Le persone non sono eccezioni
Riflessioni sulla sentenza della Corte Suprema del Regno Unito e le sue ricadute sulle identità trans
Una delle due date che devo segnalare questa settimana la metto in testa: è il 16 maggio ad Amelia, alla Sala Conti Palladini della biblioteca, alle 17.00. Si intitola “Non con-forme” e si parlerà di corpi: con me c’è
.Da qui in poi, però, vorrei parlare d’altro: e nello specifico di una cosa che è rimasta lì, senza che avessi tempo di tornarci. Lo faccio oggi.
La sentenza della Corte Suprema del Regno Unito che definisce il genere secondo parametri biologici, e che quindi esclude le donne trans dagli spazi riservati alle donne, sia fisici che simbolici, non poteva che far discutere. Diciamo da subito quello che non è: questa sentenza non disconosce l’esistenza delle persone trans, che continuano a essere protette dalla legge, anche dalla discriminazione basata sull’identità di genere. Ma diciamo anche cos’è: un’interpretazione restrittiva della legge vigente contro le discriminazioni, nota come Equality Act, che in alcuni suoi commi individua alcune forme di discriminazione misogina che sono strettamente associate alle donne cisgender, come quelle legate alla maternità e all’allattamento. A questo si è appellata l’associazione For Women Scotland, gruppo di femministe autodefinite “gender critical”, per ottenere che la definizione di “donna” sia ristretta alle sole donne cisgender. For Women Scotland, vale la pena sottolinearlo, è stata finanziata da JK Rowling, autrice della saga di Harry Potter, da tempo dedita quasi a tempo pieno alla persecuzione delle persone LGBTQ+1.
Detta in soldoni: la legge riconosce l’esistenza delle donne trans, ma non il loro essere donne. Le lascia in un limbo, abbandonate, in una sorta di terzietà forzata che non è un riconoscimento della specificità delle identità trans, ma una vera e propria delegittimazione a livello ontologico.
A poco sono valsi gli appelli della corte a non strumentalizzare la decisione per segnare un punto a favore della battaglia contro i diritti delle persone trans nel contesto della grande guerra culturale che vede una parte (piccola, ma organizzata, potente e ben finanziata) dei femminismi alleata con le destre. È facile leggere questo pronunciamento come l’affermazione di una supposta “verità biologica” che dovrebbe sconfiggere “il woke”, nonostante la chiarezza dei giudici nello specificarne i limiti. No, le donne trans non sono state cancellate, le identità trans non sono state invalidate. Continuano a esistere e a essere protette dalle discriminazioni basate sull’identità di genere. Gli effetti di questa sentenza, però, sono innegabili nel separare ancora una volta le cosiddette “donne biologiche” da quelle che alcune donne trans, con un tocco di autoironia, definiscono “donne chimiche”, e nel separare un genere di discriminazione dall’altro, la misoginia di qua, la transmisoginia e la transfobia di là, e sono destinate ad accrescere le difficoltà già notevoli per le donne trans sul lavoro e negli spazi destinati al contrasto alla violenza di genere.
Sono passati pochi giorni, e le notizie di donne cisgender buttate fuori dai bagni delle femmine perché considerate poco femminili (quindi: maschi travestiti) danno una prima risposta alla domanda “Cosa succede quando la transfobia viene legittimata da una sentenza”. Era prevedibile, com’era prevedibile che certe arpie facessero un upgrade della loro ossessione per i bagni: già prima erano note per gli atti di bullismo nei confronti di chi sospettavano fosse trans. La sentenza le fa sentire autorizzate: ora possono essere transfobiche e violente in pubblico con chiunque non sembri abbastanza donna da non essere rilevata dal loro radar2.
