Perché non leggo più?
Una confessione dolorosa e una riflessione sui meccanismi del marketing editoriale.
Questa newsletter contiene una confessione, e la farò partire mentre sono chiusa dentro uno studio di registrazione, così non ci penso più finché non ho finito.
Non riesco più a leggere. All’inizio pensavo fosse solo una questione di tempo, ma in realtà il tempo, a volerlo trovare, una lo trova. Un podcast di meno, un libro in più. Invece ascolto podcast (di solito mentre cammino, cucino o faccio le pulizie in casa), mi abbrutisco sul divano o guardo serie TV che mi piacciono (Slow Horses e Only Murders in the Building, in questo momento), faccio la spesa, pulisco, riordino, lavoro (duh), ma non leggo.
È una cosa che mi addolora. Non la vivo bene. E sto cercando di essere onesta con me stessa sulle cause di quella che vivo come una mancanza: perché non leggo? Ho letto tutta la mia vita, ho macinato pagine senza sosta per decenni, alcuni libri li ho letti e riletti fino a saperli quasi a memoria, anche perché non ne avevo tanti. La Storia. Cent’anni di solitudine. Le relazioni pericolose. Fantozzi. Marcovaldo. Fino da giovanissima ho letto tutto quello che mi passava sotto gli occhi, senza controllo, senza che nessuno mi dicesse “questo sì, questo no”.
Cos’è successo? Perché non leggo più oltre le due o tre pagine che riesco a terminare la sera, prima di addormentarmi come un ciocco? Non è solo che ci vedo sempre meno (e i libri cartacei troppo spesso sono scritti con caratteri minuscoli, adatti a gente non ancora precipitata nella fosca valle della presbiopia). E non sono nemmeno, strettamente parlando, i social che mi distraggono e su cui passo una quantità di tempo davvero esagerata, o i minigiochi puzzle che ho sul telefono.
No. È qualcos’altro.
La lettura è stata per me un piacere supremo, indescrivibile. Un libro nuovo era la promessa di un mondo inesplorato in cui avventurarmi, vite che non erano la mia, emozioni a volte molto forti che potevo provare restando in una zona di sicurezza. Personaggi che diventavano quasi degli amici da cui era difficile staccarsi alla fine della storia. Lacrime e risate. Un’altra dimensione, accessibile da una pagina. A un piacere così non si rinuncia, perché non è sostituibile, a meno che non intervenga qualcosa che lo spezza, che ricolloca l’attività al di fuori della sfera del godimento.
E allora?
Allora è successo questo: i libri mi assediano. Ed è ironico, perché quando ero bambina sognavo di averne una riserva illimitata, e non avrei mai immaginato di esserne travolta. Fino a qualche anno fa, tornavo dai viaggi nei paesi anglofoni con bracciate di libri. Ho dato la caccia a La Belle Sauvage di Philip Pullman nei meandri di Strand, a New York, come i Goonies cercavano il tesoro di Willy L’Orbo. Ho comprato romanzi a scatola chiusa solo perché consigliati dai librai di Foyles o Waterstones. Ho fatto razzia di paperback tre per due e me li sono divorati in sequenza. Ma era prima che i libri cominciassero ad arrivare spontaneamente a casa mia, uno dopo l’altro, tutti fichissimi, tutti bellissimi, e intanto lo spazio finiva e la pila sul comodino cresceva, poi diventava una pila per terra, poi due, ora ci sono libri dappertutto.
I libri mi circondano, premono su di me. Sono ovunque. Non riesco a leggerli. Mi viene l’ansia. Quando li compro, mi sento in colpa: ne ho già così tanti! Si accumulano. Non riesco a recuperare. Sono come Topolino in quel segmento di Fantasia intitolato L’apprendista stregone, quando scopre come si fa a far portare l’acqua alle scope ma non sa come farle smettere.
La lettura è diventata un’aspettativa che altre persone hanno su di me, persone che non voglio deludere, che scrivono libri belli, preziosi, utili. È diventata un compito, una cosa che devo fare, che altri scelgono per me, che mi viene richiesta, non una cosa che io scelgo per me stessa con i miei modi e i miei tempi. È diventata un compito che devo svolgere. Un dovere sociale. E non mi va più.
Questo assedio è l’effetto collaterale di un fenomeno più ampio e molto più grande, che ha a che vedere con l’eccesso di produzione editoriale ma anche con la diminuita rilevanza della critica letteraria ai fini delle vendite, e al conseguente spostamento di parte del peso promozionale sui social. Nei sogni degli uffici stampa, tutti i libri fanno il boom de La canzone di Achille o della serie di Colleen Hoover di cui non serve faccia il nome. Nella pratica, non è così. Ma ci si prova sempre.
So che le case editrici fanno il loro lavoro. So che gli uffici stampa fanno il loro lavoro. So che i miei amici e le mie amiche che scrivono cose pazzesche fanno il loro lavoro. E io vivo con la colpa di non riuscire a dare a quel lavoro il tempo e lo spazio che merita, perché ogni pochi giorni arriva qualcosa di nuovo che reclama la mia attenzione. E io non ce la faccio. I libri da leggere si accumulano. Se li leggessi tutti - e non ho il tempo di farlo - non potrei leggere quelli che in effetti ho acquistato perché li desideravo. La scuola cattolica di Albinati me lo sono comprato e sta lì, intonso, inaffrontabile. L’ultimo della serie di Atlas di Olivie Blake l’ho mollato a due terzi (anche perché francamente incomprensibile, non riuscivo a starle dietro: arrivati al terzo episodio, la vicenda si è complicata in un modo che sarebbe duro da seguire anche senza la scrittura fiorita e le microanalisi emotive di ogni personaggio). Adesso sto leggendo The Manningtree Witches di A.K. Blakemore. Da settimane, e non sto neanche a metà: tre pagine e crollo, e comunque sono presbite e quello è scritto minuscolo. Ed è fichissimo, eh.
