Il problema del genio
Questa settimana: cercare struttura nel buio, il culto di Elon Musk, un'overdose di Keira Knightley e le date del tour di Brutta.
I buoni propositi per l’anno nuovo, lo dicevo la settimana scorsa, sono una cosa che non faccio più. Eppure questo nuovo inizio anno, che arriva non con i migliori auspici ma portandosi appresso il fardello delle ansie del 2024, risveglia in me un desiderio di struttura, di direzione, per non lasciarmi sopraffare dagli eventi. Succederanno tante cose, molte saranno brutte, angosciose, umilianti per la collettività e per chi fa attivismo, o prova a farlo. Ho bisogno di fare dei piani, darmi degli obiettivi, creare percorsi. Visualizzare un sentiero. Trovare la bellezza nel quotidiano.
Ne parlavamo un po’ di tempo fa con il mio amico Fulvio, ci domandavamo: ma il mondo adesso ci sembra più brutto rispetto a quando eravamo bambini perché siamo bombardati di notizie, perché siamo adulti e nessuno ci protegge, o è proprio più brutto? Siccome ho cinquantadue anni ma cerco di ragionare oltre gli status copiati e incollati di Facebook su quanto era migliore e più rispettosa la mia generazione (giusto per fare il punto: siamo i figli negletti dei Boomer, cioè quelli che pensavano di fare politica sparando e mettendo le bombe, ma siamo pure quelli che hanno votato tre volte per Silvio Berlusconi1), non posso che osservare che sono probabilmente vere le prime due cose (siamo online e informati su qualunque tema in maniera quasi costante, cosa che non era vera quando eravamo piccoli e intorno a noi piazze e stazioni saltavano in aria), ma forse è vera anche la terza: il mondo è diventato più complesso, a volte più complicato, mentre l’umanità chiamata a governarlo è, per metterla giù semplice, sempre più scema e impreparata ad affrontare le difficoltà.
Il problema del genio
Per decenni abbiamo insistito sul valore delle discipline STEM come se fossero l’Olimpo dell’insegnamento, e abbiamo ridicolizzato le materie umanistiche. Il risultato, fra le altre cose, è il culto di Elon Musk, uno che se lo incontrassi al bar e lo ascoltassi per due minuti ti sembrerebbe lo scemo del villaggio. Invece ha solo un sacco di soldi ed è bravissimo a spacciarsi per uno che ha un sacco di idee geniali2, ma io non ho mai visto una persona intelligente dire o credere a così tante cazzate3. Prendiamo - per contrasto - Giorgio Parisi, uno che ha vinto un Nobel per i suoi studi sui sistemi complessi: Parisi dice così tante cazzate in pubblico? No. Parisi non le dice, perché è intelligente. Amalia Ercoli-Finzi? Idem. Samantha Cristoforetti? Come sopra.
C’è chi sostiene che Elon Musk sia il Tony Stark del nostro universo. Una volta mi veniva da ridere, ora mi fa solo arrabbiare. Il culto del genio ribelle e visionario ha creato un mostro ingovernabile, uno con così tanti soldi da potersi comprare letteralmente qualsiasi cosa, e infatti si è comprato un intero paese e sta cercando di comprarsene altri, a cominciare dal nostro. È convinto di poter fondare una nuova civiltà, una in cui quelli come lui prendono tutte le decisioni, e sono tutte giuste, tutte perfette. Elon Musk e i tech bros si sono davvero persuasi di essere una razza superiore. E ora stanno per prendere il controllo totale degli Stati Uniti d’America, che è come dire il controllo dell’intero mondo occidentale. Di sicuro l’Italia non oppone resistenza.
Non ho simpatia per il concetto di “genio” attribuito al singolo. Le persone dotate esistono, ma lo sviluppo delle capacità, della creatività e del pensiero è condizionato anche da fattori ambientali, politici, economici. Quando parliamo di “genio” pensiamo quasi sempre a un uomo, quasi mai a una donna: ne abbiamo perse tantissime lungo la strada, quando non usava istruirle, quando si sposavano giovanissime e morivano di parto, quando non potevano essere indipendenti dal punto di vista sociale ed economico. Stiamo perdendo moltissimo genio, nel senso di brillantezza dell’umano, con la continua disincentivazione della cultura e delle arti e il disprezzo per le discipline umanistiche. Ci dovremmo disfare del concetto di “genio” e accettare che gli esseri umani possono essere straordinariamente brillanti in alcuni ambiti della propria vita e in altri meno, che Elon Musk è il frutto incrociato della cronica sopravvalutazione del maschio bianco e del potere magico dei soldi nel capitalismo, e che comunque Tony Stark era insopportabile anche nella finzione.
Il mondo non era migliore quando eravamo più piccoli. Io sono nata nel pieno della Guerra Fredda, in cui la minaccia nucleare era talmente presente da aver generato un intero filone cinematografico e anche una certa quantità di canzoni e immaginario. Ero piccola durante gli anni di piombo, e stando ai miei genitori ne avevo molta paura. Ne abbiamo viste di ogni, noi della Generazione X, pur essendo nati in tempo di pace: se ora abbiamo paura è perché abbiamo studiato la storia, e sappiamo che i cicli si ripetono, e il buio assoluto degli anni del fascismo si sta addensando su tutto il mondo, inghiottendo vite e speranze. Abbiamo paura e ci sentiamo responsabili, perché sappiamo di non aver fatto abbastanza. Era (ed è) tutto tanto più grande di noi, e l’unica cosa che possiamo fare è mettere un piede davanti all’altro. Cercare una struttura.
