Essere per sempre coinvolti
Questa settimana: un annuncio bello, e una riflessione su una cosa molto brutta.
Le cose che ho da dire oggi sono tante, importanti e pesanti, per cui partiamo con una cosa leggera e bella, o che comunque per me è molto bella. Cioè questa:
Il tour teatrale di Brutta - Storia di un corpo come tanti (tratto dal mio libro del 2021) sta per iniziare, e come si vede dalla grafica c’è una piccola sorpresa: in quasi tutte le date (tranne quella di Firenze, in cui sono impegnata altrove) ci sarà un piccolo Q&A con me stessa medesima. Una specie di Ask Me Anything dal vivo: io mi siedo lì e chi vuole mi fa delle domande.
I biglietti delle date si trovano qui. E le date sono:
8 marzo - Genova - Teatro Stradanuova
10 marzo - Bologna - TPO
28 marzo - Venezia - CS Rivolta
30 marzo - San Vito al Tagliamento (PN) - Circolo Arci CRAL
12 aprile - Torino - Off Topic
20 aprile - Firenze - Laboratorio Puccini
26 aprile - Terlizzi (BA) - MAT
28 aprile - Taranto - Spazioporto
4 maggio - Perugia - Auditorium S. Francesco
15 maggio - Milano - Arci Bellezza
(Per organizzare delle date, il riferimento è Do7 Factory.)
E ora andiamo alle cose meno belle.
La Rai non è uno spazio privato
Una si vorrebbe pure riposare. Ci avevo pensato, eh, a saltare la newsletter di oggi: dopo una settimana di uscite quotidiane, potevamo pure prenderci una pausa. Mentre a Domenica in succedeva di tutto, io ero a fare un bellissimo laboratorio nella sede dell’associazione Maghweb, cellula transfemminista nel cuore di Palermo. Abbiamo parlato di occupazione dello spazio, della differenza in come le donne percepiscono quell’occupazione e il proprio corpo e voce nello spazio condiviso.
Ma io dico, ma non si poteva fare come tutti gli anni, con zia Mara che riversa il suo maternalismo appiccicaticcio sugli artisti in gara, domande loffiette dai giornalisti in studio, abbracci e complimenti e tutti a casa? E invece no, mentre io ero a parlare di spazio e di corpi e di donne c’era Ghali che rivendicava il suo diritto di usare il palco (lo spazio) di Sanremo per lanciare un messaggio politico. Ghali, che era in gara con una canzone sul sentirsi stranieri in patria. La dice lunga sulle aspettative dei vertici Rai circa il ruolo dell’artista: la tua canzone può dire quello che vuole, ma non ti azzardare a essere politico anche oltre il testo che porti in gara. Ghali Amdouni, facce ride. E stai al posto tuo.
Poteva bastare, invece c’è stato (non so se prima o dopo, ma immagino prima: il flusso dei social appiattisce il tempo) anche Dargen D’Amico1, con un discorso durissimo e centratissimo contro la disumanità delle politiche migratorie e di accoglienza in un paese che conserva intatto il diritto a votare alle nostre elezioni per i pronipoti dei signori Rossi emigrati in Argentina negli anni ‘20, ma nega i pasti ai figli degli stranieri iscritti alla scuola dell’obbligo.
Infine, il comunicato.
Mentre siamo qua che scriviamo o leggiamo, sui mezzi pubblici o al lavoro, a casa con le cispe negli occhi o in un momento di pausa di una giornata infernale, Israele sta chiudendo milioni di palestinesi in spazi sempre più angusti, li sta privando di cibo, acqua, elettricità, ospedali, connessione a internet, e li bombarda. Questa non è un’opinione, è un fatto su cui si può avere un’opinione, ma l’opinione che hai su questo fatto ti qualifica dal punto di vista politico, se non da quello umano.
Ho sempre evitato di parlare a casaccio di quello che sta succedendo a Gaza (non dal 7 ottobre, ma da decenni), perché non parlo di quello che non conosco bene: a questo punto, però, non serve una laurea in Storia Contemporanea per prendere una posizione, e la mia posizione è che non si bombardano i civili inermi, e non si utilizza la scusa dell’eradicazione di un gruppo terroristico per sterminare un popolo che già viveva in uno stato di privazione e di oppressione. È una scusa che non accetto da Putin e non accetto da Netanyahu, perché non sono cretina e si vede benissimo che, appunto, è una scusa. E mi fa vieppiù imbestialire non che l’Ucraina riceva sostegno nella sua lotta di resistenza (che è giusto, anche se non desiderabile, perché la guerra è indesiderabile), ma che questo sostegno venga accordato perché l’Ucraina è uno Stato sovrano che confina con l’Ue, mentre la Palestina no. L’Ucraina può mandare Zelensky a parlare con capi di Stato e di governo della sofferenza del suo popolo. I palestinesi non hanno nessuno che sia legittimato dalla comunità internazionale a rivendicare il loro diritto ad autodeterminarsi.
