Giorgia Meloni, le femministe e la politica del rancore
Questa settimana: è quasi estate e Michela non compie gli anni, arriva l'audiolibro, una riflessione su un tema sempre attuale, e un libro che ho (finalmente!) finito
Il profumo dei fiori di tiglio mi riempie di una felicità malinconica: non una felicità vera, ma il ricordo di felicità passate, e non so perché. Non riesco ad agganciare la sensazione a un momento, a un’immagine, a una memoria qualsiasi: ieri mattina sono andata a fare i prelievi per un’analisi del sangue, e tornando indietro lungo via Guglielmo degli Ubertini e via Pausania l’odore dolce dei tigli era ovunque, copriva ogni altro aroma, buono o cattivo. Sarà che il tiglio fiorisce adesso, a ridosso dell’estate: forse è per quello, forse è un annuncio, è l’odore della libertà in arrivo, della fine della scuola, delle maniche corte e della luce fino a tardi, del piacere banale del sole che entra dalla finestra la mattina. Sarà quello, forse; o forse sarà altro, non lo so, quello che so è che il tiglio è una droga, quando fiorisce io vado in giro respirando a fondo e non mi basta mai, mi sembra il profumo più buono del mondo, e chissà cosa ne direbbe Proust.
Ieri era anche il compleanno di Michela, e da ieri e fino all’autunno avremo ancora la stessa età, lei e io, 3 giugno e 14 novembre. Poi, se tutto va bene, io compirò 52 anni e lei no, lei non ci è arrivata, si è fermata prima e ci ha lasciate qui a invecchiare da sole. Che scherzo di pessimo gusto, Michi.
Però siamo ancora qui, e forse la cosa più sensata che possiamo fare per onorare la sua memoria non è piangerla come se con lei fosse morta l’ultima intellettuale, ma prendere il suo lavoro e farne benzina per il futuro. Creare pensiero insieme, portarlo nella collettività, fare rete intorno alle idee. Negli ultimi anni della sua vita, Michela era molto sola con un peso enorme addosso: essere pezzi unici ha dei vantaggi in termini di prestigio, ma finisce per verticalizzare tutto lo sforzo su una persona sola, che diventa portatrice e bersaglio. Se smettessimo di cercare la nuova Messia e cominciassimo a fare caso alle idee che già circolano, a creare conversazioni con le persone che le propongono e le sanno raccontare, se riuscissimo a sfuggire alla tentazione di cercare di nuovo quella verticalità (per noi o per qualcun altro), ecco, mi pare che sarebbe un buon modo per raccogliere quell’eredità.
Il 6 giugno esce in esclusiva su Storytel l’audiolibro di Cose mai successe, che è il mio primo esperimento di lettura narrativa, e spero che sia venuto bene (di sicuro non mi hanno fatto rifare niente, quindi malissimo non è andato). Cliccando su questo link si può attivare un periodo di prova di 30 giorni, che puoi utilizzare per ascoltare me che leggo questo libro e i tre precedenti, oppure tutt’altro, fai tu.
Il tour delle presentazioni del libro ha ancora un bel po’ di date, eccole qui:
7 giugno - Palermo, Una marina di libri, ore 19.30
23 giugno - Pescara, Squilibri Festival
30 giugno - Cividale (UD), Mittelibro
13 giugno - Empoli (FI), Libreria Rinascita
8 luglio - Thiene (VI), Villa Fabris
18 luglio - Firenze, Libreria Malaparte
19 luglio - Arezzo, libreria Feltrinelli
“Dove sono le femministe?” Reloaded
Negli ultimi giorni, la presidente del Consiglio ha cercato più volte di farmi incazzare non come cittadina, ma come femminista. Non c’è riuscita - o almeno, non è riuscita a innalzare il mio già considerevole livello di furia nei confronti del manipolo di scappati di casa che ci governa - ma in compenso è riuscita a consolidare in me l’idea che le destre contemporanee non abbiano alcuna sostanza oltre il rancore. Gli manca la cultura1, non nel senso di libri letti ma proprio di un impianto ideologico strutturato che vada al di là della rivalsa e della vendetta contro il nemico. E se il nemico non c’è, bisogna inventarselo.
Che Meloni e le femministe non vadano d’accordo non è proprio una cosa nuovissima, o almeno: Meloni non va d’accordo con le transfemministe e le femministe intersezionali, perché con le femministe liberali e le TERF si trova benissimo, e sono sempre le prime a venirle in soccorso quando pretende solidarietà senza offrirne mai. Letteralmente: Meloni è andata ospite al podcast di Diletta Leotta e ha detto che lei non crede nella solidarietà femminile. Testuale. Però non c’è torto personale vagamente strumentalizzabile come sessista a cui Meloni non risponda urlando “DOVE SONO LE FEMMINISTE?”
