Fascismo e botanica
Che non sono collegati, ma forse un po' sì: una newsletter bella densa.
In questi giorni ripenso spesso alla volta in cui mi venne detto che non potevo scrivere che un certo partito diceva e faceva cose fasciste, non perché non fosse vero ma perché l’editore della testata con cui collaboravo era di destra, e si sarebbe risentito. Era una cosa che avevo tutta l’intenzione di argomentare, mica l’avrei buttata lì: non sono mica un’esponente del governo, quelli non argomentano mai niente, è tutta una pioggia di cazzate un’affermazione apodittica dietro l’altra, senza saper sostenere mai niente e senza che nessuno faccia mai la famosa seconda domanda. In questi giorni, in cui le inchieste di Fanpage (qui la parte 1, qui la 2) stanno mostrando nel dettaglio da quale terreno di coltura provengono gli esponenti di Fratelli d’Italia, quella storia (e quella goffa soppressione della mia proposta, che era sicuramente legittimo rifiutare, ma si sarebbero potute addurre motivazioni migliori) mi ritorna in mente. Avrei preferito avere torto, e invece mi rimane questa ragione che sa di amaro.
Per quanto i vertici di Fratelli d’Italia si affannino a delegittimare l’inchiesta, attaccando la testata e i giornalisti, la realtà sta lì, papale papale. E anche se sembrano dei pagliacci - perché in fondo lo sono: dei pagliacci nostalgici di un periodo storico che non possono avere vissuto e che non hanno studiato, ma di cui hanno assimilato la narrazione distorta dalla loro stessa propaganda - sono dei pagliacci pericolosi e violenti. Lo erano anche i fascisti originali, non dimentichiamolo: tutti presi dai loro rituali littori, braccia che scattano in avanti, simulazioni di marzialità. Tutto finto. A morire in guerra ci andavano i figli dei poveri, mica i gerarchi tutti azzimati.
Non è bello avere ragione. Non è bello neanche poter dire “Ve l’avevamo detto” in faccia a quelli che ci accusavano di vedere i fascisti dappertutto: pensa un po’, erano dappertutto. E non è molto edificante nemmeno assistere alla ginnastica verbale dei fascisti stessi, che non potendo dire “fascismo brutto” tentano altre strade: eh, ma la dittatura del comunismo! Eh, ma i morti causati negli anni ‘70 dall’antifascismo! Eh, il tremendo problema dell’antisemitismo delle piazze di sinistra! Pagliacci, appunto. Se la serietà fosse un valore, li faremmo dimettere domani: e sarebbe comunque tardi.
Sulle inchieste di Fanpage, e sul loro contenuto, è stato detto tutto quello che andava detto, e soprattutto è stata detta la cosa giusta: Gioventù Nazionale va sciolta ai sensi della Legge Mancino (e bisognerebbe indagare a fondo sulle frodi che sembrano emergere dai colloqui riportati nei video). Rimangono i dettagli, le cose che ti colpiscono in maniera laterale. Per esempio, il momento in cui una delle giovani responsabili del movimento (tutte donne: ci sarebbe molto da dire) raccomanda ai militanti di presentarsi “con il sorriso”. Non ricordo di avere mai sentito nessuno raccomandare la stessa cosa ai volontari di, che ne so, la Festa dell’Unità. Non dico che nelle fila dell’organizzazione delle feste del PD non ci siano degli stronzi, gli stronzi, come cantavano Colapesce Dimartino “Non si può fare il conto, sono milioni”. Ma di sicuro non sono dei ceffi a cui devi raccomandare di non andare in giro ingrugniti e con l’aria minacciosa, o di non urlare slogan che potrebbero rivelarli come fascisti al di fuori della loro cerchia. Se c’è una cosa che è definitivamente venuta giù è l’apparenza della rispettabilità: era tutta una finta. Lo sapevamo, ma ora ci sono le prove.
