La crisi dell'intellettuale ai tempi del caso Caffo
È stata una settimana di grandi facepalm: qui elenco i miei.
Inizio a scrivere questa newsletter in una stanza d’albergo di Bollate, provincia di Milano, al confine con Arese, dove ieri sera è andata in scena l’ultima replica di Brutta del 2024. Da qui ci si ferma per un po’, ma - udite udite - a marzo si arriverà finalmente a Roma, per quella che mi sembra probabile sia l’ultima tappa del lungo cammino di questo spettacolo.
È stata anche una settimana di grandi facepalm.
Pronti, via.
Ancora sulla questione del consenso
La mia ultima settimana è stata occupata da un caso di cronaca di cui in realtà si è parlato molto poco. L’avevo segnalato nelle mie stories di Instagram e su altri social quando il procedimento era ancora in corso, e ora che si è concluso ne possiamo parlare almeno dal punto di vista culturale, per così dire. Perché ancora una volta si ripropone il tema del consenso al rapporto sessuale e della vittimizzazione secondaria di chi denuncia un abuso: ed è un tema ancora aperto.
Tony Effe vs Signore Braghettone
Avevo scritto qui tutta una cosa lunga sul caso di Tony Effe annunciato al Capodanno di Roma e preso di mira da una serie di figure e associazioni per “testi sessisti”. È la storia che si ripete, quindi ho trasferito la cosa lunga su Fanpage. Sì, ci sono andata giù durissima. Ma avevo avvertito chi dovevo avvertire che avrei preso le distanze in maniera pubblica da qualunque tipo di argomento censorio.
E siccome mi scrivo tutto, la stessa cosa l’avevo scritta in Rivoluzione Z da pagina 242 in poi, capitolo “La trap non è il male”. Ho cambiato idea? No. Non la cambierò facilmente, è una linea di demarcazione per me molto chiara. Ma sono disposta ad argomentarla all’infinito, perché oggi è Tony Effe e domani sono io. Nessuno è al riparo dall’afflato censorio di chi pensa di essere nel giusto.
La crisi dell’intellettuale ai tempi del caso Caffo
Sarebbe improprio parlare di “miccia” nel caso Caffo, che stava bruciando sotto le ceneri da un bel pezzo e ha finito per divampare con la faccenda Più Libri Più Liberi, che a turno ha dato fuoco un po’ a tutto e quindi forse la gif giusta è questa.
Potrei anche andare avanti a gif per tutta la newsletter, le gif sono il linguaggio dell’amore (e dell’umore) di noi vecchi dell’internet che però quando vediamo le parole sostituite con gli emoji urliamo “Ma che siamo tornati ai geroglifici? Ci esprimiamo a pittogrammi?” Non pretendo di parlare a nome di tutti i vecchi dell’internet e non (che comunque secondo l’OCSE sono quelli con le minori competenze linguistiche e di calcolo)1, ma l’impoverimento del vocabolario è una cosa seria che va presa seriamente. Vabbe’. Cosa c’entra?
C’entra. Ci arrivo. Mica la spiego a gif.
L’affaire PLPL ha avuto strascichi che è poco definire desolanti. Io non ce l’ho con chi ha deciso di andare, né con chi ha deciso di non andare: secondo me in questi casi hanno tutti ragione, hanno tutti le loro ragioni. Gramsci odiava gli indifferenti, non quelli (e quelle) che prendono una posizione ragionata. A PLPL ci si poteva andare per parlare di un tema, per onorare un impegno o perché ritirarsi, come editori, significava aprire un buco nel bilancio dell’anno impossibile da ripianare. Sta di fatto che andare o non andare, quest’anno, era una cosa che doveva essere motivata2, ma era comunque una scelta etica, non una questione di tifoseria. E tutte le motivazioni erano valide: bullizzare chi ha deciso di non partecipare (accusandoli di aver “paura delle reazioni dei follower”), invece, no. Entrambe le decisioni erano valide e andavano rispettate.
Il problema è quello che si è mosso intorno, soprattutto dopo che Caffo è stato condannato per maltrattamenti e invece di consegnarsi all’oblio mediatico, come aveva annunciato (sto parafrasando un suo post su Instagram relativo all’abbandono di PLPL) ha avuto modo di esternare il proprio disappunto per la condanna subita parlandone in termini di persecuzione (“Va bene educarne uno per colpirne mille, io sono stato colpito”: ok) e ha completato l’opera rilasciando una lunga intervista a Libero che oscilla fra il piagnisteo persecutorio, la misoginia più smaccata, il minchiarimento sui femminismi e la folie à deux fra lui e l’intervistatrice (che parla di “femministe con gli striscioni che lo sostenevano”: mi devo essere persa qualcosa), e successivamente a MOW Magazine (con gli stessi contenuti ma raddoppiati, perché una volta che entri nel personaggio tanto vale esagerare e dare delle “brigatiste” alle femministe, mica ci esponi a rischi personali, naaaa). Chi non lo aveva scaricato prima avrebbe quindi tutto il suo agio di farlo adesso, se non altro per rispetto della memoria di Michela Murgia, che era una sopravvissuta alla violenza domestica e che non merita di vedersi appioppate posizioni che non ha mai espresso e che non potrebbe, eventualmente, rimandare al mittente.
Tutto questo finirà per evaporare, lo sappiamo: perderemo interesse, il processo d’appello ci sarà o meno, avremo altro di cui occuparci. Ma il danno rimane, e il danno non è a Caffo o a una fiera: è all’intero mondo intellettuale italiano, che intorno a questo caso ha dato il peggio di sé. Non voglio tirare in ballo i social, perché è un argomento veramente cretino sia per giustificare un’omissione sia per motivare una presa di posizione. Il problema è che - e qui mi ci metto in mezzo anche io3 - siamo apparsi piccini, preoccupati del nostro ombelico, inadeguati alla gestione del piano simbolico, litigiosi per motivi meschini e incapaci di portare il conflitto sul piano più ampio dei grandi temi.