Quella che Ghali e Dargen D’Amico hanno espresso a Sanremo era una posizione legittima su un fatto. Può essere o meno condivisa, ma è legittima perché quello su cui si basa non è l’odio per un popolo o l’altro, ma il desiderio di sicurezza e pace per tutti i popoli. Nessuno dei due ha attaccato Israele, nessuno dei due si è espresso contro il diritto di Israele di esistere. Non era necessario accusarli di odio e affrettarsi a mettere in bocca a Mara Venier un comunicato in cui si prendono le distanze da… cosa? Dalla richiesta di cessate il fuoco? O dalla fine del genocidio dei palestinesi, già configurato come tale dalle organizzazioni internazionali? Non se ne vede la necessità. Eppure lo si è fatto.
Purtroppo qui, temo, siamo davanti a un caso di pensiero politico (più o meno approfondito e strutturato) che si scontra con il servilismo di una dirigenza ansiosa di compiacere un potere che a sua volta sta cercando di ripulirsi la reputazione rispetto a un passato ineludibile. Il partito di Giorgia Meloni sostiene di raccogliere l’eredità del fascista Giorgio Almirante: anche questo è un fatto, com’è un fatto che Almirante appoggiò le leggi razziali che portarono allo sterminio degli ebrei in Europa. Il sostegno di FdI a Israele, temo, è motivato per lo più dal fatto che se c’è qualcuno che i fascisti odiano più degli ebrei, sono gli arabi (e questa, per quanto fondata, è un’opinione2).
Che l’AD della Rai senta di dover intervenire in diretta durante una trasmissione televisiva per ridurre e isolare la sacrosanta opinione di un artista, e lanciare un messaggio a tutti gli altri (non vi azzardate, o vi giocate la possibilità di occupare spazi su cui abbiamo la giurisdizione) non è grave solo per il contenuto del comunicato, sul quale, spiace molto per Mara Venier, ma non siamo affatto tutti d’accordo. È grave anche nel contesto di quello che era successo nei giorni precedenti, con l’esibizione di Ghali caricata su RaiPlay senza l’appello contro il genocidio (e poi ricaricata intera, in fretta e furia, dopo le proteste). È grave perché è la rappresentazione letterale dell’assenza di pluralismo del servizio pubblico, nonché della totale mancanza di indipendenza dei vertici Rai rispetto al potere. Il servizio pubblico non è dei partiti, non è del governo, del Parlamento o della presidente del Consiglio: è delle persone. È nostro: lo paghiamo, letteralmente, con il canone e con l’attenzione che diamo ai contenuti offerti dalle reti nazionali. Domenica pomeriggio, quel servizio pubblico è stato piegato in maniera e violenta alla narrativa di un solo paese, di una sola visione, di una sola identità nazionale. Quella che ha fatto evacuare un milione e mezzo di persone a Rafah per poi accerchiarle e attaccarle.
L’intervento in diretta di Roberto Sergio è oltraggioso per questo, e perché pretende di ridurre gli artisti a saltimbanchi che parlano solo se interrogati e non utilizzano lo spazio della loro arte per costruire un discorso politico che potrebbe disturbare il potere per il solo fatto che esiste e arriva a milioni di persone. È grave, e condannabile, perché riduce la Rai a braccio armato di un potere che trae enorme vantaggio dalla distanza fra la gente e la politica. Il gigantesco pubblico di Raiuno non deve pensare che occuparsi di politica sia giusto e naturale: il messaggio che deve passare è che farlo è disdicevole e va assolutamente condannato.
