Quando il mondo va a gambe all’aria e la razionalità non basta più ad abbracciare e dare senso all’esistente, quello è il momento in cui ci si aggrappa a tutto. E quindi ho chiesto conforto alle mie amiche più versate con l’astrologia, nel senso di: più di me che è tanto se mi ricordo il mio ascendente. Non è importante quello che mi hanno detto, quanto il fatto che l’astrologia è un grande rifugio per l’ansia. L’astrologia si inventa un futuro quando tu non lo vedi più: sei in difficoltà? È Saturno contro. Le cose vanno meglio? Merito di Giove. Ti senti nervosa? È la luna piena, poi passa.
Poi passa. L’astrologia ci ricorda che siamo in moto perpetuo, che tutto scorre, il bene e il male. Pazienza se non c’è niente di vero o di verificabile, perché prendiamo le nostre consolazioni dove possiamo: e io sono pur sempre figlia spirituale di Dana Scully, scienziata e credente, donna che conteneva moltitudini. È anche vero che in queste piccole cose avverto al tatto le crepe della ragione che si sfalda e lascia entrare il bisogno di fede. E quella, come sappiamo, giustifica sé stessa.
Vabbe’. Siccome questa settimana è lunga, forse ci serve un indice. Quindi, parleremo di:
Esaurimento da social
Rivalutare il medione
M - Il figlio del secolo fa incazzare la destra
Le date del tour di Brutta
Siamo esauriti dai social, i social sono esauriti
Una delle newsletter più appassionanti fra quelle a cui sono iscritta è
di , le cui analisi sul funzionamento delle dinamiche di produzione dei contenuti digitali sono frutto di anni di lavoro e di studio. Il problema è che io, personalmente, ho capito che sono PIENA RASA dei social. E penso che si cominci a vedere.Sono arrivata in rete alla fine degli anni ‘90 e sono stata una early adopter piuttosto entusiasta. Non mi pareva vero di poter parlare con gente che stava lontana migliaia di chilometri da me, che parlava inglese e non italiano e che non aveva una faccia e nemmeno un nome. Non sto qua a fare tutta la cronistoria della mia vita in rete, non è interessante: era solo per dire che per me le interazioni nell’ambiente digitale sono state importantissime e hanno generato alcuni dei rapporti più duraturi della mia esistenza.
Però le cose cambiano. I feed cronologici diventano feed algoritmici, e ci si abitua pure a quelli. Nei feed algoritmici arriva la pubblicità, e nel frattempo quelli che erano (nel bene e nel male) spazi di interazione fra umani diventano vetrine di marketing. Arrivano i bot. Arrivano le decisioni editoriali che declassano alcuni contenuti rispetto ad altri. Arrivano i miliardari che si comprano le piattaforme e le fanno diventare il cesso di Trainspotting. E io non posso fare a meno di notare che nessuno mi ha mai fermato per strada per dirmi “Che bello il tuo profilo Instagram!” Cosa che invece capita con questa newsletter (a proposito: mi imbarazzo, ma grazie), che ha tempi diversi, lunghezze diverse, e comunque è una cosa che puoi o meno scegliere di leggere. Ti arriva dritta nella casella di posta. C’è un’intimità speciale, che ci somiglia molto più dei contenuti prodotti in maniera compulsiva per ingraziarsi gli dei dell’algoritmo di Meta.
Non sto dicendo che dobbiamo venire via dai social, sarebbe ipocrita. Dico che se cominciamo ad avvertire una certa fatica e un desiderio di cambiare modalità di ingaggio è perché una cosa che ci divertiva moltissimo ora non ci diverte più. Ci sentiamo ingranaggi in una macchina che produce soldi per qualcuno che non siamo noi, e che non ci restituisce il calore e l’allegria e l’arguzia di un tempo.
Smetteremo di usare i social? Io non credo, o almeno, non credo succederà nell’immediato. Però a me non va più tanto: i social, che sono sempre stati un mezzo performativo ma per un breve periodo sono stati anche creatori di comunità, sono diventati un’industria, un mercato, una competizione. Una performance perenne, un’altra cosa che dobbiamo imparare a fare per competere nel mercato dell’attenzione, anzi, nella guerra dell’attenzione. Un’altra guerra: ma come ci va?