Un’overdose di Keira
Nei giorni di stasi fra l’inizio dell’anno e l’Epifania ho guardato Black Doves su Netflix. Il motivo fondamentale è che sono in fase di astinenza da Slow Horses, e cercavo uno spy thriller ambientato a Londra che fungesse da metadone. Black Doves ha funzionato abbastanza bene, anche se Slow Horses rimane inarrivabile e un prodotto narrativo decisamente superiore.
I protagonisti della storia sono Helen (Keira Knightley), elegantissima moglie di un ministro Tory inglese e spia al servizio di un’organizzazione dedita alla commercializzazione delle informazioni raccolte, e Sam (Ben Whishaw), sicario professionista richiamato in servizio dopo sette anni per proteggerla in una situazione che la coinvolge in prima persona. Sam ha addestrato Helen quando lei era alle prime armi, le vuole molto bene ed è in qualche modo in debito con lei. La dinamica fra i due personaggi è molto tenera: sono persone che vivono una condizione di solitudine esistenziale assoluta, dato che non possono mai dire la verità sul proprio conto, e ritrovarsi li aiuta a scaricare un po’ del peso che si portano sul cuore.
Come tutti gli spy thriller, Black Doves funziona a robustissime dosi di sospensione dell’incredulità, ma forse il punto che ne richiede di più è quello che ha a che vedere con la doppia identità di Helen in un paese come l’Inghilterra, paese che ha inventato il giornale scandalistico e in cui la bellissima moglie di un ministro sarebbe seguita dai paparazzi in ogni dove. La serie si svolge in un’Inghilterra inesistente, in cui The Sun o Daily Mail non hanno continuamente fame di nuovi personaggi da dare in pasto alla all’immaginario delle classi popolari, e quindi Helen può andare dove le pare, indisturbata, senza essere mai riconosciuta da nessuna delle persone che incrocia e che, spesso, prende a mazzate.
Per coincidenza, negli stessi giorni in cui ho visto Black Doves mi è passata più volte sui social l’immagine di Keira Knightley avvolta nel favoloso abito verde che indossa nelle scene centrali di Atonement (Espiazione). Mi è sembrato un buon momento per recuperare questo film, che non avevo mai visto (e che si trova sulle piattaforme di streaming). Ne è valsa la pena, sia per la storia sia per i costumi, che come sempre mi ricordano che gli anni ‘30 erano terribili sotto ogni profilo tranne quello sartoriale. Il film viene giustamente ricordato anche per la performance di Saoirse Ronan nel ruolo di Briony, la sorella tredicenne di Cecilia (interpretata da Knightley), che per vendetta distrugge la vita di una quantità di persone con una sola, velenosa bugia; ma vale la pena di menzionare anche Romola Garai, che interpreta Briony diciottenne, congelata nell’impossibilità di elaborare il danno che ha causato, ma anche tiranna narcisista determinata a mantenere il controllo sulle vite degli altri. Al di là della tragica storia d’amore, che precipita verso un esito che si può intuire fino dal’inizio, Espiazione mi è sembrato un’allegoria non poco feroce del mestiere dello scrittore e del potere dispotico che tentiamo invano di esercitare attraverso la parola. Ah, poi c’è James McAvoy che non credo sia mai stato così bono, insomma, se non l’hai visto: recuperalo.
Le date del tour
Lo spettacolo tratto da Brutta è di nuovo in giro a partire dagli inizi di febbraio. In tutte le date tranne le ultime due ci sono anche io con il piccolo spazio di domande e risposte a ruota libera. Le informazioni sui biglietti sono qui.
8 febbraio - Cadelbosco (RE), L’Altro Teatro*
22 febbraio - Fara Sabina (RI), Teatro Potlach*
1 marzo - Bologna, Auditorium San Filippo Neri (ingresso gratuito)*
6-9 marzo - Roma, Spazio Diamante*
30 marzo - L’Aquila, Teatro dei 99
11 aprile - Gozzano (NO), Sala Somsi
Infine, eccoci
Con oggi apro ufficialmente le iscrizioni a pagamento. La newsletter rimane la stessa (tutto sarà in chiaro) e per ora non ci saranno contenuti extra: chi ha fatto la promessa di abbonamento finora ha impegnato una somma per sostenere il mio lavoro e permettermi di farlo ancora, e ha la mia gratitudine. Io, per parte mia, mi impegno a continuare con la massima serietà (ma non troppa: il cazzeggio fa bene all’anima).
Abbracci e grazie,
Giulia
Le ha comprate da altra gente con moneta sonante e ci ha appiccicato il suo nome sopra. Questo è.
Cazzate violente, è il caso di specificarlo: nessuna delle teorie del complotto sostenute da Elon Musk è innocua. La base è sempre qualche forma di odio misogino, transfobico, antisemita o genericamente razzista. Ogni tanto se ne esce anche con roba antiscientifica, tipo che il diametro della testa (e di conseguenza del cervello) sarebbe determinato dalla modalità del parto. Roba da corso di biologia delle superiori.