Sì, lo so che avevo detto che sarei stata in vacanza, in effetti ci sono, ma stamattina un pensiero è tornato a tormentarmi e ho pensato: dillo. Perché forse serve, in generale, e non alle persone che sono toccate dalla questione al momento.
La storia di Joe Biden che si ritira e Kamala Harris candidata in pectore ormai la sappiamo. La convention dei Democratici è praticamente una formalità, i giochi erano fatti nel momento in cui Biden ha deciso di annunciare che avrebbe rinunciato a ricandidarsi (con un tempismo che si è rivelato essere molto migliore di quello che si dice, tutto sommato: ma non ci entrerò qui, è lunga e voglio dire un’altra cosa).
Quello che sto vedendo fra gli americani della mia bolla (con qualche eccezione) è un rinnovato senso di speranza e voglia di investire nel futuro. Esistenza, non solo resistenza. Una possibile presidente donna, non giovanissima ma piena di energia, che finalmente può liberarsi dalle costrizioni imposte dal ruolo di vice e tirare fuori tutta la sua personalità. Harris non sarà Dolores Ibárruri, ma sta portando nella campagna delle presidenziali l’eccitazione e la novità di cui gli americani, che davvero faticano a trascinarsi alle urne1, hanno bisogno, ora più che mai.
In Italia, nel frattempo: disfattismo, Trump vince di sicuro, prepariamoci al peggio.
Adesso: io non sto dicendo che non sia possibile, anzi, più che possibile che Trump, il leader di quello che è di fatto un culto distruttivo (lo dice anche Leonardo Bianchi, mica solo io). Ma quando la reazione a un pericolo incombente è il disfattismo, quel pericolo diventa una profezia che si auto-avvera. E a soffrirne, guardacaso, non sono quasi mai le persone disfattiste, e quasi sempre quelle che invece hanno bisogno di sperare, credere e lottare.
Le destre vincono anche per questo senso di ineluttabilità della loro affermazione. Il disfattismo demotiva le persone più fragili, le dissuade dal partecipare. La profezia di sventura allontana chi teme le delusioni e non ha l’abitudine all’impegno, chi non sa e non ha capito che non esistono battaglie giuste che siano davvero perse (perché ogni battaglia giusta lascia tracce nel mondo per quelle che seguiranno), chi ha paura di credere perché non reggerebbe la delusione. Invece è proprio di queste persone che abbiamo bisogno, del loro entusiasmo fresco, della loro voglia di cambiare il mondo.
Ogni “tanto vince Trump” è un segnale a queste persone: non si combatte il destino, non c’è nulla da fare, i più forti sono loro. Invece no, non è vero. Lo testimoniano, in piccolo, anche le recenti elezioni europee: si parlava di marea nera, non c’è stata. Le destre sono cresciute, ma non al punto di minacciare la maggioranza del Parlamento europeo. E soprattutto, in Francia Macron ha tirato il freno d’emergenza e ha detto: ok, vediamo cosa vogliono i francesi.
La manovra di Nancy Pelosi e dei donatori Dem spariglia le carte in una maniera che sembrava troppo rischiosa, e invece forse era la cosa che serviva, il sasso che inceppa la macchina di morte, il rischio che eccita gli elettori. Non lo sappiamo, ma non è impossibile. Per nulla. Gli americani (e le americane, soprattutto) lo sanno. E si stanno muovendo, al meglio delle loro possibilità, per farlo succedere.
Però Tonino e Marialessia dell’Internet italiana hanno deciso che no, tanto vince Trump. Perché fa più fico posare da cinici disincantati, piuttosto che crederci e passare per ingenui che non conoscono il mondo. Non sarebbe un problema, se Tonino e Marialessia non fossero gli stessi che passano il tempo a liquidare ogni discussione sulla politica con “Tanto sono tutti uguali”, che pensano che i Vannacci di questo mondo debbano vincere per forza perché gli scemi sono più della gente sensata (che quindi non va a votare, perché c’è un po’ di Tonino in tutti noi). E avanti così, la demotivazione si allarga, dilaga, infetta come un virus, distrugge la speranza e il desiderio di partecipazione.
Io dico: dai, basta. Basta con i “tanto vince Trump”. Ma basta pure trattare qualsiasi mostro di destra come destino ineluttabile e sciagura inarrestabile. Basta. Uno, perché non ci capite un cazzo (e diciamolo, che non ci capite un cazzo: comunque ci capite meno di Nancy Pelosi) e due, perché non serve a nessuno che non siate voi, Tonino e Marialessia dell’Internet. A sentirvi parte di quelli che la sanno lunga. Il disfattismo non costruisce niente, non aiuta, anzi: consolida la base di disperazione su cui le destre scivolano senza intoppi verso la vittoria.
Proviamoci. Proviamo a crederci. La speranza è gratis quanto la depressione, ma fa stare parecchio meglio.
Ciao, torno in vacanza.
Giulia
Non sono gli unici, ok.
Ciao, io vivo negli Stati Uniti da quasi un decennio (e mi perdo l'opportunità di votare quest'anno per una questione di mesi - posso diventare cittadina l'anno prossimo). Ho amici (e parenti del mio compagno) più o meno ovunque nel paese, perché ho avuto la fortuna di vivere in cinque stati diversi spalmati sull'intera cartina. Sono d'accordissimo con te, Giulia, sul fatto che il disfattismo italiano è del tutto infondato, e in generale sta circolando tantissima disinformazione su queste elezioni (vedi i racconti di fantascienza su Michelle Obama, incredibilmente scritti anche da corrispondenti che vivono qui). Sul senso di speranza e voglia di investire nel futuro ci vado più cauta: vedo attorno a me nel campo democratico tanta tanta paura che Harris non sia sufficiente (anche se il desiderio di una presidente come lei è enorme) e soprattutto frustrazione nei confronti del partito che tentenna sempre quando si tratta di farsi unito e compatto. Insomma, il pericolo Trump è ancora sentito davvero molto forte, e tutto sommato la conclusione che sento raggiungere più spesso è: staremo a vedere. Ma sono solo i primi giorni post sconvolgimento: la mia speranza è che i prossimi 100 possano davvero rinnovare la fiducia.
Forse non dovrei (e nel caso mi scuso in anticipo) ma mi permetto di condividere l'ultimo pezzo della mia newsletter, in cui ultimamente sto affrontando sempre di più questi argomenti: https://ancheunadonnaqui.substack.com/p/appunti-sparsi-sul-dilemma-kamala
Voglio la maglietta con scritto “comunque ci capite meno di Nancy Pelosi”