La mala educazione dei maschi, parte ennesima
Dicevo, ci sarebbe da ragionare parecchio sulle ragazze che scelgono di diventare leader di associazioni di estrema destra, la stessa destra che negli anni ‘20 le avrebbe relegate al ruolo di fattrici, impedendo loro di lavorare. Ma chissà se lo sanno, queste ragazze, che per il Mussolini a cui inneggiano le donne erano animali da riproduzione, al limite esseri da portarsi a letto (e se rimanevano incinte e reclamavano diritti le faceva internare, che problema c’era?), mica persone. Forse no, o forse sì ma il livello di dissociazione diventa tale da non consentire l’elaborazione corretta dell’informazione. Le donne nel fascismo ci sono sempre state, ed emergevano in proporzione alla loro disponibilità a farsi carceriere delle altre donne. Forse lo stesso sperano per sé stesse, queste giovani donne che si sentono “ariane”: sai le sorprese che avrebbero da un test del DNA.
C’è altrettanto, e forse di più, da dire sul genere di maschilità esibita dagli altri attivisti, appena una tacca al di sopra del grugnito, tutta bicipiti e cori razzisti urlati in modalità stadio (cosa sarà nato prima, il fascista che strascica le parole abbassando il timbro della voce per sembrare più virile, o il tifoso che inneggia alla sua squadra con le stesse modalità? Qualcuno di sicuro conosce la risposta a questa domanda). Quando cominciano a berciare “Siamo fascisti mica poveri coglioni”, il resto di noi gente normale pensa “Eh, guarda, non so”.
Questi poveri coglioni fascisti sono però all’incirca gli stessi1 che quando Filippo Turetta fu arrestato dissero che era colpa - indovinate? - della “rieducazione” operata da non si sa bene chi, forse il gender o forse le femministe o forse tutt’e due le cose, tanto è uguale. È talmente una stronzata che non vale la pena di perderci tempo2, però è importante esaminare la matrice comune che collega l’ipermaschilità esibita dai militanti nelle associazioni di estrema destra e la decisione di Filippo Turetta di uccidere la sua ex, colpevole di aver voluto (secondo quanto riportato dal suo interrogatorio) una vita senza di lui.
In superficie, Turetta doveva sembrare gentile. Debole, inoffensivo. Appiccicoso come i bambini, e come i bambini incapace di elaborare il significato di un “no”. Dai verbali degli interrogatori emerge che a quell’ultimo incontro si era presentato con dei regalini, due peluche, un libro per bambini, doni da festa di compleanno delle elementari. Non è mai il caso di psicanalizzare la gente a distanza, ma la testa è andata subito al padre che diceva: la mamma non avrebbe dovuto stirargli la tuta? E la risposta adesso è: no. Forse no. Forse a oltre vent’anni la tuta se la poteva stirare da solo. Forse uno che porta dei peluche in dono all’ex fidanzata ha dei problemi gravi ed evidenti di arresto dello sviluppo emotivo, e qualcuno doveva accorgersene prima. Questo non lo rende infermo di mente: lo rende al limite un uomo non educato alla vita, incapace di avere relazioni adulte, perché tutto intorno a lui ha facilitato la sua permanenza in un’infanzia protratta. Giulia Cecchettin non ne voleva più sapere: lei adulta lo stava diventando, si stava laureando, aveva sogni e desideri che non potevano includere un uomo incapace di crescere, e al quale, tuttavia, stava ancora dando attenzione.
Ho detto “non educato”, e il punto è proprio questo: manca l’educazione alle relazioni, manca tutto, ma soprattutto manca il famoso intervento del gender o delle femministe che dovrebbe essere alla base della scelta della violenza, o forse solo della debolezza, che alla fine mi sembra essere l’unico vero problema dei fascisti. Filippo Turetta gli sembra un bersaglio facile proprio per quella faccia da bambacione inoffensivo. Non è della violenza che hanno paura, è di sembrare dei perdenti.
