Oggi prenderò molto sul serio la classifica generale della terza serata, così non penso alle regionali imminenti. Se sei qua a leggermi, immagino che anche tu voglia fare altrettanto.
La terza serata del festival è sempre un po’ interlocutoria. C’è una classifica, certo, ma mancano ancora due serate di cui quella delle cover, che ha il suo peso e che quest’anno promette di essere per lo più un noiosissimo greatest hits degli artisti in gara, l’equivalente musicale di un concorso pubblico per titoli.
Detto tutto questo: siamo un paese spaccato in due, non dalla politica ma dal gradimento della top 5 di ieri, in cui il voto popolare si è fatto sentire proiettando Ultimo e Mr Rain sul podio e, per dirla con Alessandro Borghese, ribaltando il risultato delle serate precedenti. Non voglio fare finta che non mi sia bruciato vedere Colapesce Dimartino fuori dalla vetta nonostante portino di gran lunga il pezzo più bello di questa edizione (non lo dico io, lo dice altra gente più affidabile di me). Lo posso accettare, la demoscopica e il voto popolare sono così. Quello che non accetto è che la demoscopica e il voto popolare non votino la canzone e nemmeno l’artista, ma votino i bambini con le ali. Perché il pezzo di Mr Rain non è niente, non ha niente, è Povia e Fabrizio Moro che si fondono in un vetrino, buoni sentimenti espressi in maniera banale, però ha i bambini vestiti da angioletti che cantano sul palco. Io adoro i bambini e sono particolarmente pazza di come i bambini di Mr Rain reagiscono alla loro presenza a Sanremo (fra lacrime sul palco e rassicurazioni reciproche a fine esibizione), ma quel pezzo ce lo saremo dimenticati due minuti dopo la fine del festival. Stava bene dove stava, a ristagnare sul fondo: è un riempitivo. Ci sono giovani che meritano di più, tipo Sethu, inspiegabilmente ultimo. In generale, quasi tutti i giovani si stanno piazzando male nelle classifiche, il che non depone a favore della selezione, ma ne riparleremo a bocce ferme.
Il problema del televoto è che Sanremo non dovrebbe essere una gara di popolarità: in teoria è un concorso per la scelta della canzone migliore da mandare poi allo Eurovision Song Contest (che quest’anno si tiene a Liverpool nonostante la scorsa edizione sia stata vinta dall’Ucraina, perché Kyiv non è, ovviamente, agibile). Per questo il peso del televoto dovrebbe essere misurato in maniera diversa, perché le fandom ti votano comunque, per appartenenza, per amore, per sentirsi parte del tuo successo. Quindi pure se ti presenti con un pezzullo inconsistente rischi di vincere a prescindere, tipo Ultimo, che passa dal traccheggiare a metà classifica (com’era giusto, visto che si è presentato con un brano che sembra pescato a caso dal cascione delle canzoni di Ultimo: l’ho già sentita due volte e non me ne ricordo una nota) a troneggiare in seconda posizione, appena sotto l’ormai inesorabile Marco Mengoni, che sembra sfrecciare verso la vittoria esattamente come Mahmood e Blanco l’anno scorso, anche se Brividi era un capolavoro e Due vite è appena una canzone bellina e lui nel live urla, anzi, aiella.
Questo cambio di regolamento lo dobbiamo (almeno in parte) proprio a Ultimo e ai suoi sbrocchi dopo che si era piazzato secondo a un festival vinto proprio da Mahmood, che poi si piazzò secondo anche allo Eurovision e finì in classifica in mezzo mondo. Era giusto così. Soldi era un pezzone sul rapporto complesso con un padre distante. Il brano di Ultimo attaccava “È da tempo che non sento più/la tua voce al mattino che grida BU!”
