L’arte dello spiegone, spiegata
Questa settimana: un po' di cose che ho letto e visto, e una riflessione sul tema dell'accessibilità e chiarezza dei contenuti
Io non lo volevo, l’autunno, ma quello arriva lo stesso, ed è uguale per me, per te e per tutti, inutile lamentarsene. Il tempo non strutturato è finito, si rosicchia quello che si può e ci si gode quello che rimane delle giornate di sole. Domenica mattina al Parco Sangalli c’era una frotta di bambini che faceva lezione di rollerblades, sembravano rondini a rotelle; a Villa De Sanctis è ancora stagione di fioritura del vir gymnasticus desnudus, una particolare sottospecie del vir gymnasticus che ama fare addominali e braccia senza maglietta per mostrare a tutto il mondo lo sviluppo della sua muscolatura. Lunedì è stata la volta di un esemplare curioso, mai osservato prima: un uomo cinese, piantato sotto un albero, che cantava fortissimo (in cinese) inquadrandosi con il cellulare. Per far capire il volume: l’ho sentito attraverso le cuffie a cancellazione del rumore. Come al solito, stavo ascoltando un podcast: ultimamente ho iniziato L’ombelico di un mondo di Claudio Caprara, più che altro incuriosita dall’episodio sulla scuola di Frattocchie, ma lo sto sentendo tutto e devo dire che è appassionante e utile, oltre che (per me) funzionale alla compensazione di un eccesso di consumo dei libri di Don Camillo in età impressionabile.
La sera vado a letto che ancora mi vedo scorrere davanti i modelli delle slide che sto scrivendo al ritmo di trenta al giorno per recuperare lo svantaggio di avere iniziato la nuova docenza con un mese di anticipo rispetto a quello che avevo previsto, e non riesco a leggere più di qualche pagina prima di crollare addormentata. Con questo ritmo ho impiegato quasi due mesi a finire Così per sempre di Chiara Valerio, che è molto più di quello che mi aspettavo da un libro il cui protagonista è il Conte Dracula, sopravvissuto alla sua esecuzione e anche al rapporto combattuto e tossico con Mina Monroy, coniugata Harker, che lui stesso ha portato nell’eternità. Un romanzo che rifiuta in buona parte l’ordine cronologico, perché i vampiri vivono in un tempo senza tempo, e che costruisce anche una nuova mitologia sopra quella esistente e codificata da Bram Stoker. Valerio è una matematica, e si sente, perché dietro il flusso di coscienza della sua prosa ardita si cela un rispetto assoluto per la tradizione della letteratura vampiresca e per sospensione dell’incredulità: per quasi ogni legge della fisica e della biologia violata dai suoi personaggi c’è una spiegazione, poetica o scientifica, che la rende credibile.
Ora sono catturata, anzi, inghiottita come un topo dentro un boa constrictor, da Sangue cattivo1 di Beatrice Galluzzi, che mi è piovuto a casa nella settimana in cui le case editrici ricominciano a mandarmi libri che non so più dove mettere2, ma a quelli di Effequ do sempre un po’ di attenzione in più, lo confesso: c’è una bellezza nel loro artigianato, nella cura con cui scelgono le cose da pubblicare, che mi fa venire voglia di aprire subito quello che mi mandano. Pensavo parlasse del calvario di una malattia autoimmune, e invece racconta più che altro un’infanzia terribile vissuta sotto la minaccia di un genitore depresso e infelice che sfoga la sua frustrazione su moglie e figlia. È durissimo, e giuro che non ho capito perché il riassunto di quarta dica che è “divertente”, perché io finora non ho riso mai, neanche una volta. Però è bello, come molte cose dolorose.
Ho visto un sacco di roba, ma soprattutto finalmente sto vedendo The Bear, che è bello come mi aspettavo e molto meno prevedibile di quello che mi aspettavo, e la stagione finale di Sex Education, che pur rappresentando un mondo di fantasia in cui due ragazzinǝ trans e una sorda pansessuale e poliamorosa sono le persone più popolari della scuola, è sempre tenero e divertente e didascalico quanto basta a fornire agli adolescenti i rudimenti di un’educazione affettiva che nelle scuole non vedremo per chissà quanto, se mai.