Sembrano uomini completamente diversi, i fasci ingrugniti e Filippo Turetta, e invece sono due declinazioni diverse dello stesso genere di maschio e sono spinti dalla stessa necessità: quella di dominare qualcosa o qualcuno. Il fascismo è un’idea politica infantile, basata sulla prepotenza: dà struttura a un bisogno egoista da uomini immaturi, quello di affermare la propria superiorità per mezzo dell’oppressione, se non direttamente dello sterminio, delle soggettività inferiori. Non c’è fascismo al di fuori di questo, del controllo minuzioso della vita delle persone, del rifiuto di ogni dialettica politica e sociale, della cancellazione di ogni esistenza che non rientri nei canoni rigidissimi di un patriarcato soffocante. Fra il fascio tatuato e bellicoso e l’incel che frigna che le donne lo scartano anche se lui è tanto un bravo ragazzo esiste una linea di continuità evidente.
È la stessa fragilità, la stessa necessità di definirsi attraverso il dominio sugli altri, piuttosto che sulla conoscenza profonda di sé stessi. Fra la violenza del frignone e quella del ceffo urlante non c’è alcuna differenza, è sempre violenza, sempre un bisogno bambinesco di dire: questo è mio, qui comando io.
Il seme di coriandolo e le politiche antiabortiste
Il coriandolo fresco mi piace molto, perché sono fra le persone fortunate per cui non sa di saponetta. Dato che la piantina non si trova facilmente, ho provato a seminarlo mettendo dei semi (che avevo fra le spezie in cucina) dentro un batuffolo di cotone bagnato per qualche giorno e piantandoli poi in terra.
Niente, non hanno germinato.
Potrei aver sbagliato un sacco di cose che non so, ma il succo è questo: il seme del coriandolo non ha dato una piantina di coriandolo. Non tutto quello che viene seminato diventa una piantina. I semi a volte germogliano, a volte no. I bulbi di gladiolo che ho nella fioriera, per esempio, quest’anno hanno buttato su solo foglie e niente fiori. Ho la fioriera piena di foglie, e non so perché. Di solito fanno tutto da soli, e invece quest’anno niente.
Cosa c’entra con l’aborto?
C’entra. Perché ci pensavo un po’ di tempo fa, al fatto che quando diciamo “seme”, nella riproduzione dei mammiferi, pensiamo allo sperma. E invece lo sperma non è un seme. L’embrione è un seme, anzi, lo zigote prima, l’embrione poi. Lo sperma, se gli umani fossero piante, sarebbe il polline. E allora perché lo chiamiamo “seme”?
Anche qua, il problema è la concezione maschiocentrica della riproduzione: prima che i corpi delle donne cominciassero a essere studiati e si scoprisse come funziona davvero la fecondazione, si pensava che lo sperma atterrasse nell’utero come in un campo e prendesse la forma di un essere umano. Una concezione che tagliava fuori del tutto il contributo genetico, metabolico e ormonale della donna, che di fatto era una sorta di incubatrice ambulante, un contenitore in cui il feto si sviluppava in autonomia. In un certo senso, non ci siamo mossi da lì: continuiamo a chiamare lo sperma “seme” e a trattare gli embrioni come esseri umani fatti e finiti, quando invece sono l’equivalente di un fagiolo: nelle condizioni ideali mette radici e fa la pianta. Ma queste condizioni ci devono essere, e oltretutto, la fioriera sul mio davanzale non deve mantenere la pianta di fagiolo fino alla maggiore età, educarla, comprarle delle scarpe adatte a piedi che crescono ed evitare che diventi una criminale. Gli esseri umani non sono piante. L’utero non è una fioriera.
