Sto andando più lenta di quanto vorrei perché la sera crollo, stremata dal caldo e dalla fatica che mi ci vuole anche solo per vivere, però finora posso dire che ha i tempi che mi aspetto da una storia in cui ci sono dei segreti da scoprire, la scrittura è bella e nitida senza essere pretenziosa, e c’è un sapore di cigno bianco/cigno nero che mi affascina.
Ci risentiamo la settimana prossima.
Giulia
A proposito di "Cancer drama" (anche se il drama resta molto sullo sfondo), per caso hai visto su Netflix lo spagnolo "Le ragazze dell'ultimo banco", uscito lo scorso settembre? È passato abbastanza inosservato, ma a me è sembrato splendido.
A proposito di "Pino": Roma pare abbia deciso di imboccare la retromarcia rispetto al resto delle capitali europee sulla questione del verde pubblico e degli alberi come parte dell'arredo urbano. Uno dei motivi per cui la città è bella e ammirata nel mondo è anche per la presenza dei magnifici alberi a ombrello cioè i pini che per questo ma soprattutto per l'efficace impatto mitigatorio che su caldo e inquinamento hanno andrebbero preservati e invece si stanno lasciando morire devastati dalla cocciniglia che non risparmia neanche la (horribile dictu!) tenuta presidenziale di Castelporziano (il lato sulla colombo presenta solo pini seccati dall'insetto straniero).
A "mettece er carico da dodici" sulla strage silenziosa e indifferente ai più (parrebbe) c'è la consapevolezza che il costo per curare un pino dal "bug cugino della xylella" ammonta a Euro 10 ad albero, tutto incluso: l'ultimo censimento dice che sarebbero ca. 120mila i pini romani per un costo ipotizzabile di ca. 1,2 milioni di euro cioè 34 centesimi a romano (calcolando solo quelli entro il GRA). La tua ombra mi/ci costerebbe 0,34 f*ng Euro epperò preferiamo che tu schiatti de caldo e sticazzi... Io ti chiedo scusa, se potessi ne pianterei ad ogni angolo... :)