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Questa settimana: consigli non richiesti alla segretaria del PD, le facce al funerale di Berlusconi e nella mia timeline di Instagram, e (finalmente!) un po' di libri.
Non c’è tempo da perdere, cominciamo.
Consigli non richiesti alla segretaria del PD /2
Nel paese dei sessanta milioni di CT, virologi ed economisti1, ti pare che non ci siano pure sessanta milioni di segretari del PD che non lo erano? Allora, adesso sorvoliamo sul fatto che da qualche anno mi è presa questa cosa che mi voglio immischiare nella politica senza però tesserarmi a un partito e fare il lavoro di immischiarmi nella politica (ne ho già parlato in precedenza), che è sicuramente una strategia inefficace e frustrante, ma comunque: ho delle cose da dire sulla partecipazione di Elly Schlein alla manifestazione del Movimento 5 Stelle a Roma. Non su quello che ha detto Grillo, che diciamocelo, chi ha polemizzato fa ridere i polli. Proprio sul fatto di andarci.
In sintesi, la cosa è questa: chi sta in politica vede gli altri politici da vicino, ci parla, sa che ce ne sono di buoni e di cattivi nella maggior parte dei partiti, e i 5S non fanno eccezione. Ce ne sono di buoni e di cattivi. Il problema è che il brand 5S è avariato, perché il tempo di dimezzamento dei giudizi della gente sui partiti è molto ridotto quando il giudizio è negativo (si sta un attimo a passare da giovani promesse a soliti stronzi), mentre la ricostruzione di una reputazione richiede anni, sempre che si possa fare. Il PD, nel senso della comunità degli elettori e dei simpatizzanti, ha dato un segnale di rottura e ha optato per il personaggio nuovo, carismatico e interessante. E si partiva bene, con una segreteria di facce nuove. Quella era (ed è, credo) la via.
Conte e i 5S non sono nessuna di queste cose. Non parlo a livello personale, ma proprio a livello di percezione generale. Conte è ancora e sempre uno che passava di là per caso, e che essendosi ritrovato a gestire una delle più grosse crisi della storia dell’umanità ha potuto fare leva su quel trauma per prendersi la guida di un partito sfrangiato, segnato da un’emorragia di elettori. Anche se molti 5S sono cresciuti e sono stati premiati, nel complesso restano sempre quelli con la reputazione dei ciucci arroganti che improvvisano senza avere una direzione o un’idea precisa di quello che fanno, e quello che fanno spesso è improntato a un pericoloso populismo di destra2. E se da un lato capisco benissimo il tentativo di costruire un campo largo, andare alla loro manifestazione significa perdere un po’ della propria, di reputazione, senza far crescere la loro (perché i loro elettori odiano il PD).
Lavorare dietro le quinte va benissimo, è giusto e intelligente. Fuori, però, la costruzione dell’immagine del partito passa per una concentrazione feroce sul messaggio e uno stare sul pezzo continuamente rispetto alle politiche insensate (e spesso repressive) del governo. Detta semplice: urlargli in faccia ogni due secondi da tutti tutti TUTTI i canali disponibili, e costruire nel frattempo delle proposte alternative, comunicate in maniera semplice e chiara. E non porsi mai, mai come “alternativa alla destra”, perché l’alternativa è sempre la cosa che scegli quando l’opzione standard non ti soddisfa. Davvero vogliamo raffigurare le destre come l’opzione standard? Io penso di no.
I Cinque Stelle devono fare da soli il lavoro di ricostruzione della loro reputazione. Il PD ha già abbastanza problemi (interni ed esterni) senza l’impiccio di fargli da sponda. Fine dei consigli non richiesti.
L’eredità estetica di Silvio Berlusconi
Senza fare tanto casino, ho deciso di non dare il mio tempo al funerale di Silvio Berlusconi. Dovevo lavorare, avevo cose da fare, alcune belle alcune meno, e le ho fatte. L’ultimo funerale che ricordo di aver guardato in televisione è stato quello di Lady Diana, nel 1997: in generale preferisco di gran lunga i matrimoni, o comunque le celebrazioni in cui la gente è felice.
Conta pochissimo, perché il funerale di Silvio Berlusconi è venuto a me come la famosa montagna di Maometto, in forma di meme, immagini, messaggi esasperati su WhatsApp, commenti, e infine la coda dell’ultima puntata di Propaganda Live, che ho acchiappato rientrando dalla cena con lo staff di Mondadori (e limitrofi) in un ristorantino riminese in faccia alla Rocca Malatestiana che era tutto vini naturali e vegetarianesimo ricercato.
Non so come dire la cosa che dirò senza che sembri body shaming, la dirò lo stesso ma mi assumo la responsabilità delle reazioni che potrò suscitare: come molte persone, sono rimasta colpita dal fatto che quasi nessuna delle persone in prima fila fosse esente da interventi dermoestetici più o meno invasivi. Insomma, c’erano dei gran filler, evidenti, inequivocabili. Gente di sessant’anni e passa con la faccia distesa e vagamente gonfia di chi ogni sei mesi fa il tagliando. E a ripensarci, anche questo fa parte dell’eredità di Silvio, uno la cui disciplina del corpo andava ben oltre l’ordinario.