Anche parlare di libri mi piaceva, amavo consigliarli, raccontarli, spiegare perché mi erano piaciuti. Non lo faccio più. Non mi sento a mio agio nella dinamica del marketing, nemmeno quando i testi che mi arrivano sono potenzialmente interessanti per me: non riuscendo a stare al passo, finisco per perderlo. Sono sempre indietro. Sta diventando frustrante. E so bene che anche io dipendo da questa dinamica di ricerca dell’attenzione, e che le cose che scrivo si accumulano su altri scaffali, altre scrivanie, accanto ad altri comodini, alimentando ansie analoghe alla mia.
Perché poi c’è pure la questione dello spazio: io non ho un ufficio e non vivo nella Reggia di Caserta. Già i libri che vorrei leggere sono tanti. Se li sommiamo a quelli che arrivano senza che io li abbia chiesti o abbia manifestato interesse a leggerli, il mio leggerissimo disordine ossessivo-compulsivo fa l’onda.
Io non so se ci siano davvero altre persone nelle mie condizioni. Forse no, vedo che tutte quelle che come me ricevono un sacco di libri poi li leggono (e io mi sento sempre peggio). E non so se ci sia un modo per uscirne che non passi per un rifiuto radicale e un ritorno alle radici, a quando ero io a scegliere. Non lo so. Forse averlo detto mi aiuterà, o forse no. Ma intanto eccoci qua. Non riesco più a leggere. E sto male.
Le date
Sono le stesse della settimana scorsa:
13 ottobre: Pisa, Internet Festival. Incontro dal titolo “Bios & Bias. Forme di resistenza contro discriminazione e diseguaglianza di genere online.” Centro Congressi Le Benedettine, 17.00-17.45.
17 ottobre: Roma, presentazione de L’età verde di Francesca Torre e Sara Malucelli alla Libreria Risma
19 ottobre: Firenze, Le Murate - Festival della transizione ecologica, ore 17.30-18.30
26 ottobre: Pordenone, Sala Capitol - Climax
27 ottobre: Portogruaro (VE), Libreria Mondadori, dettagli in arrivo.
Torno martedì prossimo con qualcosa di meno piagnone.
Giulia
Ho la brutta abitudine di trasformare gli hobby in lavori e quindi quello che scrivi rispecchia diversi periodi della mia vita. La sovrapposizione tra piacere e lavoro è insidiosa e “Fai un lavoro che ami e non lavorerai un solo giorno della tua vita” è una cazzata immane.
Detto questo, qualche anno fa, ho affrontato le stesse cose, proprio riguardo alla lettura: troppi libri che dovevo leggere, si mangiavano il tempo dedicato ai libri che volevo leggere. E la mia voglia.
Così ne sono uscito io:
1 - Ho smesso di sentirmi in colpa se non leggevo tanto/abbastanza/quello che gli altri si aspettavano. Amare la lettura non è la mia identità.
1.1 - quindi ho letto poco per un paio d'anni, finché non mi è tornata la voglia.
2 - Ho separato la lettura per lavoro (che ho archiviato mentalmente sotto "lavoro" e non sotto "lettura") e la lettura per piacere.
2.1 - quindi ho ricominciato a leggere (e letto per lavoro nelle ore di lavoro e per piacere nelle ore libere).
2.2 - quindi le letture per "piacere" sono state abbandonate a metà se non mi piacevano e scelte sempre e solo senza secondi fini. Anzi, se un libro era borderline tra i due ambiti, finiva velocemente nella categoria lavoro.
3 - Ho rallentato la lettura, concentrandomi di più sulle singole frasi, sui personaggi, sui concetti. Ho deciso che volevo leggere godendomelo di più, anche se voleva dire leggere di meno.
3.1 - qui ho ricominciato davvero a godermi di nuovo la lettura.
3.2 - nel mio periodo di pausa, erano usciti un sacco di libri interessanti e avevo l'imbarazzo della scelta! Le librerie (inglesi) erano piene di libri che non vedevo l'ora di leggere!
4 - Ho usato la reading challenge di goodreads per impostare un numero di letture all'anno molto basso per me (12), per tenere a mente che va bene leggere poco, se non mi va.
Quando un piacere diventa un lavoro, vuol dire che qualcun altro diventa padrone del tuo piacere.
Questa è la mia esperienza. Non so se possa servirti, ma sì, non sei l'unica. Un Morandiano abbraccio.
La mia soluzione, ancora in via di sperimentazione, è stata dire basta agli ingressi di libri che non ho nessuna voglia di leggere e di cui non mi va di scrivere. Me ne libero subito, regalandoli alle amiche o donandoli a una biblioteca. Ho anche smesso di acquistarne per un anno per ridare valore alla mia libreria, ai libri che avevo scelto per convinzione e poi per qualche ragione non avevo mai letto (quasi sempre per fare spazio alla fuffa ricevuta per lavoro, mangia-tempo e mangia-voglia).
Sta andando meglio del previsto, sono all'ottavo mese dell'esperimento. Ho messo un freno all'acquisto compulsivo delle novità e alla rincorsa dei tempi editoriali, ho ritrovato un ritmo più lento e riflessivo, più mio, e non mi pento di essermi liberata dei libri d'assedio di cui non mi importava niente. Gli altri, quelli che ricevo ma mi sono cari, o di persone care, avranno il loro momento, prima o poi. Senza assillo. Pazienza se ci perdo 2-3 articoli in più, ci guadagno in gioia nella lettura che voglio preservare come spazio mio, di scelta e non d'agenda.