Com'è normale la violenza dei potenti
Questa settimana: il filo che unisce la Chiesa Cattolica, Bandecchi e Delmastro
Per una volta sparigliamo le carte e cominciamo dai consumi culturali. La settimana scorsa mi sono vista in sequenza WandaVision e Agatha All Along, la prima perché volevo vedere la seconda e avevo paura di non capirci niente. Ho fatto bene, perché WandaVision è una serie che parla di elaborazione del lutto e accettazione della realtà, e io avevo giusto un lutto da elaborare. Agatha All Along (di cui mi manca ancora un episodio) è una storia di donne di mezza età (e oltre) e gente queer che intraprende un cammino per riprendersi un potere che ha perduto, e forse io in quel cammino ci sono proprio adesso. Mi hanno fatto bene e mi hanno fatto divertire in un lungo periodo di tempo in cui ho evitato il più possibile le notizie, non ho nemmeno ascoltato Morning, ho iniziato un libro bellissimo (ma ne parlo la settimana prossima), e piano piano sono arrivata alle regionali in Emilia-Romagna e Umbria tenendo l’ansia al minimo.
Ed è andata bene. Avrei tante cose da dire. Ma è andata bene, l’analisi della vittoria la facciamo in un altro momento.
In questi dieci giorni di riposo e oblio ho ascoltato quasi per intero (mi manca un episodio e mezzo) La confessione, il podcast d’inchiesta realizzato da
e sostenuto dagli abbonamenti alla newsletter. La serie esamina un caso di abuso sessuale agito da un sacerdote carismatico e amatissimo dai giovani ai danni di uno dei ragazzi che facevano parte della sua parrocchia, ed è emblematica di come la Chiesa Cattolica tratta il problema degli abusi al suo interno, e dell’assoluta indifferenza verso le vittime.Il motivo per cui ne parlo non è solo che la serie è realizzata con molta cura ed è meticolosa nella ricostruzione del caso, ma anche perché ha fatto maturare in me la convinzione di dover convincere più gente possibile a destinare il suo 8x1000 ad altri soggetti. Il mio va da anni all’Unione delle Chiese Valdesi e Metodiste, con cui ho un legame familiare e affettivo (parte della famiglia di mia madre era di fede valdese) e che comunque non utilizza quei fondi per il culto. La confessione mi ha persuasa una volta per tutte che dare l’8x1000 alla Chiesa Cattolica significhi finanziare non in astratto, ma in concreto delle azioni di insabbiamento di abusi molto più diffusi e frequenti di quanto possiamo immaginare.
Il grosso dei contributi che la Chiesa riceve dall’8x1000 proviene da preferenze non espresse. È possibile destinare quella somma anche direttamente allo Stato, se non si desidera finanziare una confessione: ma se non si fa una scelta, la Chiesa Cattolica se ne pappa una fetta considerevole. Non scegliere equivale a scegliere di darglieli, quei soldi. Allora io dico: prima sentiti il podcast, poi dimmi se ti pare il caso di destinare ancora dei soldi a gente che poi li usa per sovvenzionare chierici abusanti.
Sono conscia del fatto che non finanziare l’8x1000 potrebbe esporre le associazioni attive nel sociale al rischio di chiusura. Ma penso anche due cose: la prima è che possiamo fare a meno delle associazioni cattoliche e lasciare spazio a quelle laiche. La seconda è che se stai da indifferente in un sistema di abuso solo perché ti conviene, questo è l’unico modo che ho, da cittadina, per costringerti all’azione.
Bandecchi e la normalizzazione della violenza
A proposito di elezioni in Umbria, una cosa. Stefano Bandecchi, sindaco di Terni, persona che di routine sputa addosso alla gente che non gli va a genio, uomo che è finito spesso in cronaca per la violenza (verbale e fisica) con cui gestisce la sua presenza pubblica, si è presentato con una sua lista, Alternativa Popolare. Ha preso poco più del 2%, e la stragrande maggioranza dei voti (nell’ordine delle migliaia) gli arrivano dal suo bacino elettorale, la città di Terni. Nei giorni precedenti la consultazione elettorale, i media nazionali parlavano molto di “incognita Bandecchi”, e lui avrà forse pensato di poter replicare lo straordinario successo di Vannacci alle europee, elezioni alle quali aveva preso l’1%.
