Aridaje co Meloni femminista
Questa settimana: la ridicola campagna pro-Meloni del Foglio ci racconta qualcosa del femminismo bianco, ma non molto di più.
È tutto ancora un po’ rallentato, ma torneremo ai giri normali, spero. Ieri mio nipote Davide (sette anni) mi ha chiesto, serissimo: “Ma chi è che lavora d’estate?”, e non ha tutti i torti. Uno dei motivi per cui continuo ad amare l’estate pur odiando il cambiamento climatico è l’imprinting ricevuto nell’infanzia: giornate lunghe e piene di luce in cui ero io a strutturare il mio tempo, e ogni risveglio era la promessa di nuove avventure. Il lavoro è una necessità sociale, le scadenze servono a coordinarsi con il resto della squadra, ma quanto sto meglio quando non devo fare niente (o devo fare il minimo indispensabile) lo so io, lo sai tu e lo sappiamo un po’ tutte e tutti.
Mi sono convinta, con il tempo, che le persone che non sanno stare senza lavorare siano quelle che si sono dimenticate di coltivare lo spirito dell’avventura quotidiana, della decisione di godersi tutto, anche la noia.
Detto questo, andiamo avanti.
La campagna de Il Foglio pro-Meloni e il femminismo bianco
Chi ancora legge i giornali o segue le rassegne stampa avrà notato che sul Foglio è in corso una campagna per cercare di accreditare Giorgia Meloni come femminista. Le uscite sono a tratti irritanti (quella di Salvatore Merlo del 27 agosto trasuda adolescenziale desiderio di provocazione misto a un tragico maschilismo fuori tempo massimo da ogni riga), a tratti affette da un bias che rasenta il patetico (Alessandra Bocchetti, che il 31 agosto usa il suo passato nel PCI come credenziale per un editoriale che a prenderlo sul serio ti verrebbe da risponderle “Oh, tesoro”: solo nelle ultime righe si rivela l’interesse politico, la convergenza fra una certa frangia dei femminismi della differenza e l’estrema destra, che fa dimenticare ogni differenza). Poi ci sono Ritanna Armeni e Cathy La Torre, intervistate da Francesco Gottardi: un fuoco di fila di articoli pensati per screditare Schlein, la sinistra e i femminismi e accreditare Meloni come paladina della femminilità, se non del femminismo.
Mettiamo in chiaro una cosa: Il Foglio è la stessa testata che ha fatto scrivere a Camillo Langone decine di editoriali intrisi di misoginia, fra cui quello che continua a girare sul togliere i libri alle donne per farle figliare di più, praticamente Il racconto dell’Ancella. Chiunque prenda sul serio un discorso sul femminismo fatto da questo giornale non solo non ha capito niente di femminismo, ma non ha nemmeno capito che Il Foglio sta cercando il favore del governo essendo Libero ma con la piega delle braghe stirata.
Torniamo a noi. Molti degli interventi pubblicati ruotano intorno ai dettagli della vita personale delle sorelle Meloni, entrambe separate dai compagni e madri single figlie di madre single. Roba che se lo fa una di sinistra è perché è talmente stronza da non sapersi tenere un uomo; se invece sono le Meloni a chiudere rapporti importanti, è perché sanno farsi rispettare e in casa loro vige “il matriarcato”, che si presuppone sia il contrario del “patriarcato”, la cui esistenza viene regolarmente negata da qualsiasi commentatore di destra. Il matriarcato quindi ci sarebbe e sono le donne che vivono da sole e decidono per sé stesse; il patriarcato no. Ok.
Ne avevo già parlato, ovviamente, quando Meloni si era mollata con Giambruno e le sue ancelle erano accorse a lodarla.
E ne avevo parlato anche in risposta a certe provocazioni di Giorgia Meloni, che le femministe, sia chiaro, le odia.
Però ecco, torniamoci, su questi tentativi un po’ tristi e un po’ disonesti di creare un “femminismo di destra” che non ha alcun bisogno di essere creato, perché esiste da un pezzo: è il femminismo bianco liberale, di matrice borghese, per il quale il potere nelle mani delle donne non è un mezzo, è il fine ultimo dell’azione. Ci pensavo ultimamente, anche perché sono reduce dai tavoli delle Democratiche a Reggio Emilia, dove ho notato che la rappresentatività è davvero scarsa ma la percezione di cosa significa davvero fare femminismo è, invece, piuttosto chiara. Possiamo non essere tutte allo stesso livello o allo stesso punto nel nostro ragionamento, ma quando ci sediamo in cerchio per ragionare lo facciamo ascoltandoci a vicenda fino in fondo, e con un’idea di azione che è collettiva, per tutte, anzi: per tuttə, e pazienza se non abbiamo ancora trovato un modo universale per esprimere questo concetto.
Da lì a dire che siamo lontane dal femminismo bianco ce ne passa, eh. Ma spero che sia chiaro quanto è importante tenersi a distanza di sicurezza dalle posizioni espresse da quegli editoriali, da quelle interviste desolanti, in cui l’agire una forma di potere prevaricante viene letto come manifestazione di un femminismo superiore, un femminismo superpiù, proprio perché riproduce le dinamiche relazionali degli uomini. L’inconsapevolezza rispetto a questa stortura cognitiva non è sorprendente, né lo è che Il Foglio abbia deciso di adottarla: è l’unico modo in cui Meloni può essere vagamente accostata a valori positivi. Con buona pace di Bocchetti, Meloni ha rivendicato in più occasioni di avere raccolto l’eredità politica di Giorgio Almirante: io capisco il pregiudizio di conferma e il desiderio di raccontarsela per non sentire la compagna Nilde che si rigira nella tomba come un pollo allo spiedo, ma che Meloni sia fascista, dica cose fasciste, sia sostenuta da una classe politica apertamente fascista e stia utilizzando i mezzi della democrazia per agire il potere in modi che ricordano quelli del fascismo è sotto gli occhi di tutti. Poi certo, è una donna al comando, è contro la GPA e incoraggia la persecuzione delle donne trans, quindi a posto così, immagino. La vita è fatta di priorità.
