Corpo contro macchina
Questa settimana: pazienza contro impazienza, la tecnoligarchia che avanza e le sue vulnerabilità, e che fine ha fatto Luigi Mangione?
Sono entrata nella mia patience era, o quantomeno: ci sto provando. Passato un lungo periodo in cui ho avuto la miccia cortissima e la pazienza ancora più corta, mi sto mettendo apposta in una serie di situazioni in cui sono costretta a spiegarmi con calma e ad accogliere i limiti e le provocazioni degli interlocutori. Dopo l’esperienza al carcere di Prato (che è culminata qualche settimana dopo in una serie di lettere scritte dai detenuti che mi hanno fatto piangere di gioia e commozione1), lo scorso sabato mattina ho affrontato una platea molto più difficile: due gruppi di classi diverse di un istituto tecnico di Rimini, a maggioranza maschile. Parlare di questioni di genere con gli adolescenti maschi è sempre complicato, perché parte dell’identità maschile prevede la chiusura a ogni stimolo che ne metta in discussione l’integrità: la maschilità tradizionale che viene trasmessa alla grande maggioranza dei giovani è una sorta di monoblocco fatto di elementi fissi e indistinti. Così indistinti che quando ho provato a chiedere al primo gruppo che cosa sia un uomo, quali siano gli elementi che compongono la loro identità di maschi, non sono riusciti a individuare quasi nulla di preciso. I maschi sono. Al massimo, non sono, quando fanno qualcosa che li squalifica come maschi perché associato alla femminilità.
In queste situazioni, ho trovato che la strategia che funziona meglio è l’accoglienza. Ogni posizione, anche la più critica, anche la più aspra, ha il suo posto e la sua dignità: anche perché chi critica, chi fa domande, chi reagisce ti sta aprendo un varco. Ti sta mettendo di fronte alla possibilità della discussione. Poi magari rimane piantato dov’è: nessuno, nemmeno io, pensa di poter cambiare una testa in meno di due ore, e non è nemmeno quello che voglio fare. Non mi interessa riempirli di nozioni da assorbire in maniera acritica, ma introdurre l’idea del pensiero critico guidato dall’empatia, dalla solidarietà, dal benessere della comunità. Da lì, se la vedono loro.
Per ora sta funzionando, almeno per me: non è semplice e nemmeno poco faticoso, ma mi restituisce di più rispetto all’approccio duro che avevo adottato quando pensavo che limitare la funzione pedagogica fosse di per sé una scelta pedagogica. Insomma, lo faccio perché è più efficace, ma anche perché mi fa stare meglio. E stare meglio, in questo momento, è una mia priorità assoluta.
Un nuovo nome per una nuova ideologia
Mi trovo ancora in una condizione di evitamento: non guardo i telegiornali, non accendo CNN per assistere allo sbriciolamento degli Stati Uniti (e per estensione, della realtà come la conosciamo e del futuro come l’avevamo immaginato), limito il consumo di informazione e le situazioni negative. Il che non significa che non stia cercando una via d’uscita, per cui ho letto con interesse (e non poca angoscia) l’articolo pubblicato da
su , intitolato Rivelazioni e tecnocrazia. È una lettura faticosa, appunto, ma contiene degli elementi fattuali che ci possono essere utili, perché puntano alle vulnerabilità (e non solo alla forza) dell’ideologia che sta prendendo il sopravvento nel mondo, e che chiamiamo “fascismo” per comodità, anche se del fascismo ha solo alcuni tratti.Il fascismo, con buona pace di Marinetti e del suo zang tumb tumb, guardava e guarda tuttora indietro. Punta al passato, all’epoca dell’oro, a un momento storico vago e per questo più che mai attraente, perché se non lo identifichi con precisione non puoi nemmeno vederlo davvero per quello che è, ma puoi collocarlo in qualunque punto della storia in cui eri più felice, più innocente o la guerra non ti aveva lasciato senza una gamba o una mano. I fascisti del terzo millennio sono direttamente nostalgici della nostalgia, annacquati dall’obsolescenza: pericolosi, certo, perché cialtroni come quelli di un tempo, ma privi di un’idea di futuro2 e guidati solo dalla sete di potere e da un’ottusa violenza. I tecnoligarchi un’idea di futuro ce l’hanno, invece, ed è uno in cui comandano solo loro, i maschi bianchi convinti dal solito caro vecchio razzismo (e misoginia: vanno sempre insieme) di essere migliori e più in grado degli altri di governare il mondo.
È un’idea di cui vedo il fascino, in un momento faticoso in cui le persone cercano soluzioni, o quantomeno cercano qualcuno che dia l’impressione di sapere cosa fa, perché loro non ce la fanno più. Il metodo della sinistra progressista, collettivo e dialettico, non convince perché manca di vicinanza: i politici di sinistra dicono di ascoltare la gente, però poi danno all’elettorato l’impressione di vivere in una dimensione separata e irraggiungibile, in cui non sono diversi dagli altri. Il fascismo originale conquistò consensi andando a prendersi la gente traumatizzata e impoverita dalla Prima Guerra Mondiale; Covid, terrorismo di matrice islamica fondamentalista e migrazioni spinte dalle guerre e dalle catastrofi climatiche hanno creato il terreno di coltura perfetto per una seconda revancha. Qui arrivano Peter Thiel, Curtis Yarvin, Elon Musk e compagnia cantando, prendono le vecchie idee e le innestano su un tessuto nuovo, di invenzione e scoperta, di macchine che lavorano per noi, di colonie su Marte e treni luccicanti che corrono nel cielo come in un anime anni ‘70.