La sconfitta di Tesei e la certificazione della sua stessa irrilevanza non hanno impedito a Bandecchi di uscirsene con diverse esternazioni che vanno dal minaccioso (“Proietti stia attenta a come parla: gliela organizzo io la festa, nei prossimi cinque anni” - Repubblica) al misogino classico (“Se il candidato del centrodestra fossi stato io, lei stasera non avrebbe festeggiato niente, era a casa a lavare i piatti", ANSA). E il tutto passa relativamente sotto silenzio: siamo a novembre, nel pieno del mese dedicato al contrasto della violenza contro le donne, e da una parte abbiamo Valditara che non sapendo cosa dire dà la colpa agli immigrati (che si portano sempre), spalleggiato da Meloni. Dall’altro, Bandecchi. Che a definirlo sotto i parametri dell’ingiuria gli si fa un complimento.
Non fiatano gli uomini del Partito Democratico e di AVS, non fiata il Movimento 5 Stelle, figurarsi i maschi di destra. Come al solito, a pensare che Bandecchi sia un violento siamo sempre noi, quelle che fanno le spese della sua aggressività. La violenza maschile viene normalizzata, accettata, considerata quasi pittoresca. Bandecchi continua a rimediare interviste sui giornali, a essere considerato un personaggio mediatico a cui dare attenzione perché porta attenzione, uno che essendo abituato a fare il padrone non è capace di confrontarsi con la democrazia. E forse sarebbe ora di smetterla, per il bene di tutte e tutti: è sconfortante sapere che non sarà così, e che certi figuri continueranno ad avere tutto lo spazio che reclamano.
In prigione ci vanno i poveri
Il sadismo esibito da Andrea Delmastro, sottosegretario alla Giustizia, è stato sulle prime pagine dei giornali per due minuti prima di lasciare posto ad altre notizie, altre preoccupazioni. Non se n’è parlato più, di quel momento orgasmico del sottosegretario, del modo in cui si riferisce ai detenuti. È scivolato via, perché dei detenuti non solo non ci importa niente, ma la maggior parte della gente, quando ci pensa, si sente pervadere da un desiderio di ritorsione tanto generico quanto violento, come se le persone incarcerate fossero un blocco unico di supercattivi violenti e le prigioni fossero tutte Arkham Asylum, un posto dove tenere rinchiusi i mostri e dimenticarceli.
Tempo fa ho avuto la bellissima pensata1 di commentare un post su Instagram di Vanity Fair in cui si parlava delle condizioni delle carceri. I commenti prima del mio erano un florilegio di crudeltà, di soddisfazione per la sofferenza dei detenuti, di stucchevole compassione per le “famiglie” delle persone colpite dai loro reati. Dico “stucchevole” perché chi commenta in quel modo vuole solo collocarsi dalla parte dei giusti, quelli che pensano “alle famiglie”, ma si guarda benissimo dall’attivarsi nel campo dell’educazione e della prevenzione dei reati. Quel genere di commenti è il virtue signalling dei medioni, e i medioni - come ci insegna il nostro governo, la vittoria di Trump e in generale l’avanzata delle destre - hanno il mondo in mano e lo governano dal divano.