L’embrione è un seme, e come tutti i semi, può o meno diventare l’essere vivente che è contenuto nel suo codice genetico. Non è una persona. Non è la vita. È una possibilità. Se non abbiamo ancora imparato a trattarlo come tale, e a rispettare il contributo di volontà, corpo, tempo, cellule ed energia metabolica e mentale che è alla base di qualunque gravidanza e del successivo impegno genitoriale, è perché come cultura siamo ancora fermi ai tempi in cui l’uomo era seme e la donna era terra. E non è che non abbiamo gli strumenti per muoverci da lì: è proprio che non vogliamo. Perché ammettere la realtà significherebbe attribuire alle donne la piena facoltà di decidere cosa fare, di quel seme: se provare a farlo germogliare, o rimuoverlo. Perché è un seme, in sé e per sé non è niente, nessuno pensa che un fagiolo sia una pianta, e allo stesso modo l’embrione non è una persona.
Si stima che dal 15 al 30% delle gravidanze si interrompa spontaneamente, 8 su 10 nelle prime settimane e senza che chi porta la gravidanza ne abbia contezza. Non sono persone che muoiono, sono semi che non attecchiscono, che non si sviluppano, per i motivi più vari.
Non serve essere lacerate dal dolore, per non voler essere incinte. È sufficiente dirsi che non si vuole essere incinte, punto e basta, perché la gravidanza e la maternità non sono un processo automatizzato, sono una scelta personale, intima. Invece stiamo ancora alla retorica della sofferenza, al dramma, al lutto, alla difficile decisione, a Gasparri che non sapendo come altro mettersi al centro della scena propone di dare mille euro al mese per cinque anni alle penitenti che vogliono abortire e cambiano idea, che voglio dire: se una volesse un figlio, le basterebbe mentire a ‘sti mentecatti dei ProVita per fare su un discreto gruzzolo. Non si farà mai, non ci sono i soldi, è una sparata come tante. Ma pensiamoci, la prossima volta che si parlerà di aborto: non è l’embrione in sé. È quello che pensi potrebbe essere, è il futuro che ci vedi dentro, o che non ci vedi. E la cosa peggiore, per una società patriarcale, è ammettere che l’unica persona che può decidere di quel futuro è chi lo deve costruire col suo sangue.
Le ultime date (vabbe’, chi lo sa)
L’8 luglio sono Thiene (VI), a Villa Fabris, rassegna TalkOut, ore 21.15, per parlare di Cose mai successe e anche di cose che succedono, perché l’ansia ce l’abbiamo un po’ tutte e tutti, tanto vale tirarla fuori tipo terapia di gruppo ambulante.
Il 13 luglio fra le 19 e le 20 sono alla Festa dell’Unità di Roma a parlare di gestione e leadership circolare dei gruppi e delle comunità. L’invito mi arriva dai Giovani Democratici, ma è aperto al pubblico.
L’11 agosto dovrei invece essere a Corciano (PG) per un incontro a partire da Brutta (il libro, non lo spettacolo, anche se alla fine dei conti il tema è lo stesso). Dettagli in via di definizione.
Ci risentiamo martedì.
Giulia
Fra Casapound e Gioventù Nazionale non passa alcuna differenza ideologica di rilievo, se non che i primi vivono abusivamente all’Esquilino e i secondi sono foraggiati dal partito di governo. Una fazza una razza.
Come se fra i fascisti non esistesse gente che picchia le donne, le stupra o le uccide. Una dottrina basata interamente sulla sopraffazione e la violenza dovrebbe miracolosamente generare solo uomini rispettosi, certo, come no. Franca Rame avrebbe avuto delle cose da dire, su questo.
Sono maschio, etero, antifascista, femminista convinto.
Da qualche tempo invischiato in una dolorosa separazione che mi sta lacerando. Mi sto scoprendo impreparato ai "no", all'abbandono. Mi interrogo sempre su dove sia il limite tra il fare tutto il possibile per aggiustare una situazione e dominare "qualcosa o qualcuno". Mi chiedo spesso se appartengo anche io al genere di maschio di cui parli e la cosa mi atterrisce. I tuoi scritti mi aiutano a riflettere, anche se fa male. Grazie.
Questa settimana ti sei superata. Parole che andrebbero affisse sui muri delle scuole, altro che dieci comandamenti. Per andare totalmente fuori tema, i semi di coriandolo da piantare si trovano su amazon e in stagione anche alla lidl