Contro le lodi femministe a Giorgia Meloni
Questa settimana: magari un po' meno, ragazze; uomini che non sanno fare i secondi e aziende che tollerano le molestie; una mostra un concerto un film e un piccolo ricordo di Sergio Staino
La settimana scorsa ho scritto questo su Valigia Blu. Ha girato un bel po’.
A poche ore dall’uscita, sulla scorta del secondo audio pubblicato da Striscia la Notizia, Meloni ha annunciato via social di aver scaricato il compagno. E sono partite le lodi, alte e commosse, per questa donna così forte da prendere subito la decisione difficile di separarsi da un uomo così discutibile. Lodi che sono arrivate da destra, com’era prevedibile, ma pure dal campo largo femminista1.
Ma davvero pensiamo che sia necessario “solidarizzare” con Giorgia Meloni per aver comunicato urbi et orbi che ha mollato il compagno? Di annunci di divorzi VIP ne vediamo ogni giorno, a volte sono inattesi e a volte arrivano a valle di una crisi più o meno pubblica, ma è materia da testate scandalistiche, non da analisi femminista con tanto di complimenti a lei per averlo accannato perché guarda che bell’esempio che dà alle donne, guarda come si può vivere senza un uomo.
Pian e ben.
Cominciamo dal fatto che non ne sappiamo una beata fava, e magari lei era un pezzo che lo voleva mollare perché la storia era finita, o l’aveva già mezzo mollato quando si è resa conto che lui non solo non le piaceva più, ma era diventato un ostacolo alla costruzione della sua immagine pubblica. Giambruno andava benissimo finché le serviva per addolcirsi, smussare gli angoli, essere una donna di potere ma pur sempre una mamma eterosessuale in una coppia tradizionale. L’elettorato di destra non ama le donne troppo libere: la donna di destra deve essere anche un po’ ancorata al focolare, “molto femminile” nelle relazioni, come dice lei stessa in questa vecchia intervista con Francesca Fagnani. Poi però lui ha cominciato a fare il cretino, a pretendere spazio e visibilità, a fare lo sbruffone intoccabile sul lavoro e a dire cose che facevano discutere l’opinione pubblica, costringendola a metterci una pezza. Uno così è una zavorra. Figurati se poi esce2 che fa il provola con tutte le colleghe, in modi che vengono esplicitamente definiti molestie sul lavoro.
Non mi pare proprio che Meloni si meriti delle lodi. Uno, perché mollare il compagno il marito il fidanzato è una cosa che viene un attimo più facile se ti sei appena accattata una gigantesca villa con piscina e hai i soldi per pagare fior di tate, personale domestico e costosissimi asili nido privati perché badino a tua figlia mentre tu continui a lavorare. Molte donne trascinano relazioni nell’attesa di crearsi le condizioni anche economiche per andarsene. La vita da single, specialmente se madre, è una questione di classe: e il governo di Meloni ha fatto e sta facendo esattamente ZERO cose per sostenere le madri separate, e le donne in generale, soprattutto quelle per cui la separazione significa la fine di un rapporto di abuso.
Due, perché in quel post che è stato lodato per la sua dignità e compostezza non c’era una parola su quello che era appena stato rivelato sul suo compagno. Veronica Lario, quando lasciò Berlusconi con una lettera pubblica, e lo disse chiaro e tondo: “Ciarpame senza pudore”. Vero, i suoi figli erano grandi, Ginevra è una bambina (che Meloni non si è fatta scrupolo di esibire sui social nell’annuncio del divorzio). Ma mezza frase di distanza dai comportamenti inappropriati del suo ex e di solidarietà per le colleghe che lo subiscono ogni giorno sarebbe stata cosa gradita, oltre che giusta, e quella sì magari si sarebbe meritata qualche pacca sulla spalla per il coraggio di prendere una posizione. Invece no, solo aggressività passiva e la classica chiusa da militante di destra, gente che campa di aforismi orrendi.
Adesso, io capisco che Meloni è talmente aggressiva con le altre donne che quando fa mezza cosa che ci sembra relatable la tentazione di incoraggiarla nella speranza che ci detesti un po’ meno deve sembrare irresistibile, ma in questa relazione di abuso siamo noi le abusate, quelle che nonostante il disprezzo, i calci e gli sputi riescono ancora a dire “Vabbe’, questa almeno l’ha fatta bene”.