La donna al potere è un mezzo, non un fine. Il fine è la trasformazione radicale del sistema: e se da un lato la perfezione è forse irrealizzabile, dall’altro è impossibile non vedere i limiti di quello attuale, che sullo sfruttamento delle donne ha le sue basi. La richiesta del femminismo bianco è di sottrarre solo le sue pari al giogo del patriarcato e delegare il lavoro di cura ad altre donne, ad altri soggetti sottopagati, come le tate invisibili che immagino accompagnino Giorgia Meloni quando se ne va in giro per il mondo portandosi appresso la figlia, per poi raccontarci che lo fa per mostrare che conciliare la maternità con il lavoro è possibile. Chi ha scelto di lodarla per la sua assertività e non di riderle in faccia per queste e altre esternazioni disoneste dovrebbe farsi un sanissimo esame di coscienza.
No, Elly Schlein non deve “comunicare come Giorgia Meloni”
Forse più sconcertanti di tutto sono le lodi di Cathy La Torre allo stile comunicativo di Meloni, giudicato più efficace di quello di Schlein, alla quale si raccomanda di mettersi davanti a una pompa di benzina a mostrare quanto costa.
Allora. Per punti.
Lo stile di comunicazione è personale. Schlein ha sicuramente dei limiti, ma stiamo ai fatti: alle europee ha recuperato centinaia di migliaia di voti andandosene in giro a parlare con la gente. Se non si mette a berciare del prezzo della benzina davanti alle pompe è perché quando sei all’opposizione puoi dire un po’ quello che ti pare, ma quando arrivi al governo e il prezzo della benzina aumenta per motivi che non dipendono da te ma da una congiuntura internazionale difficile è un attimo che ti viene rinfacciato. Per non parlare del fatto che se una non è portata a fare questo tipo di comunicazione-spettacolo è un bene che non la faccia. Tommaso Labranca definiva il trash “l’emulazione fallita di un modello alto”: penso si applichi anche a chi prova a sembrare qualcuno che non è scimmiottando il modo di fare di un avversario.
Schlein non ha alcun bisogno di imitare Meloni. La destra perde voti, la sinistra li guadagna, il PD è il partito che cresce di più: raccomandare a Schlein di imitare una che perde voti è surreale. A meno che l’obiettivo non sia, come al solito, il potere e non la ricostruzione di una partecipazione pubblica alla politica che è defunta da decenni. A me pare evidente che qualunque cosa Schlein stia facendo, all’opposizione, la sta facendo in un modo che funziona. È sufficiente? Forse no. Funzionerebbe meglio se fosse aggressiva come Meloni, se utilizzasse la sua vita privata per fare notizia, se stesse perennemente sotto l’occhio dei paparazzi? Portatemi le prove.
La forma è sostanza. Meloni comunica come pensa: con arroganza, con violenza, minimizzando i punti di criticità o direttamente mentendo, con la complicità dei media nazionali, che sono presidiati da suoi fedelissimi e oscurano le notizie sgradite o dannose per il governo. Sparite le inchieste di Fanpage su Gioventù Nazionale, mai menzionati gli scandali e le indagini a carico di Daniela Santanchè, sepolte le ripetute gaffe che segnalano la pochezza dei ministri in carica e le accuse di amichettismo a carico dello Stato. È questo che si intende con “Schlein deve imitare Meloni”? Perché niente della comunicazione meloniana potrebbe davvero funzionare fuori da un contesto di strapotere assoluto. Poi per carità, facciamo i video per TikTok, se pensiamo che sposti qualcosa.
In sintesi
I femminismi devono darsi una mossa, perché è chiaro che al momento riusciamo a incidere pochissimo. Questo è dovuto in parte a fattori estranei al femminismo stesso (che non viene studiato, se ne parla in maniera sempre scorretta e viene spessissimo equivocato come “donne al potere”, o scambiato con la capacità delle donne di essere prepotenti nei modi e nei tempi stabiliti dagli uomini, appunto) e in parte al fatto che non riusciamo davvero a fare rete e a incidere non tanto sull’opinione pubblica, dove chiaramente siamo arrivate, quanto sulla politica. Insomma, ci sono un sacco di cose da fare, e nessuna, assolutamente nessuna, passa per imitare Giorgia Meloni, prenderla a esempio o lodarla.
Date
È una newsletter che esce in ritardo, ma eccoci:
6 settembre: Cose mai successe alla Fiera del Libro di Como, ore 21.00
7 settembre: Brutta alla Sagra Fagiana di Brescia, però preciso che sul palco ci va Cristiana Vaccaro, non io! Io sono presente con un Q&A dopo lo spettacolo, come la scorsa stagione.
13 settembre: Festival Generazioni, Borgo Valsugana (TN), ore 18.30. Incontro dal titolo “Liberamente. Oltre gli stereotipi”
28 settembre: Cose mai successe a Librixia (Brescia), ore 18.30
Ciao!
Giulia
La Torre mi ha delusa moltissimo. Non posso credere che le piaccia la versione fascio-trash der Monnezza, ovvero il nostro caro leader Giorgia
Questo pezzo lo salvo ♥️