Basta con l’uomo femminista, ridateci i medioni
Nel giro di pochi giorni sono successe molte cose nello spazio del maschile. Mark Zuckerberg, per cominciare, che approfittando del successo di Elon Musk nello spianare (nel senso di: schiacciare come si schiaccia l’asfalto) la cultura popolare in favore di una maschilità sempre più violenta e prevaricante, tira fuori la sua natura originale di nerd vendicativo e dice — fra le altre cose — che Meta ha bisogno di “energia maschile”, quindi lui non solo smetterà di affidare i social di proprietà dell’azienda a un team di moderazione e li sostituirà con la sua versione delle Community Notes di Twitter1, ma abolirà anche le politiche di Diversity & Inclusion. Meta, per la cronaca, ha uno staff per due terzi composto da uomini. Più “energia maschile” di così e siamo in una caserma degli anni ‘80, che immagino sia il desiderata di Zuckerberg2.
Poi esce su Vulture un articolo lungo, dettagliato e orripilante (al punto che la gente sui social suggerisce seriamente di non leggerlo, per quanto dà il voltastomaco) sugli abusi sessuali compiuti da Neil Gaiman con la probabile complicità dell’ex moglie, Amanda Palmer3. Lo stesso giorno muore Oliviero Toscani, e tu dici: che c’entra? C’entra. Perché Toscani era considerato un “ragazzaccio” dell’arte fotografica, uno che nello spingere sempre un po’ più in là i confini del lecito e dell’accettabile finiva per estetizzare tutto, riducendo ogni questione alla provocazione della singola immagine e senza timore di essere accusato di strumentalizzare la sofferenza umana. È la mancanza di timore, la certezza di poter attraversare ogni soglia forte di una reputazione che ti precede, a farmi collocare Toscani nel novero dei maschi-che-fanno-i-maschi, perché il “ragazzaccio” è un discolo che ci fa divertire e al quale perdoniamo tutto. La “ragazzaccia”, invece, cos’è? Quanto siamo autorizzate a infrangere le regole, e come, senza essere stigmatizzate? E in quanti modi questo maggiore controllo sociale e minore elasticità rispetto a quello che ci è concesso come persone e come artiste influisce sulla nostra libertà creativa e sulla popolarità del nostro prodotto artistico?4
Ci troviamo nel bel mezzo di una risorgenza della maschilità più retriva e prevaricante, che a volte si presenta in purezza (Musk, Zuckerberg, Bezos, perché Trump, Rogan, Kennedy, ecc.) e a volte invece prende la forma subdola del lupo travestito da agnello, dell’abusante che si spaccia per femminista. Gaiman ci ha fregate per decenni, sono la prima ad ammetterlo, e nei suoi libri è forse contenuta la misura del suo auto-inganno. Ma pure Justin Baldoni, Joss Whedon, e se la lista non è lunga è perché molti non li abbiamo ancora tanati.
Insomma, è venuto forse il momento di rivalutare il medione. L’uomo né buono né cattivo: medio. Privilegiato senza saperlo, prevaricante inconsapevole che se glielo dici si dà una regolata. Non capisce un cazzo di femminismo e non fa neanche finta, ma se gli spieghi le cose, almeno sul momento, ti dà retta. Il medione sai dove sta. Del medione conosci i confini. Del medione conosci i limiti. Non ti dà lezioni di vita, non viene ai tuoi incontri pubblici per far vedere che ha letto più libri di te5. Lo guardi con un sospiro rassegnato, ma almeno è tutto sul tavolo, non ci sono complicati processi mentali atti a trasferire la prevaricazione dal piano spicciolo di una rivendicata superiorità maschile a quello psicologico di una vaneggiata superiorità intellettuale. Al netto di pochi, luminosi esempi che ormai ci aspettiamo sempre che vengano sputtanati, il medione rappresenta l’opzione più rassicurante. Pensa un po’ come stiamo messe. L’asticella, signori, è appoggiata per terra.
Consigliato: M - Il figlio del secolo
Mi torna in mente un episodio di poco più di una decina d’anni fa: la mia famiglia era venuta a trovarmi e Leonardo, il maggiore dei miei nipoti, aveva all’epoca sei anni. Eravamo a pranzo in un ristorante di Prati, e girellando ci siamo imbattuti in una foto incorniciata e appesa alla parete. L’immagine ritraeva Hitler e Mussolini insieme, uno a cavallo di una moto e l’altro sul sidecar, braccio teso e mento alzato. Leonardo si ferma, guarda la foto e scoppia a ridere: “Ma chi è? Ma che ridicolo! Ma guardalo lì, sulla motoretta!”