Le persone non sono eccezioni
Non è chiaro in che modo la sentenza si applichi agli uomini trans, che secondo la definizione della corte sarebbero donne, e quindi potrebbero automaticamente avere accesso agli spazi destinati alle donne (inclusi i bagni) e essere inclusi nelle quote di assunzione destinate al genere femminile. Infine, la sentenza non dice – perché non può, dato che non entra nei dettagli della definizione di “donna biologica” – come si collocano le persone intersex, che a loro volta hanno un’identità di genere scollegata dalla biologia. Un uomo trans può, in teoria, partorire e allattare: questo non fa di lui una donna, anche se lo espone allo stesso tipo di penalizzazione a cui sono soggette le donne (con l’aggravante dalla transfobia). Infine, la sentenza lascia del tutto scoperte le persone non binarie assegnate alla nascita al genere femminile (AFAB), che per avere accesso ai servizi riservati alle “donne biologiche” dovrebbero rinunciare a identificarsi come soggettività trans.
Molte femministe della differenza minimizzano questo punto, perché rifiutano di accettare la realtà - scientifica, biologica, misurabile - dell’incredibile varietà presente fra gli individui a livello genetico. La pretesa di trattare le persone intersex come eccezioni che non vanno conteggiate, o di tenere conto della centralità delle persone caucasiche nella definizione dei parametri che stabiliscono chi è maschio e chi è femmina, tradisce una volontà disumanizzante, una determinazione a occultare ogni prova contraria alla tesi del binarismo perfetto. Le persone non sono eccezioni: ogni essere umano ha la stessa dignità e deve vedersi riconosciuti gli stessi diritti di fronte alla legge. Nessuno può essere scartato come si scartano i doppioni a burraco.
Quella strana idea di femminismo
Tutto quanto detto, purtroppo, ha molto a che vedere con l’idea di “femminismo” delle gender critical o TERF che dir si voglia3, che è un’idea territoriale, pienamente funzionale alla società patriarcale per come si presenta. Queste donne, in piena sintonia con tutte le destre estreme del mondo, non propongono alcun piano di riforma sistematica che agisca sulle cause strutturali e culturali della violenza e della discriminazione. Vivono comode dentro il patriarcato, perché essendo a maggioranza borghesi e benestanti non subiscono discriminazioni significative. La guerra contro le donne trans (che attaccano di continuo, come ha fatto da noi anche la Ministra per la Famiglia Eugenia Roccella, chiamandole “maschi in transizione” e negando la loro identità di genere) è una guerra per il controllo del territorio che si spiega solo con una completa sudditanza non solo all’idea del binarismo, ma anche agli uomini cisgender, che nella loro visione occuperebbero il 50% delle posizioni costringendo il resto dell’umanità a schiacciarsi dentro il rimanente 50%. Detta in soldoni: hanno paura che le donne trans tolgano loro il poco spazio che sono riuscite a rosicchiare in un mondo di proprietà degli uomini. Una proprietà che si guardano bene dal mettere davvero in discussione: eppure basterebbe evidenziare un dato, e cioè che se mettiamo insieme le donne cisgender (da sole la maggioranza della popolazione mondiale) con le donne trans, gli uomini trans e le soggettività AFAB, gli uomini cisgender sono una minoranza numerica che si comporta da maggioranza culturale.
Anche senza chiamare in causa gli altri fattori di discriminazione, che sono molteplici (la classe sociale, la provenienza, il colore della pelle, la religione, la presenza o meno di disabilità o neurodivergenze), siamo già di fronte a una situazione in cui l’alleanza fra le soggettività oppresse potrebbe portare a risultati molto più concreti e positivi rispetto a questa misera, meschina guerra per le briciole, in cui una miliardaria rancorosa festeggia sui social una sentenza che non porterà alcun vantaggio concreto per le donne che dice di voler difendere. Al contrario: il clima di sospetto e paranoia alimentato dalle TERF finisce per nuocere a tutte le donne, arrivando a imporre ispezioni genitali alle bambine che vogliono fare sport.