Nella pratica, la maggioranza dei detenuti è in carcere per reati non violenti (ci sono i dati di Associazione Antigone che spiegano tutto nel dettaglio, ma ogni persona fa storia a sé). Il problema è che l’opinione pubblica si forma sulla base dei pochi casi di alto profilo che arrivano all’onore delle cronache, e sono quasi tutti casi di femminicidio, omicidio, stupro o altri reati di gravità assoluta, il che nella testa della gente genera l’idea, appunto, del carcere come luogo di aggregazione di creature mostruose prive di umanità, che possono solo essere punite con altrettanta violenza. Il carcere diventa l’ennesimo punto di scarico della frustrazione che ringhia dentro la grande maggioranza delle persone, che sentendosi (non a torto!) calpestate, invece di guardare a chi le calpesta si rigirano con violenza contro la minaccia designata. I detenuti sono in carcere perché hanno commesso dei reati: chi meglio di loro per rappresentare il nemico di cui vendicarsi?
Vorrei sorvolare qui sulla funzione rieducativa del carcere (inesistente, allo stato delle cose), sul fatto che la pena detentiva sia inutile per la maggior parte delle persone che colpisce e finisca solo per generare recidive. Tornerei a Delmastro, che è attualmente sotto processo per rivelazione di segreto d’ufficio. Uno che dice una cosa così deve essere piuttosto sicuro che in carcere non ci andrà mai, e non sarà quindi mai lui la persona che non riesce a respirare dentro a un blindato della polizia giudiziaria.
È l’arroganza dei potenti, quella che guida Delmastro, ma anche la consapevolezza che pure se condannato non perderà il posto: dalle sue parti, una condanna penale equivale a una promozione. Augusta Montaruli (condanna definitiva per peculato) siede in Commissione Vigilanza Rai. Emanuele Pozzolo (sospeso per finta da Fratelli d’Italia, sotto processo per porto abusivo d’arma da fuoco avendo evitato l’accusa ben più grave di lesioni aggravate) siede in Commissione Affari Esteri e Comunitari dopo che era stato, in prima battuta, inserito in Commissione Difesa. In assenza di una legge che si sostituisca all’etica e alla decenza da tempo smarrite, i parlamentari della destra fanno un po’ come gli pare. Sono stati eletti, dopotutto, per rappresentare il rancore di milioni di persone: le denunce e le condanne sono solo quisquilie di fronte a un mandato così potente.
In carcere ci vanno gli altri, i poveri, chi non può pagarsi avvocati costosi e si deve accontentare di quelli assegnati d’ufficio, chi non ha appoggi prestigiosi o capitale sociale da spendere, chi non può patteggiare la pena per reati gravi e venire assegnato a lavori socialmente utili che li vorrei proprio vedere.
Il voto non è un vestito preso su Zalando, che se non ti entra lo rimandi indietro. Chi vota gente così, gente che campa di vendette, solo perché ne bisogno e si vuole sentire vendicato, e quelli non migliorano la sua situazione ma anzi: la peggiorano per fare in modo che rimanga incazzato e li voti quando ti dicono che “ci pensano loro”, ecco, chi li vota è solo una pedina; e chi non vota mette la sua vita in mano alle pedine. Questa cosa non si risolve con la catechesi elettorale, non si risolve con le proposte, si risolve in tutt’altro modo. Costruendo comunità, cooperazione, relazione, voglia di stare insieme, autocoscienza dura ma guidata dall’amore. Felicità, che è la cosa che manca quasi a tutti, e che le destre si guardano bene dal generare, perché la gente felice non li vota.
Le date
Sono circa le stesse della settimana scorsa:
21 novembre - Cose mai successe ad Asti, Centro Culturale Fuoriluogo
23 novembre - “Prevenire, proteggere, educare” a San Benedetto dei Marsi (AQ), Sala Consiliare del Comune, ore 10.30
27 novembre - Sezze (LT), Museo Archeologico Comunale, ore 18.00 - “Voglio essere l’ultima - Violenza di genere, una lettura femminista e transfemminista”
25 novembre - Rubiera (RE), L’Ospitale, ore 21.00
5 dicembre - Prato, Teatro Politeama Pratese, incontro della rassegna La farmacia delle parole con i detenuti del carcere di Prato.
13 dicembre - Replica di Brutta, Arese (MI), Teatro Comunale, ingresso gratuito.
A martedì prossimo,
Giulia
Non bellissima.