Non so se questa cosa che sto per dire sia comune fra chi scrive, ma penso di sì. Cose mai successe è arrivato in libreria il 2 aprile, e in quel momento ha smesso di esistere solo per me. Per oltre due anni questa storia è stata al centro dei miei pensieri (con una pausa giusto per scrivere e pubblicare Scintilla nel buio: ma sapevo che dall’altra parte c’era ancora il paese e c’erano quelle quattro donne lì). Due anni, quasi tre, tutto considerato, perché a dicembre 2021 ci stavo già pensando da un po’. Due anni, in cui quel romanzo ha ingombrato la mia vita intellettiva e mi è sembrato l’unica cosa che contava. Adesso è fuori, e la cosa che nessuno di noi riesce davvero a capire è come mai quella cosa così grande e importante non sia il centro del mondo anche per tutto il resto del genere umano.
Poi passa, e ognuno la vive in modo diverso: io in generale risolvo cominciando a scrivere - o quantomeno a incubare - qualcosa di nuovo, in una sorta di chiodo scaccia chiodo della creatività, altre persone vivono il lutto finché non si sentono pronte, altre ancora si tuffano nella promozione. Dipende. Era per dire che la scrittura è un meccanismo emotivo strano: ci devi stare dentro in maniera assoluta, e quando hai finito è sempre frustrante confrontarsi con il fatto che nello stesso giorno in cui esci tu, altre persone arrivano in libreria con una cosa nuova e pensano, allo stesso modo: perché il mondo non si arresta con un drammatico tema di archi e fiati?
Comunque: stasera ci vediamo da Mosso, a Milano.
Ho detto una cazzata su internet
Parlando di scrittura, eccoci al tema portante di questa newsletter, che è in realtà c’entra solo in parte. Qualche giorno fa ho scritto su Threads una cosa che conteneva delle cose vere, ma pure una grossa cazzata. La riporto qui per completezza, poi ne parliamo con calma.
Ci sono molte cose qui che sono vere, ma pure qualcuna che non è del tutto vera e che ha finito per attirarmi le giuste ire di chi pubblica in self, prima di tutto, pagandosi tutta la filiera dell’editing, della copertina e (suppongo) anche della promozione. La prima cosa da dire, quindi è: sì, era una cazzata, e ringrazio chi me l’ha spiegato con maggiore o minore durezza, adesso so cose che prima non sapevo. Le shitstorm non servono a niente, ma - almeno con me - se mi spieghi le cose non solo non sono de coccio, ma non ho problemi ad ammettere di essermi sbagliata. Anche se siamo su internet, e come dice il vecchio adagio, su internet nessuno ha mai torto.
Avendo pubblicato la prima cosa nel 2001 con un piccolo editore ed essendomi mossa da lì quasi subito verso l’editoria major (i primi due racconti pubblicati in antologie di Stile Libero si sono evoluti in una raccolta tutta mia, sempre con Stile Libero; da lì sono rimasta sempre nel gruppo Mondadori, anche se non sotto la stessa etichetta) mi ha tagliata fuori non solo da un mondo che nel frattempo si è evoluto, ma anche dalla necessità di rientrarci. Il che non significa che non ci abbia mai pensato: significa che per me (e per il mio percorso professionale) era consigliabile fare altre scelte.
La pubblicazione con una casa editrice tradizionale mi garantisce un anticipo, l’assistenza di editor e persone che si occupano di correzione delle bozze, un ufficio stampa ed eventi, un reparto digital che si occupa della promozione online, oltre che - ovviamente - la distribuzione nelle librerie. A questo si aggiunge il fatto di essere inserita in un progetto editoriale ideato da qualcuno che non sono io, e che investe nel mio lavoro, inserendomi nel quadro più ampio dell’offerta culturale del paese. Da lì in poi, le variabili sono diverse: la qualità del mio lavoro, la capacità di attirare l’attenzione dei media di massa, eventuali premi a cui potrei essere o meno candidata, la disponibilità di chi mi segue a leggere quello che scrivo, e via dicendo. Che in Italia si venda poco è comunque un fatto già assodato, non serviva far uscire i numeri della dozzina dello Strega per saperlo, ma magari c’è gente che pensava che con i libri si guadagnino tanti soldi.
Chi fa una scelta diversa parte anche da un punto di vista diverso (chi ha risposto a quel thread me l’ha spiegato chiaramente) e potrebbe avere obiettivi diversi dai miei. Non avendo praticamente mai lavorato con piccoli editori, non ho mai dovuto gestire fallimenti, anticipi che non c’erano, distribuzione inesistente. Di editor con cui non ho lavorato granché bene ne ho incontrati, invece, tanto che quando sono arrivata a Rizzoli mi sono piantata dov’ero e ho chiesto di continuare ad affidarmi a Lydia Salerno anche quando sono tornata a fare narrativa.