E adesso torniamo a parlare dei tagli alla sanità e alla cultura, al bluff dei “nidi gratuiti dopo il secondo figlio” che [inserisci imprecazione], dell’idea delle donne come cagafigli per la Patria, del fatto che Rocca sta sfrattando il più grosso centro antiviolenza di Roma dalla sua sede senza che Meloni muova un dito. Magari ci passa la voglia di farle le carezzine.
E comunque
Di sicuro c’è questa cosa che ha detto Francesco De Carlo.
È proprio vero, eh. Settantasette anni di First Ladies invisibili, discrete, servizievoli quando era necessario, defilate per il resto del tempo. Possibile che sia così difficile per i maschi capire e accettare che a volte devono farsi da parte, interpretare di buon grado il ruolo del secondo? Possibile, sì: nessun uomo è mai stato lodato come esempio di virtù maschile e premiato per essere stato capace di stare un passo indietro rispetto a una grande donna.
Ah, un’altra cosa
Io piena, pienissima delle aziende che tollerano le molestie sul lavoro per poi “considerare azioni disciplinari” solo quando le molestie arrivano all’occhio del pubblico e rischiano di causare un danno d’immagine, aspettare un po’ e non fare niente perché la gente si dimentica, e sai in tutto questo chi sono quelle di cui non frega un cazzo a nessuno? Chi subisce le molestie, esatto.
Un piccolo ricordo di Sergio Staino
Gennaio 2020 ad Altamura, non potevamo sapere quello che ci sarebbe piovuto sulla capoccia in meno di due mesi. Andavamo ancora ai festival, a parlare dei nostri libri davanti a sale piene che avremmo rimpianto più per quello che significavano in termini di libertà e socialità che di vendite e popolarità. Io ero in tour per Manuale per ragazze rivoluzionarie da quasi un anno e mezzo e cominciavo a non farcela più, però Liberfestival era proprio una cosa bella, organizzata bene da un gruppo di ragazzi e ragazze giovani capitanati dalla formidabile Anna Acquaviva (daje Anna).
Si cena tutti e tutte insieme in una grande stanza dell’edificio in cui si svolgeva la manifestazione, siamo in Puglia quindi si può immaginare quali squisitezze ci riempiono piatti e bicchieri. Io capito seduta vicino a Sergio Staino e alla moglie, la leggendaria Bruna, e passo la serata a ridere di una serie di aneddoti da querela e storielle su politici e intellettuali di ogni ordine e grado. Lui ormai da tempo non ci vede quasi più, la vista per lui è sempre stata un problema eppure disegna, disegna da una vita e da sempre ce la racconta, la vita dell’uomo di sinistra, con un’autoironia che alle destre è inaccessibile. Si fa raccontare un po’ di quello che faccio, e non so come, ma a un certo punto mi prende una mano e mi domanda: “Sei bella?”
Io, ridendo: “No.”
Lui, un po’ stupito: “Ma come, no? Secondo me sei bella.”
”Allora ok. Va bene.”
Poi abbiamo riso ancora, altri aneddoti da querela, qualcuno ancora me lo ricordo, si sbloccheranno solo dal vivo previa offerta di sostanziose porzioni di riso patate e cozze. Quando ho visto la notizia che Sergio Staino era morto ero in mezzo a piazza San Marco ed era la prima volta che vedevo l’acqua alta a Venezia. Ho ripensato a quella domanda imbarazzante fatta con tono del tutto innocente, alla curiosità che c’era dentro, di sapere o capire qualcosa di me, che cosa non lo so. Era pienissimo di vita, pure a novant’anni. Che bello averlo avuto fra noi.
Le avventure del mal di schiena
Dicevo: San Marco. Eravamo lì per la prima dello spettacolo di Brian Eno, Ships, al Teatro la Fenice, arrivati venerdì sera con lo sciopero dei traghetti. Vabbe’, ci diciamo. Andiamo a piedi, sono venticinque minuti, ce la facciamo piano piano.