E intanto la gente veleggia via, lontanissima dai libri e dalla cultura. Perché ancora una volta chi scrive libri e fa cultura si è preoccupato di più di proteggere il proprio territorio, piuttosto che di fornire strumenti per gestire il presente, in qualunque forma. In tutta onestà, mi pare che la classe intellettuale italiana della mia generazione sia arenata in massa alla fase arbasiniana del “solito stronzo”, almeno nella percezione generale. Era già un problema prima. Era già un problema grosso. Queste ultime due settimane hanno fatto precipitare la situazione in un modo che non mi sembra recuperabile a breve termine.
Io non dico che l’intellettuale debba essere un pagliaccio, che debba piegarsi al desiderio di piacere. Essere conflittuali, anche divisivi, può essere sano, interessante, stimolante. Se fai l’intellettuale e dici solo cose che piacciono a tutti, forse ti devi domandare se stai facendo l’intellettuale o se stai solo servendo l’equivalente culturale delle stelline in brodo col formaggino. È giusto, di quando in quando, stare sul cazzo pure alla gente che la pensa come te (o crede di pensarla come te). Ma stare sul cazzo sempre e comunque perché ti poni su un piano spirituale elevato rispetto al popolo bue che pretendi di educare, quello no: non solo perché fa ridere (di te e non con te), ma anche perché la gente piuttosto si fa le maratone di Temptation Island.
Leonardo Caffo che dice che Michela Murgia gli avrebbe dedicato la fiera non fa solo incazzare perché Michela è morta, e se fosse viva è probabile che non si sarebbe mai azzardato. Fa incazzare perché fino all’altroieri Leonardo Caffo era il Grande Filosofo Anarchico, e adesso è ridotto a petulare su Libero, con tanto di captatio benevolentiae ai giornali di destra, che della cultura hanno sempre e solo fatto un uso igienico o strumentale. Che finaccia.
Al di là delle finacce individuali, però, rimane il problema collettivo. Perché non possiamo fare finta che questi spettacoli deplorevoli non siano un problema sostanziale, perché fanno emergere una grande povertà di pensiero (e una mentalità da branco) in un momento in cui abbiamo un bisogno disperato di pensiero ricco, e le persone, se non hanno accesso al pensiero ricco, finiscono per farsi attirare da quello povero ma comprensibile, e Vannacci prende mezzo milione di voti. E sono un problema anche dal punto di vista formale, perché agli occhi del grande pubblico si finisce per apparire come una manica di stronzi: e chi ha voglia di leggere, ascoltare, comprendere una manica di stronzi? Non io, e neanche tu.
Siamo ancora in grado di non apparire come una manica di stronzi? Di essere persone calde, aperte, dirette, capaci di elaborare un pensiero che apra strade percorribili verso il domani?
La cultura per la cultura non ha senso di esistere. La cultura si fa per le persone, non per darsi le pacche sulle spalle da soli, tantomeno a vicenda. Vale per la sinistra e per la destra allo stesso modo e in modi del tutto diversi.
Infine, una cosa importante
Non era molto tempo fa che dicevo che non volevo trasformare la newsletter in un lavoro, ma mi sembra chiaro che la sto trattando come se lo fosse. Esco regolarmente ogni martedì salvo disastri o malattie, ci lavoro con giorni d’anticipo e lavoro alla composizione di quello che scrivo. È lavoro intellettuale, e infatti un piccolo numero di persone hanno sottoscritto una promessa di abbonamento anche senza che io lo chiedessi.
Ho deciso di accettarle, quelle promesse, e di permettere alle persone che vogliono sostenere Servizio a domicilio di farlo, con un abbonamento annuale o mensile. Questo a fronte di due premesse: la prima è che i contenuti resteranno in chiaro, e se ci saranno contenuti extra per chi ha sottoscritto un abbonamento (non so ancora quali) non saranno quelli di questa newsletter. La seconda è che non accetterò subito le promesse di abbonamento, per dare il tempo a chi l’avesse fatta mesi o addirittura anni fa di annullarla. Le cose cambiano, le priorità pure, 80 euro sono i soldi dell’abbonamento a Il Post, e non si prendono 80 euro alle persone sotto Natale se non sei sicura che te li possano ancora dare.
Quindi: se hai fatto una promessa di sostegno e per qualsiasi motivo la vuoi ritirare, niente di personale. So’ soldi. E so’ soldi tuoi. Per annullarla, vai nella tua sezione “Abbonamenti”, la dovresti trovare lì.
Se invece vuoi sostenere Servizio a domicilio perché ti sembra essenziale per la tua dieta culturale, puoi farlo cliccando il bottone qui sotto e seguendo le istruzioni4.
Un abbraccio, e grazie del sostegno, qualunque forma prenda.
Giulia
Il modo in cui il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali racconta questo disastro è degno di Orwell. Si può leggere qui.
A meno di essere me che odio le fiere e ci vado solo quando ho qualcosa da fare: e non ce l’avevo. Cosa avrei fatto in caso contrario non lo so, sarebbe dipeso molto dal contesto, da quello che ero chiamata a fare e da quanto avrei messo nei guai chi mi aveva invitato. Perché esiste anche questo, la relazione con l’altro.
Ho smesso di aspettare patentini di idoneità o di idealizzare il mestiere dell’intellettuale.
Penso. Le istruzioni di Substack sono confuse, casomai fammi sapere come va.