La destra, il passato e la stizza
Questa settimana: un po' di politica e un po' di cultura raccontata dalla politica.
Bella doppietta, yeah yeah yeah yeah yeah yeah
ti prego, non mi uccidere il mood, dai
yeah yeah yeah yeah yeah1
Il Labour vince nel Regno Unito (no: stravince, Starmer entra a Downing Street il giorno dopo le elezioni e ha già tutta la lista dei ministri pronta a partire e attiva), e già lì c’era da fare i trenini. Sì, certo, è Starmer. Uno che sta una tacca sopra Topo Gigio. Ma almeno i cittadini UK si sono liberati dei Tories. In Italia seguiamo poco la politica estera, ma a starci un pochino dietro è impossibile non vederli come i mostri corrotti e disumani che sono. Potrei fare lunghi elenchi, eh, ma forse mi basta questo breve video di Liz Truss, una che è stata Prime Minister per 45 giorni e in quei 45 giorni è riuscita a mandare l’economia completamente in vacca, e che reagisce alla sconfitta dicendo che se hanno perso è perché non sono riusciti ad abolire la legge che tutela i diritti umani nel paese e che gli impediva di deportare gli immigrati irregolari.
[pausa per imprecazioni a piacere]
Ha ragione Matteo Bordone quando dice che bisogna imparare a gioire per le vittorie nel momento. Dopo 14 anni, i Conservatori sono stati messi in condizione di non nuocere. Il Labour può governare da solo. È un buon giorno. Sì, “Cruella” Braverman ce l’ha fatta, ma almeno non è più Home Secretary e non può più buttare i soldi dei contribuenti per deportare i richiedenti asilo in Ruanda. Gioire! Sì, Keir Starmer ha dato retta alle TERF qualche volta di troppo, ma la sua vice Angela Rayner la pensa esattamente al contrario, ed è ragionevole aspettarsi che la persecuzione delle persone trans non sia una priorità di questo nuovo governo. Samba do Janeiro! Anche i personaggi di finzione come Jonathan Pie sono ubriachi di felicità (e di alcolici, so’ inglesi) per l’elezione del Primo Ministro più noioso dai tempi di John Major2.
Tempo tre giorni, e la Francia va alle urne, Marine Le Pen arriva terza, i social sono pieni di video di fascisti delusi e di francesi che urlano “Siamo tutti antifascisti!” in piazza, in italiano, perché certo, ‘sta merda ce la siamo inventata noi ma siamo stati piuttosto bravi anche a mettere in piedi il suo contrario. L’Unione europea ha padri italiani, che mentre stavano al confino si sono fatti venire in mente quest’idea pazzesca, pazzeschissima di mettere insieme tutti i paesi del continente. Quando entri nella piazza del Parlamento Europeo di Bruxelles, il primo grande edificio che hai davanti è intitolato ad Altiero Spinelli, comunista, antifascista e uomo di pace. Te credo che a Marine Le Pen e agli altri di quella balotta lì l’Unione europea fa schifo. È il contrario di quello che sono e nasce dalle teste di gente che i loro antenati hanno perseguitato, ma che non sono riusciti ad annientare.
È così facile dire: gli italiani sono tutti fascisti, gli italiani vogliono i fascisti. E invece no, gli italiani sono tante cose diverse, ma i fascisti sono e saranno sempre una minoranza fastidiosa che si spaccia per maggioranza sfruttando l’astensionismo e la tragica tendenza della sinistra a pretendere la purezza assoluta nei suoi rappresentanti. Ai fascisti non frega un cazzo della purezza, della coerenza, della competenza, non gliene frega un cazzo di niente che non sia il potere, di mantenerlo e condividerlo entro cerchie ristrette, di usarlo per annientare gli avversari dal punto di vista politico ed esistenziale. Questa è la scelta. Questa è sempre stata la scelta. I cittadini del Regno Unito e i francesi l’hanno fatta, hanno scelto di litigare con quelli con cui si può litigare, piuttosto che subire quelli che li vogliono morti. Siamo pronti a fare altrettanto, anche qui?
Una data prossima ventura
Il 13 luglio sono a fare questa cosa qui, che è rilevante rispetto a un’altra cosa di cui volevo parlare questa settimana, ma che ho rimandato alla prossima. All’inizio pensavo: ma cosa vuoi spiegare tu di ‘ste cose. Poi mi sono ricordata che in realtà un po’ di esperienza ce l’ho, ma soprattutto che Gennaro Sangiuliano è ministro della Cultura, capirai che adesso i problemi me li devo fare io.
A proposito di Sangiuliano e di cultura
Poverini, soffrono un casino. Hanno voluto il potere più di ogni cosa, potere sul paese, sulla gente, sulle vite degli altri, sulla cultura, soprattutto. E ora che ce l’hanno… non sono capaci. Prendiamo questa esternazione di Federico Mollicone, quello che all’ultimo Strega è stato invitato da Geppi Cucciari a parlare di un argomento a piacere, anche “i confini dell’Umbria”, e si vede che l’ha presa bene.