Ora, le femministe sono abbastanza abituate a vedersi abbaiare contro. Normale amministrazione. Il problema è che Giorgia Meloni è la presidente del Consiglio: è a capo dell’esecutivo, guida il governo, e il governo lavora per tutti, non solo per la gente che piace a lei. Un’esponente delle istituzioni, a prescindere dal colore politico, non può passare il tempo ad attaccare la cittadinanza, perché una volta che sei nominata governi anche per la gente che non condivide le tue idee. A meno che le tue idee non siano interamente basate sul rancore, che è benzina, matrice, indirizzo politico. Allora bisogna punire, reprimere, eliminare, vendicarsi di torti per lo più immaginari subiti da gente che per decenni ha avuto l’ardire di esistere trovandosi dalla parte giusta della storia: quella degli antifascisti.
La destra italiana si è definita da sempre come contro qualcuno o qualcosa, e anche ora che (complice anche il paziente lavoro di riprogrammazione dell’immaginario collettivo e dei valori di riferimento operato da Berlusconi con le sue reti per almeno quarant’anni) può dire di avere affermato un’egemonia culturale, non sa essere a favore di niente e di nessuno. Anche le cose che i politici di destra dicono di voler affermare - diopatriafamiglia, quelle cose lì - sono quasi sempre definite per contrasto. Dicono di essere a favore della famiglia e della vita, e lo affermano andando contro i diritti riproduttivi, infilando bulli nei consultori per manipolare chi vuole abortire, perseguitando le madri lesbiche. Di cose che servirebbero in effetti alla famiglia e alla vita (e ai bimbi di cui questo paese avrebbe bisogno) ne hanno fatte esattamente zero: niente asili, niente congedi di paternità paritari, sostegni alla famiglia limitati che si rivelano essere delle sole (chiedete a chi si è studiato il famoso “bonus mamme”). Vabbe’, potrei continuare. Si è capito.
Io non so quanto possa durare, questo stato di assedio costante. Meloni finora ha funzionato, ma nessuno è eterno, e neanche lei, che di sostanza sembra averne davvero poca, e insicurezza ne ha molta: mai un’intervista faccia a faccia, mai una conferenza stampa, solo comunicati tipo Osama Bin Laden e video in cui prende per il culo i soliti nemici immaginari, dall’alto di una sproporzione di potere che evidentemente non le basta. Del resto, se avessi piazzato mio cognato all’agricoltura e mio cognato fosse quello lì, anche io sarei un tantino insicura.
Ho finalmente finito The Shards
Mi vergogno ad andare a controllare quando avevo iniziato a leggerlo (a mia discolpa: nel mezzo ne ho letto almeno un altro, e comunque sono 600 pagine), ma finalmente sono arrivata in fondo a The Shards di Bret Easton Ellis (in italiano è uscito come Le schegge per Einaudi). E se da un lato l’ho trovato molto soddisfacente in termini di puro orrore, paranoia e follia, con un paio di scene che mi hanno levato il sonno per la tensione, dall’altro forse posso dire che mi sono un po’ stancata degli scrittori che eseguono sempre la stessa partitura, con variazioni minime. The Shards è suonato sul tema di American Psycho: uno slasher psicologico in cui il confine fra realtà e allucinazione è sempre molto sottile. A differenza di American Psycho, però, The Shards rinuncia a essere allegoria (del capitalismo ingordo e violento degli anni ‘80) e va indietro con la memoria per raccontare un’adolescenza, quella dei ricchi californiani nati sulla cuspide fra i Boomer e la Generazione X, fatta di enormi distanze emotive e fisiche, spazi vuoti, assenze e sostanze usate per tenersi lontani dal dolore, dall’ansia e dalla paura. Ho avuto la sensazione che Ellis, che pure è un fuoriclasse (l’incipit del romanzo è una roba da mettere in cornice: sembra un’introduzione, e invece no) si stia ritirando in un mondo nostalgico in cui non riesce più a leggere il presente. E questo, per un narratore, è un peccato mortale.
Basta, ci sentiamo la settimana prossima.
Giulia
Nessuno come
e la sua newsletter è in grado di spiegarlo bene e con cognizione di causa.
Grazie, Giulia. Condivido totalmente, anche per colpa del profumo dei tigli 🤗
Io non lo so, ogni volta che arrivo in Italia mi deprimo male. Non è che dove sto sia tanto meglio eh, sia chiaro. Ma vedo i miei, anziani e terribilmente incattiviti che non solo votano e rivoteranno Meloni convinti, ma considerano Elly Schlein “una scema arrogante a cui non va bene nulla” e guardano con simpatia a Vannacci. Che a molti fa ridere e per molti è irrilevante ma a me fa una paura notevole. Spero di sbagliarmi.