A cinque minuti dalla partenza comincia a piovere. A sette, sta diluviando. Noi siamo a piedi fra calle e campi, un ombrellino in due e la valigia che si sta riempiendo d’acqua. Arriviamo in hotel inzuppati dopo una camminata infinita su e giù per i ponti. La faccio breve: la mattina dopo mi sveglio e la mia lombare è entrata in sciopero. In queste condizioni di dolore al limite dello svenimento sono comunque riuscita a vedere sia il bellissimo concerto per orchestra e voce di Brian Eno (piangendo all’altezza di By This River3) che la mostra sui CCCP di Reggio Emilia, che non posso che consigliare con il massimo dell’entusiasmo per quello che racconta di loro come gruppo e della società che avevano intorno, ma anche per l’allestimento, che rende davvero giustizia alla loro estetica.
L’inferno dell’adolescenza inglese
Sono andata alla prima di How to Have Sex di Molly Manning Walker, che apriva Alice nella città, un film con un titolo da commedia adolescenziale che è tutto meno che una commedia. Già dalla premessa è facile capire che qualcosa andrà storto: tre adolescenti, Tara, Skye ed Emma, partono per una vacanza in Grecia insieme. La destinazione è uno di quei resort che d’estate vengono presi d’assalto da orde di giovani britannici, come immortalato dai Blur in Girls & Boys: “Street’s like a jungle, so call the police, following the herd down to Greece”. Qui si beve, si balla, si beve (ancora, moltissimo) e si fa un sacco di sesso casuale, anche in pubblico. Tara è ancora vergine, ed è partita da casa con le migliori, o peggiori, intenzioni, a seconda dei punti di vista.
Il film di Walker centra sicuramente un obiettivo: mostrare ancora una volta quanto può essere brutta e violenta l’adolescenza inglese, fra abuso di alcool del tutto normalizzato e la totale mancanza di una cultura del divertimento che non sia spaccarsi (e anche qua ci viene in aiuto il Britpop, con l’immortale verso di Common People dei Pulp che dovrebbe farvi piangere ogni volta che la sentite: “And you dance and drink and screw because there’s nothing else to do”), nel momento delicato in cui diventare grandi si profila solo come ansia esistenziale e non come prospettiva gioiosa. How to Have Sex è un film sul consenso, su come sia difficile affermare i propri desideri a fronte di una pressione fra pari che agisce in maniere tutt’altro che subdole e sulla vergogna e la difficoltà di dare il nome alla violenza. È anche, per certi versi, un film sulla maschilità vista attraverso il filtro dello sguardo femminile, fra bravi ragazzi che non lo erano e bad boys che vivono il loro ruolo sociale con disagio. Ci si possono fare delle belle discussioni intorno, perché la percezione delle donne sarà inevitabilmente diversa da quella degli uomini, ma anche perché è un film che dice, in maniera sottile, molte cose anche non proprio ovvie sull’idea di consenso che i maschi hanno rispetto a sé stessi.
Le date della settimana
Schiena permettendo, perché mi fa ancora male:
26 ottobre - Chiostri di San Pietro a Reggio Emilia, ore 19.00, per un evento intitolato E fattela ‘na risata! Si parla di cultura, satira, umorismo, voci e responsabilità. Vieni se hai voglia di farti, appunto, una risata.
27 ottobre - San Lazzaro di Savena (BO), per gli Stati Generali dell’infanzia e dell’adolescenza.
29 ottobre - VenUs Festival a Roma, per un talk in compagnia di tantǝ amichettǝ. Dettagli qui.
Ci risentiamo martedì prossimo, quando le giornate saranno molto più corte e noi delle Brigate Righeira molto più tristi.
Giulia
Ricordiamoci che le femministe convivono fra loro più o meno pacificamente pur pensandola in maniere MOLTO diverse su molti argomenti. Questa, temo, è una.
A opera di Striscia la Notizia, che ricordiamolo, è sempre lo sterco del demonio.
Sono una che piange ai concerti.
La cosa che mi colpisce è che tutti lodano Meloni per avere mollato prontamente coso, ma che alternativa aveva di fronte all'opinione pubblica? Rimanere con un essere del genere e far finta di niente?
Meno male, quello che hai scritto era necessario. Sconcertato da questa generale approvazione.