Non voglio parlare di Paola Egonu
Davvero, non ne voglio parlare. Quello che ho detto delle altre vale anche per lei, donna-simbolo portata sul palco come figurina (una figurina di un metro e novantatré centimetri, ma comunque) a fare un mestiere che non è il suo, che è stata fatta sparire per lunghe porzioni di trasmissione e il cui monologo era praticamente una lettera di scuse all’Italia per aver detto cose sacrosante sull’essere donna nera in un paese profondamente razzista. L’Italia è razzista, sì, a partire dalle leggi sulla cittadinanza fino al modo ributtante in cui chiede alle donne nere di esibire umiltà e gratitudine, di non avanzare pretese, di non occupare più spazio del dovuto. Egonu è una grande atleta. Questo doveva bastare, lei non ha debiti con nessuno e non deve ringraziare nessuno che non sia sé stessa. Invece no, quello che le donne nere fanno e sono non è mai abbastanza, e anche Egonu ieri è stata costretta a mettersi seduta davanti a gente che la disprezza e a insegnare loro il minimo della buona educazione. Come dice Beatrice Dondi su Instagram, siamo noi che dovremmo chiedere scusa a lei.
Aboliamo i comici
Non tutti. Solo quelli che fanno monologhi orrendi alle due meno un quarto, che li odia anche Fiorello, non solo io. Fiorello ogni notte arriva in diretta avvolto in strati e strati di piumino color idraulico del Trullo, e sembra sempre più mio padre quando lo svegli dal pisolino pomeridiano. Ci odia tutti, noi, Amadeus, Morandi e le nostre canzonette di merda. I feel you, Rosario. A ogni inciampo della scaletta, ogni Grignani che dice “Scusate, la rifaccio”, ogni Lazza che perde due minuti per dare i fiori alla mamma, io, tu e Fiorello stiamo così:
A domani.
Giulia
Come concordo con le tue parole: come nel lavoro - almeno parlo per il mio, prettamente maschile - non viene mai premiata la qualità (vedi Splash, che mi sta facendo piangere lacrime sane da mercoledì), ma l'apparenza: puoi costruire un castello di sabbia malfermo, ma se ha dietro nomi altisonanti tutti ne parlano, anche se alla prima onda se ne cade miseramente e chissenefrega se dopo due giorni nessuno lo ricorda.
Come veneta e quasi vicina di casa di Paola Egonu poi mi sento di dover chiedere scusa per il razzismo che serpeggia, neanche tanto velatamente qui, nonostante le parolone dei politici in questi giorni.
Eppure secondo me su Paola Egonu ci sarebbe da scrivere tanto. Ti leggo da anni, e mi hai insegnato abbastanza che ora non posso che annuire quando commenti il "femminismo un tanto al chilo" di Sanremo. Ma non merita una parola anche l'analogo "antirazzismo un tanto al chilo"?
Dare a Paola Egonu l'opportunita' di rispondere a commenti disgustosi e' cosa buona e giusta, se lei ne ha voglia. Pero' bisognerebbe capire che non ci si puo' aspettare che le persone vittime di discriminazione siano anche le sole ad affrontare il problema. Come se non fosse abbastanza estenuante essere discriminate, devono anche sentirsi lasciate sole come baluardo dell'antirazzismo, che e' di per se' discriminatorio. Lo si fa quasi come una forma di rispetto (un presunto diritto di replica), ma in realta' e' esattamente il contrario.
Il rispetto sarebbe fare da scudo, prendersi la briga di affrontare discorsi scomodi e a volte sconvenienti, prima di tutto con se stessi, e dare a quelle persone la possibilita' di presentarsi come se stesse, non (quasi?) esclusivamente come vittime, o peggio ancora usarle come gettone di presenza di una minoranza, per fare una "opera buona", da progressisti della domenica. O peggio ancora, fare entrambe le cose.
Che poi e' lo stesso identico discorso del femminismo da due soldi, solo un po' peggio. E forse non e' un caso che il femminismo intersezionale non sembri aver attecchito tanto in Italia.
Paola Egonu deve fare i conti tutti i giorni con l'estenuante realta' di essere donna in un mondo beceramente misogino. Di essere nera in un mondo beceramente razzista. E in piu' deve farsi anche carico di difendersi da sola, di alimentare la sua stessa marginalizzazione mettendo al centro della propria presenza il lavoro emotivo addizionale di difendere se stessa da quella marginalizzazione.
Un applauso a lei perche', nonostante tutto, se ne fa carico (bene o male e' irrilevante). Ma rendiamoci conto che non toccherebbe (solo) a lei.