Lo prendevamo un po’ in giro, no? Per i trapianti di capelli, per i lifting, il cerone, l’ossessione per l’aspetto giovanile che con il passare degli anni era sempre più caricaturale, perché non c’è niente da fare, da un certo punto in poi non sembri giovane ma sembri un vecchio stirato (o una vecchia, la questione vale anche per le donne, anzi, vale doppio). Lo ha indirettamente confermato anche Italo Bocchino, che si fa fare i ritocchini direttamente dalla compagna (e credo ci sia qualche problemino di deontologia professionale, qui, ma potrei sbagliarmi3): fra le cose di cui stentiamo a liberarci c’è anche l’idea che il nostro corpo debba essere soggetto a ristrutturazioni periodiche, non per noi ma per una sorta di buona educazione che ci spinge a considerare l’apparire sciatti (qualunque cosa significhi) come un oltraggio all’estetica pubblica.
Gli anni in cui Berlusconi ha creato e lanciato le televisioni private sono stati anni in cui i corpi femminili modificati sono diventati la norma. I seni, naturali o riempiti di silicone, erano ovunque: la tetta era una costante della TV degli anni ‘80, una tetta rinforzata, compressa e rialzata, servita allo spettatore insieme ai popcorn finti incollati ai vassoi delle ragazze Fast Food.
Per il resto, come mi faceva notare giustamente un’amica, il funerale di Berlusconi ha evidenziato la pochezza del suo lascito politico e della sua rete di relazioni a livello internazionale. Tutto quel magnificare la sua grandezza come statista, e al funerale c’erano solo ed esclusivamente le figure create e nutrite da lui, in televisione, nel business, nello sport e nella politica: Barbara D’Urso in posizione da prefica, Maria De Filippi in sneakers, qualche industriale di successo, i politici nostrani (molti, temo, per accertarsi che fosse davvero morto: incluso qualcuno dei suoi) e basta. Presidenti, persone influenti, politici in carica in Europa e nel mondo: zero. Forza Italia viene consegnato alla storia come un partito costruito sul culto della personalità, che per sopravvivere ha già annunciato di voler conservare il nome del suo fondatore nel simbolo. Tanto le idee non esistevano, esistevano solo Silvio e le sue volontà, intuizioni e necessità contingenti. Ormai tutto è cenere. Lo sanno loro e lo sappiamo noi.
Tornando un attimo ai filler, vorrei dire una cosa che forse non è simpatica, ma la dico perché ha una rilevanza collettiva (e si inserisce nel solco che ho tracciato con Brutta). Ho deciso di smettere di seguire sui social una persona che conosco da tempo, e che da un annetto in qua fa poco altro che dettagliare la quantità di interventi estetici anche molto invasivi a cui si è sottoposta. Suo il corpo e sue le decisioni, ma per me stava diventando molto triggerante, come direbbero i giovani: molti dei “difetti” che lei ha deciso di correggere con la chirurgia sono anche i miei, e sentirla raccontare che si è fatta riempire il solco delle occhiaie con il suo stesso grasso accende in me una vocina che mi dice: perché non lo fai anche tu? Così non ci pensi più. Certo, costa un po’ e dà tutto un altro significato all’espressione “avere la faccia come il culo”, ma
MA COSA, cosa?
Lasciamo perdere che gli interventi estetici sono una questione di classe sociale e di soldi, ed è inutile dire “Se vuoi i soldi li trovi”: certo che li trovo, ma i soldi non sono una risorsa infinita, almeno per me, e se mi ritrovo un millino che mi cresce lo metto in un viaggio, non nel farmi prelevare l’adipe dalle chiappe per iniettarmelo sopra gli zigomi. Il punto qua è che io non dovrei sentirmi costantemente pressata, non dovrei sentirmi come se il mio corpo fosse un cantiere aperto, tipo le buche di Torpigna che ne tappi una e se ne aprono tre. Voglio vivere e vivermi, non modificarmi di continuo per inseguire un’idea di giovinezza che è sempre, necessariamente, temporanea e che non serve a me, serve solo a tenermi dentro i ranghi dell’accettabilità sociale. Quindi mi sono detta: ciao. Tu continua a fare quello che fai, ma io ho il diritto di difendermi dalla tua insicurezza che si scarica sulla mia.
Questa però è una risposta individuale a un problema collettivo, vale a dire il modo in cui parliamo dei nostri corpi, li presentiamo e li portiamo nel mondo. Mettiamola così: smettere di seguire qualcuno in silenzio è una soluzione individuale. Problematizzare la reazione che questo uso dei social - e in generale, il nostro atteggiamento intorno al corpo e all’invecchiamento e ai contenuti che cercano di normalizzare il ricorso alla chirurgia estetica come mezzo per “piacersi”, senza mai interrogarsi sulla pressione che ci spinge ad adeguarci a quello standard - è una forma di risposta collettiva. Non è una cosa personale, e non ho nemmeno una posizione definitiva sulla questione. Per ora, “Non seguire più” e scrivere questo pezzo della newsletter mi devono bastare.