È un tema su cui sto scrivendo qualcosa di molto più lungo, ma per ora la metto qui. La tecnoligarchia che si prospetta è molto potente: possono permettersi di mandare in crash l’economia mondiale e comunque uscirne ancora più ricchi, come sempre succede quando le economie vanno in crash. E una volta che l’economia è crollata, la gente ha fame ed è più vulnerabile, lavora per meno soldi perché accetta qualsiasi offerta, ha paura di sfidare il potere. Questa, credo, sarà la parte più complessa da affrontare: costruire comunità fisiche, di vicinanza e sostegno, quando saremo spaventati e soli, minacciati dalla perdita delle nostre fonti di reddito se esprimiamo dissenso. All’illusoria perfezione della macchina (programmata da chi? Con quale sguardo sul mondo? Conosciamo la risposta) dovremo contrapporre l’imperfezione dell’umano, i corpi, i sensi di cui siamo privati dalla smaterializzazione delle relazioni. La tecnoligarchia non ci renderà felici, perché l’isolamento e la solitudine sono il mezzo che usa per conservare il potere.
Per quanto riguarda il rapporto con le tecnologie, invece, faccio miei i consigli di
sull’uso costruttivo delle piattaforme. Andarsene è sempre un’opzione, perché non bisogna fare per forza quello che ci fa stare male. Se si sceglie di restare, ricordiamoci che i social servono anche a tenerci distratti e a darci l’illusione di contare qualcosa, di essere protagonisti della conversazione globale. Per cui usiamoli, per carità, ma ricordiamoci che il lavoro da fare è fisico. Democracy is not a spectator sport, ed è anche l’unica forma di governo, per quanto imperfetta, in cui la cittadinanza può avere una voce. L’unica a cui torniamo quando le dittature e i totalitarismi crollano sotto il peso della loro stessa violenza.Dov’è Luigi?
Il moltiplicarsi di notizie drammatiche ne ha fatte sparire altre dalla cronaca, com’è normale, ma viene spontaneo domandarsi: che fine ha fatto Luigi Mangione, accusato di aver sparato in pieno giorno al dirigente di United Healthcare Brian Thompson, arrestato dopo una caccia all’uomo durata qualche giorno e attualmente in carcere a Brooklyn con un’accusa di omicidio di primo grado. Il caso, il personaggio (un ragazzo ricco del Maryland con un’ottima educazione) e il clamore intorno al sospetto movente dell’omicidio hanno occupato molto spazio sui media nei primi giorni. Poi il processo è iniziato, e all’improvviso puf! Sparito Luigi.
Un’idea del perché me la sono fatta, ed è il più classico dei pensar male che si fa peccato ma ci si prende: Luigi Mangione, bianco, giovane, fotogenico e affetto da una malattia cronica, rischia di consolidarsi nell’immaginario collettivo come eroe popolare. Il ragazzo che si fa giustizia da sé, colpendo un bersaglio umano che è diventato altrettanto simbolico del capitalismo ingordo che fa margine sulla salute delle persone. Più se ne parla, maggiori sono le probabilità che la gente simpatizzi con il suo metodo di risoluzione dei problemi, al punto che si è cominciato a paventare il rischio che la giuria popolare lo assolva all’unanimità, con quello che nel sistema giudiziario statunitense si chiama jury nullification. Improbabile, ma non impossibile.
Meglio nasconderlo, allora, perché l’atmosfera è tesa, gli oligarchi sono tanti e le armi di facile reperibilità. Meglio farlo sparire, e sperare che la gente se lo dimentichi almeno fino alla condanna.
Le date
C’è sempre il tour di Brutta, che l’8 febbraio arriva a Cadelbosco, ma ce ne sono alcune in aggiunta:
20 febbraio - San Donà di Piave, presentazione di Cose mai successe, Libreria Raggiungibile, ore 18.00
24 febbraio - Roma, presentazione di Tette - La rivoluzione femminile, presa di petto di Sarah Thornton, con Vladimir Luxuria (che non ho mai avuto il piacere di incontrare di persona, per cui c’è quel gusto dell’imprevedibile), Libreria Zalib
21 marzo - San Vito al Tagliamento, presentazione di Cose mai successe, Circolo Arci CRAL. Si torna sul luogo del delitto, dopo Brutta.
A martedì prossimo. Prenditi cura di te.
Giulia
Non ne avevo parlato prima, ma sono fra le cose più belle che mi siano mai state indirizzate. E non per i complimenti, ma per la sensazione di aver fatto fiorire qualcosa, dei pensieri, dei dubbi, un’idea di percorso umano. È stata un’esperienza trasformativa, nel senso che ne sono uscita diversa, plasmata in una nuova direzione.
Forse il più trasparente di tutti in questo senso è Giuseppe Valditara, la cui insistenza a riportare la scuola nel 1900 è quasi commovente. Sì, abbiamo capito, hai nostalgia di quando eri giovane. Anche noi. Ma quegli anni non tornano, Peppi’. Capito? Non tornano più. Non è rovinando la vita a chi è giovane adesso che te li riprendi.
Grazie Giulia, come sempre. Per quanto mi riguarda, sento fortissimo il bisogno di coltivare comunità di vicinanza fisica, anche se mi rendo conto di aver perso negli anni l'abitudine a farlo (troppe illusioni che la vicinanza online potesse bastarmi).
Naomi Klein nomina i concetti di “chosenness” e “secular Rapture” per capire la narrativa in corso negli Stati Uniti e poterla combattere adeguatamente. Dice “more soon”, condivido il link sperando che arrivi qualcosa che ci aiuti: https://www.instagram.com/p/DFisNAfywgI/?hl=en&img_index=5
Complimenti per il lavoro nelle scuole. Sono molto vicina a due adolescenti maschi bombardati da esponenti della cultura bro e capisco e apprezzo profondamente il tuo approccio di accoglienza. Ammetto che il mio spesso è seguito da imprecazioni e smadonnamenti interni :D