Stavo scrivendo, poi sono arrivate le slide quindi boh, finisco quando finisco.
L’arte dello spiegone, spiegata con uno spiegone
La serie sulla violenza di genere non è finita: impossibile esaurirla in poche uscite della newsletter. Però ho accolto con favore la proposta di Arianna Ciccone di continuarla su Valigia Blu, anche perché avevo voglia di riprendermi questo spazio per riportarlo alla sua dimensione originaria, per cui le prossime uscite saranno pubblicate lì. Non credo di dire niente di nuovo, ma credo che ristrutturare i fondamentali sia utile, perché troppe volte il discorso sulla violenza parte da posizioni avanzate e non condivise su larga scala. Bisogna rimettere le basi, periodicamente: e se da un lato ci sono fior di testi che l’hanno già fatto, dall’altro non possiamo aspettare che tutti leggano tutto. Tocca fare una sintesi.
Parlando di semplificazione, bellissima la newsletter di
, sempre ma anche nell’ultima uscita, in cui parla proprio di come semplificare il linguaggio.È un problema che tocca anche e soprattutto la politica, perché ce lo diciamo di continuo: la destra al governo ha un problema di contenuti, la sinistra all’opposizione ha un problema di comunicazione3. Se la sinistra attuale trovasse un modo semplice di spiegare le cose - non banale: semplice - che passi dallo scorporamento dei concetti più ostici e dalla loro suddivisione in pacchetti, vedi che non mi sto spiegando? La rifaccio più facile, prendiamo un’espressione che vedo ricorrere, “esternalizzazione delle frontiere”.
Chi ha guardato anche mezzo telegiornale sa che la strategia dell’Ue e del governo Meloni (e prima ancora, del governo Gentiloni4 e successivi, con il rinnovo degli accordi con la Libia) è quella di pagare perché del controllo dei confini se ne occupi qualcun altro. Come: affari suoi. Muore qualcuno? Noi facciamo finta di niente. Ecco, l’esternalizzazione delle frontiere è questo: accordarsi con altri paesi (spesso spregiudicati, o in piena guerra civile, come la Libia) perché si occupino di bloccare i migranti che tentano di scappare, spesso proprio da quei paesi, non esattamente ospitali. Finisce come? Con la gente buttata a crepare disidratata nel deserto, le cacce al nero per le strade della Tunisia, o con barconi che arrivano carichi di gente picchiata, stremata, violentata e con fratture e ustioni multiple.
L’esternalizzazione delle frontiere è firmare degli accordi (e sborsare dei soldi) per lavarsene le mani.
Così si capiva meglio? Ecco, si può dire nel modo lungo o nel modo breve seguito dal modo lungo, dipende da quanto tempo hai e dal contesto in cui è inserita la spiegazione. La televisione richiede sintesi: parti dalla cosa chiara e riassuntiva e poi ti spieghi con parole che anche tuo nonno con la terza media capisce subito.
Chiaro che poi c’entrano anche questioni complesse come il taglio e l’angolatura che decidiamo di dare a ogni singolo messaggio, e che guida la scelta dei concetti che decidiamo di spiegare, oltre al pregiudizio di conferma che condiziona la comprensione e l’accettazione di quello che diciamo. Anche qua ho un esempio pratico (da uno scambio su Twitter5 di ieri).
Un tizio interagisce con un tweet che mi passa in timeline dicendo una cosa generica, banale e misogina che riporto copiandola e incollandola perché le shitstorm hanno rotto il cazzo.
Ma le femministe pronte a rompere il cazzo alle altre donne se si fanno crescere i peli sotto le ascelle o stupidate varie, il tempo di fare una petizione per proporre un disegno di legge che inasprisca pene per stupratori stalking e femminicidio no eh?
