La storia, diceva quello, è fatta di corsi e ricorsi. L’umanità ripete sé stessa, riproduce gli stessi movimenti, le stesse ondate, in modo diverso e sempre uguale, anno dopo anno, secolo dopo secolo. Ed eccoci qua, a quasi ottant’anni dalla fine della guerra, e ci sono di nuovo i fascisti al governo, nei giornali, nelle istituzioni culturali, non fanno manco più finta, ce lo urlano in faccia, tronfi e soddisfatti.
Non sono i fascisti OG, perché quelli un po’ sono morti e un po’ sono stati ammazzati. Sono i loro nipoti, hanno le stesse idee e lo stesso immaginario repressivo e violento, la stessa idea nostalgica di un passato tanto vago quanto opprimente, lo stesso machismo anche ora che possono vantare di aver fatto eleggere la prima donna Presidente del Consiglio. Che ci tiene, comunque, a specificare che il suo genere non conta, anzi, non esiste proprio: si fa chiamare “il presidente”, ha paura di essere troppo femmina in mezzo a gente che le femmine le ha sempre e soltanto usate come mezzo per arrivare alla realizzazione di un fine: la gloria della Patria, più figli alla Nazione. Uteri con le gambe. Eppure anche allora fra le fila del fascismo militavano delle donne, intente a difendere questa disparità.
Il fascismo non è mai andato via, perché invece di processarli tutti, i gerarchi e i collaborazionisti, abbiamo lasciato che si candidassero alle elezioni con un altro nome e le stesse idee di prima, camuffate e represse. Negli anni ‘70 e ‘80 mettevano le bombe e ammazzavano le persone, ma per carità, guai a dire che sono stati loro, e che erano fascisti. Negli anni ‘90 Berlusconi li riportò al governo, ma: voi vedete fascisti dappertutto. Per tornare al potere hanno usato gli strumenti della democrazia, e rieccoli qua, mefitici come prima, e pure cialtroni come prima, perché la favola del Duce che riporta la Patria agli antichi splendori è una favola, l’Italia di Mussolini era povera, incazzata e bombardata e Mussolini era circondato da fedelissimi. La fedeltà è la kryptonite della competenza. Mussolini mandò a morire migliaia di cittadini italiani di religione ebraica nei campi di sterminio, sostenuto in questo da intellettuali come Giorgio Almirante, segretario di redazione de La difesa della razza.
Hanno censurato Scurati per averlo detto, quindi va ripetuto: abbiamo i fascisti al governo, non lo dico io, non lo dice Scurati, lo dicono loro. Con le parole, con le azioni, con le card sui social in cui celebrano il loro antenato politico.
Oggi ricorre l’anniversario di quando i combattenti della Resistenza cacciarono le truppe naziste occupanti dal territorio italiano, ponendo fine al regime che per vent’anni aveva oppresso il paese e innescando il processo che avrebbe portato alla stesura della Costituzione, al referendum per l’abolizione della monarchia e la creazione della forma repubblicana, all’ingresso delle donne nella vita pubblica: se avessero vinto quegli altri, Giorgia Meloni sarebbe Presidente del Consiglio cor coso, come se dice. Si festeggia, come ogni anno, non solo perché non siamo fascisti ma perché siamo antifascisti: perché ci opponiamo in maniera attiva al fascismo in tutte le sue forme, alla repressione del dissenso, al controllo dell’informazione e della cultura, alla marginalizzazione e persecuzione degli intellettuali, alle politiche nataliste che trattano i corpi delle donne (povere: non è una novità, ma non si è mai visto bene come oggi) come incubatrici, all’omofobia di Stato, al razzismo, al nazionalismo che impedisce al paese di crescere aggregando identità diverse sotto la bandiera di una vita comunitaria che non le annulla, ma ne trae nutrimento.
Ogni anno festeggiamo la Liberazione come se fosse qualcosa che è avvenuto ottant’anni fa e a posto così, e invece rieccoci qua, con i poliziotti che picchiano i ragazzini per strada senza conseguenze, le istituzioni che perseguitano cittadini e cittadine sulla base dell’orientamento e dell’identità di genere, i luoghi della cultura occupati con la forza, gli intellettuali marginalizzati, a fronte di un’opposizione sdentata e consumata da guerre interne per la leadership di un partito, per imporre una candidatura o guadagnare mezzo punto percentuale in più.
Non sono mai andati via. Sono rimasti lì, hanno trovato strade sempre diverse per far sentire la loro presenza, e ovunque si siano manifestati hanno lasciato cadaveri lungo la strada. Oggi vincono perché chi li vota pensa sempre che il cadavere sia quello di qualcuno che non gli piace, che sente estraneo da sé. Non possiamo pensare di festeggiare la Liberazione senza avere un piano collettivo per liberarci, una volta e per sempre, dalla cancrena del fascismo. Possiamo cantare Bella ciao quanto ci pare, ma forse abbiamo bisogno di nuove canzoni, non i canti dei nostri nonni e bisnonni ma parole nostre che scandiscano il ritmo della lotta. E ci tocca farla, ‘sta lotta, tirarci fuori la testa dal culo e andare. Non abbiamo alternative. I nostri figli e nipoti stanno già prendendo le botte per noi.
Liberiamo la Liberazione dalla retorica, dal nostalgismo, dai nonni partigiani ricordati una volta l’anno, dagli slogan, dalle frasi vuote, dai “mai più” pronunciati mentre quelli rientravano dalla porta posteriore. Sono di nuovo qua, li vediamo, i più pavidi fanno grandi giri di parole pur di non dirsi né fascisti né antifascisti, qualcuno invece lo dice, perché ormai si sentono forti e perché hanno lavorato benissimo per distanziare la gente dalla cultura quel tanto che basta da far passare l’idea che Mussolini abbia fatto anche cose buone. Non ci possiamo più permettere di non votare, di non occuparci di politica, di fare le lotte extraparlamentari mentre il Parlamento viene usato come una palla da demolizione per portarci via i diritti più elementari e trascinarci fuori dall’Unione europea. Perché è quello che succederà, e lo stiamo lasciando succedere.
Leviamo la polvere a questo anniversario, ricominciamo da capo. La lotta per la Liberazione è adesso, è oggi, non ieri, non ottant’anni fa: adesso. Buon 25 aprile, andiamo.
Giulia
Le tue sono parole necessarie, dobbiamo svegliarci sul serio. Grazie per averle scritte.
Si si e poi si. Però poi parte importante (magari non maggioritaria, ma importante) di chi festeggia non sa scegliere tra Trump e Biden o tra Putin e Zelensky.