"Cose mai successe" in libreria
Questa settimana: il libro nuovo, lo spettacolo in tour, un paio di documentari che ho visto su Netflix e un breve commento a un articolo molto commentato.
Oggi è il giorno dell’uscita ufficiale di Cose mai successe, e io sono sul treno che mi porta a Roma, dove firmerò le copie acquistate in pre-ordine dallo shop della libreria Tlon. Arriveranno presto, e io sono distrutta dall’ansia, ma sono anche contenta di quella contentezza che ti dà solo vedere la fine di un percorso, quello iniziato più di due anni fa con un quadernino a righe, e ancora prima, con un file datato 2012 che conteneva l’embrione di quello che sarebbe stato questo romanzo.
Domani sera, alle 19.00, in quello che spero sia un eccezionale tramonto romano, ne parliamo con Caterina Di Paolo al Monk. Sarà durissima non fare spoiler, ma noi siamo brave e ce la faremo.
Le altre presentazioni già fissate:
9 aprile - Milano, Mosso (c’è un link per prenotare il posto)
17 maggio - Terni, Casa delle donne
18 maggio - Pomezia (RM), Libreria Odradek
31 maggio - Bologna, Confraternita dell’Uva
Brutta in casa, bella in piazza
Le tappe dello spettacolo in Triveneto sono state belle, ma sarei disonesta se omettessi di dire che l’unica che mi stava facendo sudare le mani era quella di San Vito al Tagliamento, in cui giocavo in casa. Allo spettacolo c’erano i miei genitori, mia sorella e mio nipote grande, due mie compagne d’università venute apposta da Trieste (è un’ora e mezza di strada) e una mia amica d’infanzia, unica e sola. La sala era strapiena (chi avrebbe mai detto che mi sarei emozionata alla vista di gente che trasportava sedie e panche per aggiungere posti) e lo spettacolo in sé è stato bello, a tratti commovente. Cristiana è bravissima e mio padre ha parlato di lei fino al giorno dopo.
Nonostante tutto, nonostante l’accoglienza più che positiva e il fatto che i miei rapporti familiari siano rimasti inalterati anche a fronte dell’ostensione dei danni educativi che ho subito, la tappa sanvitese mi ha lasciato delle impronte che la mia psiche fatica a elaborare. Sono tornata da persona risolta1 nei posti dove sono stata infelice, ma non sarà mai abbastanza. In queste ultime due notti il mio inconscio ha fatto grandi salti indietro: ho sognato la mia compagna di banco delle superiori, Giorgia, alla quale volevo un bene immenso e che ho rivisto una volta sola dopo la maturità. Non ho il suo numero, non è sui social, non potevo dirglielo. Giorgia è stata la prima persona ad avermi detto: tu sei brava, sei una persona in gamba, ci devi solo credere. Eravamo in gita scolastica, sedute per terra. Non me lo dimenticherò mai. È lì che ho imparato che una pacca sulla spalla fa miracoli.
Le prossime repliche dello spettacolo sono:
12 aprile - Torino, OffTopic
18 aprile - Pisa, Caracol (qui io non ci sono)
20 aprile - Firenze, Laboratorio Puccini (neanche qui2)
26 aprile - Terlizzi (BA), ingresso gratuito!
28 aprile - Taranto, Spazio Porto
4 maggio - Perugia, Auditorium S. Francesco
15 maggio - Milano, ARCI Bellezza
Culti distruttivi e dove trovarli
Nei giorni scorsi, più o meno a cavallo del fine settimana di Pasqua, ho anche scritto un pezzo lungo, impegnativo ma molto soddisfacente (almeno per me) in cui analizzo il culto della personalità intorno a Donald Trump per provare a determinare se si tratti di un culto distruttivo. I culti distruttivi sono una mia ossessione da molto tempo, e discendono dall’interesse più generale che nutro per le religioni e tutti i culti strutturati, distruttivi e non. Il giorno di Pasqua pioveva, al parco con i miei nipoti non ci si poteva andare, e ho finito per scegliere e guardare un documentario su Netflix, The Program, diretto da Katherine Kubler.
Il tema dei campi di riabilitazione per adolescenti problematici era già stato affrontato da Hell Camp, la docuserie di Liza Williams che racconta i Challenger Camp inventati da Steve Cartisano. Kubler, a differenza di Williams, mette la sua storia personale e quella dei suoi amici e di altri sopravvissuti al centro del racconto. Nella prima sequenza li vediamo tornare, ultratrentenni, nella vecchia sede dell’istituto noto come Ivy Ridge in cui erano rimasti imprigionati per buona parte della loro adolescenza: l’edificio, ormai abbandonato, contiene ancora buona parte dei documenti che dettagliano gli abusi subiti dai ragazzi e dalle ragazze che vi sono stati portati, contro la loro volontà e senza la possibilità di chiedere aiuto.