Lasciamo perdere il merito dell’affermazione (nullo: anche lui avrebbe poi ammesso di non sapere niente di femminismi, di non saper distinguere fra una donna che scrive una cazzata su Twitter da una femminista, e di non avere idea di quale sia la situazione lato legislativo, o della nullità dell’effetto deterrente della pena). Concentriamoci sul fatto che per rispondere a un contenuto che parla di abuso contro le donne (il caso di una diciassettenne minacciata dal fidanzatino) si scaglia la merda contro “le femministe”. Vale a dire, nel mondo reale, le uniche che davvero si occupino del problema della violenza di genere. È come prendersela con i pompieri perché ci sono gli incendi6.
Gli faccio notare (con più garbo della mia media) che ha un problema di misoginia, e gli spiego anche perché, da dove deriva, eccetera. Il solito pippone che se sei qua hai sentito più volte. Non mi incazzo, non lo sfotto, sono pedagogica come non mi capita quasi più. Lui accetta tutto, tranne la definizione di “misogino”, perché quella no: lui è cresciuto con le donne, quindi non è misogino.
Non perdo tempo qui a spiegare la scarsa solidità di questa logica: il punto è che il mio discorso si schianta contro una resistenza identitaria fortissima, la stessa che impedisce alla società italiana di riconoscere il suo razzismo, il suo abilismo, la sua omofobia e transfobia di base. La barra è bassa: chiunque non sia apertamente violento si ritiene assolto. Spiegare che avere storture culturali derivanti dalla tua educazione sociale non ti rende automaticamente una cattiva persona è sempre complicato. Passare dalla colpa alla responsabilità è complicato. La colpa è contrizione. La responsabilità è assunzione di potere. La responsabilità ti libera. Lo spiegavo qui, scusa se mi autocito:
C’è una differenza abissale fra “colpa” e “responsabilità”. La colpa la puoi solo espiare, la responsabilità te l’assumi. La colpa non prevede azioni positive, al massimo azioni riparative. Chi è responsabile risponde, letteralmente, di quello che ha fatto e farà rispetto al problema di cui si fa carico. È facile vedere la differenza.
Si capisce tutto? Spero di sì.
Farsi capire significa anche avere la pazienza di mettere giù blocchi di ragionamento che possono essere respinti sul momento, ma non sono oscuri nella formulazione o nella scelta lessicale. Io devo molto a chi negli anni mi ha spiegato e rispiegato cose difficili con parole semplici: ora cerco di fare altrettanto. E fra le cose che vorrei esplorare c’è anche come fare bene gli spiegoni, perché pure quella, si è capito, è un’arte.
A martedì prossimo.
Giulia
Metto il link allo store di Effequ perché voglio segnalarlo subito, anche se non l’ho ancora finito.
Aiuto, ho pile di libri ovunque, inciampo nei libri, io sono una e loro sono molti e fra un po’ si coalizzeranno con i vinili per cacciarci di casa.
Ho inserito la specifica perché anche se sono di sinistra e tendenzialmente penso che TUTTA la destra abbia un problema di contenuti, trovo che anche una parte della sinistra sia spesso problematica. Limitare tutto a quelli che stanno in Parlamento ora è comunque funzionale al mio ragionamento.
T’oo ricordi, Gentiloni? Io pensavo fosse stato Renzi, e invece.
Manco se crepi, Elon. Anzi, soprattutto se crepi, vandalo digitale con troppi soldi da spendere e una sindrome di Dunning-Kruger grossa così.
Anche se molta parte dei media si industria per far passare il messaggio che sono le femministe ad appiccarli, semplicemente esistendo.
Questa uscita di Servizio a domicilio mi ha fatto borbottare di approvazione ad alta voce mentre la leggevo al bar, con grande preoccupazione dei baristi. Comunque sempre grazie 🙏🏼!
Grazie Giulia, che cosa bellissima trovarsi dentro Servizio a domicilio! Il bello del linguaggio semplice è che ti consente di imparare ogni volta che ti metti a scrivere o parlare.