Chiunque abbia visto anche solo di striscio i filmati dell’Istituto Luce sa che Mussolini appariva davvero così: tronfio e risibile, tutto mimica esagerata e ossessione machista. È lo stesso effetto che fa Donald Trump con il bronzer dato con lo spruzzino del Vetril, o Andrew Tate quando fa i suoi video a torso nudo ciancicando il sigaro: sembra impossibile che ci sia chi li prende sul serio. E invece.
Della serie di cui stanno parlando tutti, M - Il figlio del secolo, abbiamo visto finora solo un episodio: ma ci sembra già un prodotto eccezionale. Ero dubbiosa sulla scelta di Marinelli per interpretare Benito Mussolini, il maestro elementare di Predappio che ha distrutto il mondo e la cui ombra si estende cupa fino ai giorni nostri, ma ovviamente Marinelli è Marinelli e fra trucco e lavoro sul corpo restituisce tutta la mimica caricaturale di un personaggio che si è trovato al posto giusto nel momento giusto, e con l’intuito, l’astuzia e non poca violenza è riuscito a capitalizzare le debolezze di un paese piegato da una guerra mondiale.
Non sono particolarmente stupita che Marinelli abbia detto che è stato difficile interpretare Mussolini, e non capisco le critiche a questa dichiarazione: il mestiere dell’attore richiede una continua e profonda esplorazione del proprio animo, e se il posto dove devi andare è quello in cui tieni il desiderio narcisista di sopraffazione e sfruttamento della credulità popolare, la violenza politica e sessuale e la crudeltà più meschina, non è detto che tu riesca a mantenere l’equilibrio o anche solo il buonumore.
Il rischio di tutta l’operazione era, ovviamente, il santino. O quantomeno un prodotto equivoco ed equivocabile. Però il regista di M è Joe Wright, quello di Espiazione e di L’ora più buia, uno le cui credenziali sul tema non sono in discussione, e la serie mette subito in chiaro di cosa e di chi stiamo parlando, aprendo sulla morte e la sofferenza della guerra e sulla fine truculenta di Mussolini, il cui cadavere straziato viene mostrato senza ritrosia, appeso, insultato, massacrato anche a terra con il calcio dei fucili. Così finiscono gli autocrati, ci dice subito M, mentre diagnostica correttamente quella violenza brutale come una forma di follia amorosa, un fuoco mai spento. Non mi stupisco che non stia piacendo alla destra.
Le date del tour di Brutta
Sono sempre quelle! Le informazioni sui biglietti sono qui.
8 febbraio - Cadelbosco (RE), L’Altro Teatro*
22 febbraio - Fara Sabina (RI), Teatro Potlach*
1 marzo - Bologna, Auditorium San Filippo Neri (ingresso gratuito)*
6-9 marzo - Roma, Spazio Diamante*
30 marzo - L’Aquila, Teatro dei 99
11 aprile - Gozzano (NO), Sala Somsi
Ciao, a martedì prossimo!
Giulia
Vale a dire che le persone più bullizzate dovranno sobbarcarsi, oltre alle molestie dei vari troll, anche il compito di rettificare le loro stronzate.
Sul lungo periodo, queste decisioni danneggiano le aziende. Spero che lo scopra di prima mano.
Doppia botta per me che amavo lui e trovavo lei, con tutti i suoi limiti, una personalità interessante.
Ma non li ha capiti.
Ciao Giulia, grazie per la citazione, mi diverto ancora a fare contenuti online ma capisco la fatica. Penso che la sensazione di essere in una "ruota del criceto" sia sempre più diffusa e le piattaforme se ne accorgono, per questo alcune ti lasciano tenere le mail, o ti aiutano a fare soldi per darti il contentino, ne parlo nell'ultima newsletter, quella sulla guerra dell'attenzione che hai linkato. Il problema è che col tempo anche le piattaforme illuminate stringono la cinghia, quando anche loro han bisogno di soldi, e la ruota del criceto ricomincia a girare...
Finalmente mi sento classificato: sono un medione.