Questa persecuzione monomaniacale delle soggettività più fragili e discriminate non ha alcuna ricaduta positiva per la società (ed è, anzi, dannosa per le donne cis, che possono essere fatte oggetto di bullismo o vedersi negato il diritto alla riservatezza). E anche se la sentenza della Corte Suprema britannica non cancella le donne trans, come molti temono e altri sperano, è l’ennesimo tentativo di sacrificare le identità non conformi alla sete di sangue del patriarcato che tutto divora, e che quando ha finito di sbranare le vittime designate prima o poi arriva anche a te.
Un dialogo tra femminismi è possibile?
È troppo tardi per ricomporre la frattura che si è creata all’interno dei femminismi, peraltro non da oggi? È una cosa che ci domandiamo da un po’, e forse bisogna essere chiare: le posizioni politiche del femminismo della differenza e del transfemminismo sono e rimangono di difficile conciliazione, perché provare a conciliarle implica trattare milioni di persone, di esistenze e di vissuti (incluso quello di Butler) come opinioni, e decidere sulla loro pelle chi ha diritto a essere tutelato e riconosciuto e chi no, chi può accedere alla pratica femminista e chi invece è costretto a rimanere in disparte. È un punto fondamentale, su cui continueremo a scontrarci: ci sono conflitti di cui non bisogna avere paura, conflitti che vanno accettati e portati avanti. Io non accetto, e non accetterò mai, di trattare le persone come opinioni, o di avere opinioni sulle loro esistenze e la loro legittimità: su questo punto accetto lo scontro, perché credo nella necessità di includere tutte le soggettività nei femminismi e di liberarci da dogmatismi pseudoscientifici che mi sembrano solo paraventi per identità fragili.
Per questo il 17 maggio partecipo alla manifestazione organizzata da La strada dei diritti, in veste di conduttrice/moderatrice/fomentatrice. Sul palco sarò insieme a Simone Alliva. Venite a fare casino insieme a noi.
Poi ce ne andiamo tuttə a guardare la finale dello Eurovision Song Contest.
Giulia
Comprare le sue opere, a questo punto, rappresenta un finanziamento diretto dei discorsi d’odio. Non è che ci sia tanto da girarci intorno.
Nel gergo della comunità trans (mutuato da quello degli afroamericani che tentavano di sfuggire alle norme sulla segregazione razziale), questo si chiama passing, e consente ad alcune persone di vivere in modalità stealth, cioè in incognito e senza che le persone intorno a te siano al corrente della tua identità.
Come ho già avuto modo di dire in precedenza, se loro non rispettano le identità trans io non mi sento obbligata a rispettare la loro volontà di non essere chiamate TERF, acronimo (di Trans-Exclusionary Radical Feminist) che peraltro le descrive in maniera oggettiva, se non proprio indulgente, dato che di femminista hanno ben poco.
Mi hai fatto venire in mente che proprio ieri leggevo di questo incontro tra Adriana Cavarero e Judith Butler, che deve essere stato interessantissimo. Quello che ho percepito leggendo il reportage da La Stampa (https://www.lastampa.it/cultura/2025/05/12/news/femministe_a_piu_voci-15142538/) è che le due filosofe hanno posizioni apparentemente inconciliabili ma sono amiche, discutono, vanno in conflitto produttivo. Invece spesso ho l'impressione che chi segue l'una o l'altra corrente (e io pur avendo letto e apprezzato testi di Cavarero mi identifico di più nelle posizioni di Butler) abbiano un comportamento da ultrà che né Cavarero né Butler mi sembrano avere. Poi ovviamente io do più ragione alla protesta trans* che non alle pretese delle/dei gender critical perché comunque la loro è una soggettività oggettivamente oppressa (perdonami il bisticcio di parole). Però che stanchezza la polarizzazione costante...
È comunque tipico delle destre affermare che togliere i diritti a qualcuno accrescerebbe automaticamente i diritti di qualcun atro.