Se si colpiscono gli artisti, che sono visibili ma che tutto sommato possono anche pensare di costruirsi spazi alternativi a quelli della televisione, è ragionevole pensare che la stessa cosa avvenga in forma molto più grave con i dipendenti Rai, i giornalisti, gli autori, chi conduce, scrive, mette insieme i programmi, sceglie gli ospiti e decide di cosa parlare nello spazio su cui ha giurisdizione. Quello che Sergio ha fatto non è una cosa nuova (i vertici Rai sono sempre stati controllati dalla politica, che a sua volta pretende di controllare le narrazioni sul reale), ma è nuova, e condannabile, nell’arroganza con cui il potere viene esibito. Quell’arroganza è di per sé un messaggio: siamo intoccabili, possiamo disporre di voi e lo faremo, non in maniera subdola ma esibita.
La politica che mette le persone al centro le vuole coinvolte, accoglie la dialettica, non ha paura del conflitto, ricerca l’attivismo. La politica incapace e cialtrona, che cerca il potere per il potere, preferisce il cittadino disinformato, disimpegnato e muto. È così da molto tempo, almeno dai primi anni ‘90, quando lo scandalo della corruzione dilagante e l’inchiesta Mani Pulite distrussero la fiducia degli italiani nella partecipazione democratica. Ne approfittò per primo Silvio Berlusconi, ma non è stato certo l’unico. L’attuale maggioranza di governo può trarre solo vantaggi da un paese in cui nessuno si interessa davvero delle scelte operate a livello istituzionale.
Qua si tratta di decidere, come collettività di chi opera nell’ambito del pensiero e della cultura, se sia meglio tacere di fronte a quest’arroganza sperando in un invito, uno strapuntino nella trasmissione che ti fa vendere qualche copia in più o ti apre uno spazio di collaborazione su giornali e quotidiani, o se vogliamo sollevarci e sostenere Ghali e Dargen, oltre a seguirne l’esempio. Non perché loro siano eroi, ma perché quello che hanno fatto è giusto e naturale, e non può essere soggetto alle velleità censorie di chi pensa che il servizio pubblico sia un territorio su cui mantenere il dominio, e non una casa comune in cui parlare di solidarietà e pace sia automatico come respirare, ed essere soggetti politici un tratto desiderabile, da incoraggiare in ogni modo.
Per citare
, che ne parla nella sua ultima newsletter:[…] la discografia è un’industria, ma la musica è espressione, arte, e che come tale ha il compito di generare anche cultura, oltre al profitto.
Altrimenti finiamo per dimenticarci il senso di tutto e facciamo la fine di quelli che di fronte a un artista che usa la propria voce per dire quello che pensa si ritrovano a difendere comunicati come quello, indifendibile, di Roberto Sergio della RAI, o peggio: a fare come quei commentatori che vanno sotto le pagine degli artisti a scrivere che sono pesanti e che fanno politica quando invece dovrebbero solo farci emozionare o divertire.
Vi aspetto, amici e amiche dell’editoria, della stampa, della televisione, dell’intrattenimento, della musica. Vi aspetto compattǝ. Non perché dobbiate essere al 100% d’accordo con Ghali3, ma perché siamo di fronte a una minaccia esistenziale. Fatevi sentire ora, a costo di perdere quale seggiola o qualche spazietto: è un investimento nel futuro di questo paese.
Ciao, a martedì prossimo.
Giulia
Dargen, questo è fare politica e credimi, va bene così.
Il comunicato letto a Domenica in faceva riferimento solo a Ghali, infatti, quando il primo a chiedere il cessate il fuoco, pur senza usare il termine “genocidio”, è stato Dargen D’Amico. Solo uno dei due è nato a Milano da genitori tunisini.
Se non lo siete, vi giudico: ma me lo tengo per me.
Né Ghali né Dargen D'Amico hanno mai preteso di esprimere il pensiero di tutta Italia (anche se, a giudicare dai social, la maggior parte degli italiani la pensa come loro o se non lo fa comprende che sia meglio non dire "A me invece piace il g3n0c1d10"). Sono saliti sul palco portando il messaggio in cui credono loro, anche a costo di perderci e tanto.
Il signor Sergio e la signora Venier invece non solo parlano non per sé stessi ma per un'istituzione statale, ma si permettono pure di dire che siamo tutti d'accordo con loro. Il che sarebbe gravissimo, anche se non si stesse parlando di un argomento serissimo. In più stiamo anche parlando di un argomento serissimo. Pensa te!
“…mandiamoli in pensione
i direttori artistici,
gli addetti alla cultura”.
Devono venire giù gli alieni per farci esprimere una posizione netta contro l’inaccettabile?
Questo è il momento in cui va espresso il proprio dissenso, questa è la chiamata, cazzarola! INTEGRITÀ!