Tanto per cominciare, diffido sempre di chi per parlare di cultura italiana cita Goethe. Numero uno: Goethe è morto nel 1832, e da allora sono successe un po’ di cose. Numero due: le strade venivano ripavimentate anche ai tempi degli antichi, i primi sampietrini risalgono al ‘500 e quelli attualmente in uso sono del ‘700.
Mollicone è uno di cui si sa il nome perché a un certo punto provò a censurare Peppa Pig. Qui, con il tipo di stizza petulante che caratterizza da sempre la gente di destra quando parla di cultura, ripete almeno due volte che loro “rappresentano la maggioranza degli italiani” (non vero, né dal punto di vista matematico né da quello del sentimento popolare: basta vedere quanta gente va al Family Day e alle manifestazioni antiabortiste, e quanta ai Pride o alle manifestazioni del 25 novembre) e che gli altri “se ne facciano una ragione”, come se il problema fosse che esistono e fanno cultura, e non che ogni volta che ci provano fanno ridere. Se lo spessore rivendicato da Mollicone fosse reale, la destra avrebbe da un pezzo il monopolio degli eventi culturali in Italia: in qualità di rappresentanti della cultura “alta e popolare” (eh?) maggioritaria nel paese, avrebbe avuto gioco facile a dominare festival, manifestazioni, premi e istituzioni. Non è stato così, finora, e se ora va così è perché quegli spazi se li stanno prendendo con la prepotenza, parcheggiando all’occorrenza figli e parenti e usando le manifestazioni identitarie per oscurare le notizie a loro sgradite.
Soprattutto, il discorso di Mollicone è completamente vuoto di altri argomenti che non siano la rivendicazione di una supposta primazia culturale ingiustamente marginalizzata da una feroce intellighenzia di sinistra che aspetta solo di coglierli in fallo. Non dice altro. In tutto il discorso cita: Goethe (a sproposito), Dante-Petrarca-Boccaccio (vale a dire i tre poeti che anche l’ultimo dei ciucci ha studiato a scuola) e Marcello Veneziani (perché quelli hanno: Veneziani, Buttafuoco, sono quattro in croce). Si lamenta anche del fatto che spesso viene rimarcato che gli intellettuali di cui cercano di appropriarsi non sono di destra, perché è importante quello che viene detto e non chi lo dice (ah, davvero?) Sbrodola per un tempo infinito sulla festa della Girandola di Castelgandolfo, perché loro sono quelli delle “feste millenarie” (cioè quelle che esistevano prima che esistessero gli italiani). Se dovessimo mettere insieme un’idea di cultura di destra dal discorso di Mollicone, ne uscirebbe questo: sagre di provincia, “noi non ci vergogniamo di essere popolo”, il programma di letteratura italiana delle superiori e il poeta tedesco che nell’800 faceva oooh davanti alle meraviglie di un paese che ancora non esisteva (l’unità risale al 1861) e i cui abitanti parlavano per lo più i dialetti locali, non certo la lingua dei romanzi di Manzoni o di Fogazzaro.
Come al solito: i conservatori guardano indietro, ma non si sa bene a cosa, a chi e come. Alle feste popolari? Ai tre autori di cui ricordano i nomi a memoria e che secondo loro rappresentano un’italianità sufficientemente tradizionale (e lontana dall’espressione di idee politiche progressiste) da essere “sicuri”? Ma poi, Boccaccio non era quello del Decameron e delle novelle zozze, messo all’indice dalla Chiesa e successivamente ripubblicato con pesanti tagli? Da che parte stanno, quelli di destra: dalla parte di Boccaccio, o da quella dell’Inquisizione? Come fa un Mollicone, uno che si inalbera per la presenza di una coppia lesbica in una serie animata, a dirsi rappresentante in terra di un poeta che introdusse il sesso nella letteratura con quel genere di franchezza?
La risposta semplice è, ancora una volta, che la cultura non è il riempimento di una casella. Non è accumulo di nozioni, occupazione di spazi, somministrazione di una visione del mondo unica e assolutista che si mangia tutte le altre. La cultura è tale solo se ti serve a leggere e comprendere la realtà in cui vivi, capisci come si è formata e quali percorsi ed evoluzioni ha seguito, e sai prevederne in qualche modo gli sviluppi futuri, senza pretendere che il mondo vada indietro solo perché tu non lo capisci e ti fa paura. Un intellettuale guarda avanti e accoglie il cambiamento, sa governarlo, interpretarlo e indirizzarlo. Altrimenti non è un intellettuale: è solo un vecchio nostalgico.
Ci risentiamo martedì prossimo!
Giulia
Paracit. Ghali
Questo ce l’aggiungo io, che mi ricordo John Major.
🥂🎉 le buone notizie sono così rare che fa strano essere contente per qualcosa ormai