La storia in sé è terrificante, ma va inserita in un contesto più vasto che ha a che vedere allo stesso modo con la manipolazione mentale tipica dei culti distruttivi e con il capitalismo, che negli Stati Uniti si sostituisce allo Stato nel fornire servizi e assistenza alle famiglie. Crescere un adolescente è sempre complesso, e quando l’adolescenza incontra l’incapacità dei genitori di stabilire un rapporto, oppure (come nel caso di Kubler, simpatica, comunicativa e dotata di grandi doti di leadership) il fondamentalismo religioso, è facile pensare che la soluzione sia delegare la funzione educativa a soggetti terzi. L’isolamento, la pressione psicologica e l’impossibilità di comunicare il proprio disagio alle famiglie fanno il resto: le “scuole” del circuito WWASP, di cui Ivy Ridge faceva parte, erano interamente basate sull’abuso. Le violenze erano il metodo, non un incidente di percorso. E i genitori pagavano, e nemmeno poco: nel corso del documentario, Kubler calcola che suo padre ha sborsato circa 76.000 dollari per finanziare i 15 mesi di tortura subiti dalla figlia.
Cosa c’entrano i culti distruttivi? C’entrano: ma in questo caso non sono gli adolescenti a farne parte. “The kids are not in the cult, the parents are in the cult”: sono i genitori a essere manipolati dalle organizzazioni, indotti a partecipare a seminari pensati per convincerli che i loro figli e le loro figlie sono nelle mani di professionisti esperti. La realtà è diametralmente opposta: gli istituti WWASP non rilasciavano diplomi validi, e chi completava il percorso al loro interno (cosa che richiede anni, appunto: il programma è suddiviso in livelli, e ogni infrazione può farti precipitare di nuovo al livello 1, quello in cui non puoi nemmeno sorridere) si è ritrovato senza qualifiche e senza la possibilità di iscriversi all’università.
È il capitalismo, dicevo: l’industria della “correzione” è progettata per succhiare soldi alle famiglie, e quei soldi finiscono per lo più nelle tasche dei proprietari degli istituti in questione. Non esiste alcun organismo che vigili sulla bontà delle pratiche proposte, sulla loro validità medica e scientifica, sull’uso e l’abuso di psicofarmaci e violenze, che vengono sistematicamente negate. The Program e Hell Camp dovrebbero bastare a ricordarci quanto sia importante che lo Stato (quindi: la comunità a cui apparteniamo) si faccia carico dell’educazione dei giovani, e lo faccia in piena vista, seguendo standard rigorosi e garantendo loro la libertà di parola, di espressione e di movimento.
Quell’articolo di Doppiozero di cui parlano tutte
Su Doppiozero è uscito un articolo a firma Gianni Bonina, intitolato Il grado zero del romance, che ha fatto giustamente incazzare le autrici italiane3. Non sapevo se commentarlo o meno, alla fine ho deciso di sì, ma senza mettere un link. Numero uno, perché non voglio comparire nei referral di Doppiozero, non se lo meritano. Numero due, perché il testo in sé contiene frasi come questa:
La rottura della regola ha la stessa forza dirompente della violazione del canone aristotelico di narrazione circa l’unità di tempo, spazio e azione che ha aperto le porte al teatro moderno, fatto salvo il dato che il precetto aristotelico professava l’inderogabilità dell’unità mentre il nuovo sistema sintetizza i generi in unità contro il credo della distinzione. Che questo fatto nuovo venga dalle donne costituisce una conquista di portata storica sulla quale riflettere.
Il pezzo è quasi tutto così, scritto in una lingua che dovrebbe essere erudita e che in realtà è tutta fuffa per mascherare un messaggio molto semplice: le donne (tutte! Da Erin Doom a Michela Murgia!) scrivono solo rosa, le lettrici leggono solo rosa, le donne sono responsabili della distruzione della letteratura. Mi dicono che “ok boomer” è una risposta troppo boomer, ed essendo io Gen X e anche femminista di terza ondata mi limito a dire che è un bene che la misoginia ogni tanto venga a galla. Se no noi che la subiamo sembriamo sempre delle mitomani con manie di persecuzione. Bonina ha il pregio di far emergere i pregiudizi intorno al genere, alle donne che scrivono (e vendono, e manco poco) e quelle che leggono (colpevoli, secondo lui, di scegliere il romance, dice proprio così, “romance”, mica rosa). Ripeto, il pezzo è poca cosa. Il sentimento, invece, no.
Le altre date
Un memo velocissimo:
17 aprile - Festival dei Giovani di Gaeta
19 aprile - Gubbio (PG), per La città delle donne
20 e 21 aprile - Festival del giornalismo di Perugia. I panel a cui partecipo sono due:
20 aprile, ore 19.00-19.50: Anche la ricerca scientifica ha un problema di genere
21 aprile, ore 20.00-21.15: Queer libera tuttǝ
Ci risentiamo martedì prossimo.
Giulia
Ci stiamo ancora lavorando, ma siamo a buon punto.
Vale la pena andarci lo stesso, con o senza di me.
Gli autori, mi pare, se ne sono tenuti ben lontani: che sia un bene o un male è discutibile, ma mi immagino il casino che sarebbe successo a parti invertite.
Sono una accanita lettrice di gialli e thriller, mi devo preoccupare? 🤔
E comunque il testo di Bonina è incomprensibile, brava tu che hai capito cosa ha scritto 😀