E finalmente: libri!
Non credo che Stefano Nazzi abbia bisogno di promozione, ma dato che qualche tempo fa avevo segnalato che stavo leggendo il suo libro, Il volto del male, che conserva nelle sue pagine tutto quello che ci piace di Indagini: l’asciuttezza, il non indugiare nei particolari macabri, la chiarezza, il mettere in fila fatti con pochissime opinioni e quasi nessuna considerazione personale. L’estate inizia oggi, e questo è un libro da bordo piscina straordinario.
Un’altra donna di Jennifer Guerra è “bordo piscina” solo per le femministe affamate di saggi, ma è contemporaneamente il libro che stavamo aspettando in risposta alla continua, ossessiva domanda delle TERF: “Che cos’è una donna?” Posto che per me le donne sono un chi e non un cosa, e che la continua oggettivazione della femminilità ci inchioda all’essere cose e non persone (e dovrei aprire un capitolo molto lungo su cosa questo comporti), la decostruzione del concetto di “donna” da parte delle Fourth Waver è necessaria, perché ogni generazione manda avanti il discorso iniziato da Simone De Beauvoir con Il secondo sesso. Ed è proprio da lì che parte il discorso di Jennifer4, da quell’opera e dal suo radicamento nella cultura generale, per tracciare un profilo del concetto di “donna”. Bisognerebbe farlo anche con il concetto di “uomo”, per fortuna se ne sta occupando (anche se in maniera indiretta) Lorenzo Gasparrini.
Ultimo in ordine di apparizione, un libro molto adatto alle più giovani: ANTI manuale della bellezza di Dalila Bagnuli offre una riflessione sul concetto di bellezza e di pressione estetica a misura di ragazza, ma farebbe molto bene in generale a tutti gli esseri umani che si riconoscono nel concetto di “femmina”, perché abbiamo tutte lo stesso problema e a volte serve qualcuno che ce lo spieghi in maniera semplice.
Infine…
Ultime settimane di sfacchinata per me, che poi non è che proprio tiri i remi in barca, come si dice, ma vorrei concentrarmi di più sulla scrittura (prima che la mia editor mi venga a cercare a casa con una mazza da baseball in mano5). Dopodomani, 22 giugno, sono a Catania per Women in Charge on Tour.
Il 29 giugno è la data scelta per la mia lezione online con Scuola Holden dal titolo Ridere. Si parla di umorismo e dei meccanismi che lo regolano, e dato che nei prossimi giorni vado a casa dei miei potrò attingere alla mia vasta libreria di testi umoristici, che mi hanno formata nell’adolescenza e che ancora adesso quando li apro mi fanno scompisciare.
Dai che l’amo sfangata, zi’.
Giulia
Numero in progressiva riduzione causa spopolamento.
Non sono sicura che ne esista uno di sinistra, ma è una discussione da fare in un altro momento.
E manco solo quello: a leggere l’articolo che ho linkato, viene fuori un concentrato di avance aggressive (ti saresti fatto trovare dove, Italo? Ma io te cacciavo a calci) e sfiducia nel partner (lei che lo fa seguire da un investigatore privato, ma perché?) che fa accapponare la pelle, tutto fatto passare come la norma, ma vabbe’. Alla fine, se ci si pensa, tutto si tiene.
Che chiamo per nome perché abbiamo diviso lo spazio abbastanza volte da rendere ridicola ogni altra opzione in questa sede specifica, ma il mio rispetto per il suo lavoro è assoluto.
“Le cavallette, Lydia, le cavallette!”
Credo di seguire la persona di cui parli relativamente agli interventi estetici. Non mi interessano molto in sé, ma mi interessa molto il modo in cui risponde alle critiche e mi aiuta a farmi un'idea sull' argomento. Quindi trovo utile in qualche modo la sua divulgazione, anche se paradossalmente il concetto che porta avanti è "sono affari miei". Sto sperimentando su di me un nuovo rapporto con il mio corpo e con i miei difetti, rifiuto in toto i luoghi comuni, le diete, e i commenti sui corpi degli altri. Glisso gentilmente quando mi arrivano commenti sul corpo, siano positivi o negativi e sto cercando di capire profondamente cosa voglio io per me. E' un percorso a tratti doloroso, non so dove mi porterà, ma devo dire che le diete e gli interventi estetici degli altri non mi creano più disagio.
Vedendo sul Post le foto del funerale di Berlusconi ho pensato "Certo che quelli di destra si riconoscono anche dalla faccia". Le lampade, il biondo platino, il filler... Tu l'hai detto meglio :)