Di sicuro ci sono alcune cose: la prima è che per ogni autore o autrice che mette in piedi una squadra di produzione per pubblicare i suoi libri ce ne sono tantissimi che buttano su quello che esce dalla loro tastiera senza lavorarlo. Uno su tutti quel certo generale, il cui tomo d’esordio è una nota monnezza non solo dal punto di vista dei contenuti, ma anche della formulazione. Peccare di hubris, quando si è al controllo della propria filiera, è davvero un attimo. Del resto, anche dalle case editrici più grosse esce della notevole monnezza: ogni tanto qualcosa atterra inspiegabilmente a casa mia, e io mi domando perché (ma soprattutto, cosa ho fatto di male per meritarmi dei libri brutti, quando già non so dove mettere quelli belli).
Ora vi dirò una cosa che non è proprio una novità fra chi frequenta l’ambiente della cultura, ed è questa: è un ambiente di uno snobismo assoluto, dovuto in parte alla necessità di autoconservazione (escono davvero tanti libri: qualche criterio di selezione bisognerà pure averlo) e in parte al fatto che un sacco di gente1 si crede parte di un’elite di intellettuali in grado di sollevare le sorti del mondo e rivelare aspetti inediti dell’umano2. Chi vive e scrive in questo ambiente così snob deve fare a cazzotti per aggiudicarsi il pochissimo spazio sui quotidiani che ti consente di staccare il biglietto per un premio, che a sua volta ti permette di vendere delle copie.
Questo è difficilissimo già se pubblichi con il gruppo Mondazzoli. Se pubblichi in self, la probabilità di avere un riconoscimento da parte dell’ambiente della cultura sfiora lo zero. Può anche non interessarti, ma questo è.
Quello che l’industria del self-publishing ci dice dell’editoria tradizionale
Se così tanta gente opta per l’autoproduzione non è (solo) perché non riesce a mettere un piede nell’editoria tradizionale, anzi. Se il mercato del self-publishing è cresciuto così tanto, è anche perché l’editoria tradizionale è sempre meno efficiente e sempre più legata a considerazioni che esulano dalla qualità dell’opera. Troppo spesso si pubblica gente perché è seguita sui social, e non perché ha scritto qualcosa di valido; altrettanto spesso si prelevano lavori che hanno avuto successo su Wattpad per rimetterli in commercio, e così facendo si finisce per avvelenare il gusto dei lettori e delle lettrici, che andrebbe invece nutrito.
L’editoria è in crisi, nessuno legge più, gli intellettuali non sanno parlare alla gente: ce lo siamo detto mille volte, eppure stiamo sempre lì, sempre sprovvisti di soluzioni di lungo termine, e per giunta alle prese con un governo di destra che sembra essere impegnato a tempo pieno a spartirsi poltrone, più che a fare crescere la cultura in Italia. La cultura è il diserbante delle destre, e viceversa. Le due cose non possono coesistere. Nemmeno i ministri di altri colori politici, tuttavia, hanno saputo o voluto fare qualcosa perché la lettura tornasse a essere un’attività regolare degli italiani. Se ci aggiungiamo lo scollamento fra chi fa cultura e chi ne dovrebbe fruire (che è grave, e non è iniziato oggi), è facile vedere perché chi scrive rosa erotici (o fantasy, o quello che volete) preferisce cacciarne due all’anno da mettere su Amazon, piuttosto che fare la trafila di una pubblicazione “tradizionale” che rischia di vendere altrettanto poco, ma con un guadagno molto inferiore.
È un’altra industria, i cui attori principali - si potrebbe dire - non guardano al riconoscimento dell’ambiente letterario, ma a essere letti. Cosa che con le case editrici tradizionali non è scontata, soprattutto da quando le librerie indipendenti si sono diradate, sostituite da grandi catene di proprietà di gruppi editoriali che si orientano per lo più sulla propria offerta e non fanno selezione all’ingresso. Poi esiste pure questa cosa che si chiama BookTok, le influencer che parlano di libri su TikTok e che sono in grado di spostare milioni di copie di qualunque cosa trovino interessante, coinvolgente e degna di essere letta. A volte, purtroppo, è: monnezza. Dal punto di vista estetico, dei contenuti e della scrittura, è l’equivalente del junk food. E va bene! Non esistono piaceri colpevoli. Ognuno legge un po’ quello che vuole.
Però un dato rimane: la crisi dell’editoria passa anche per la disaffezione di molti autori, e per la (sospetta) migrazione di una fetta dei lettori verso un settore industriale capace forse di restituire il piacere della scoperta, il senso di aver scovato una gemma, qualcosa di unico e speciale, a fronte di un mercato del libro sempre più saturo, da un lato, e sempre più irrigidito su pochi nomi, titoli e visioni artistiche, ancorato a totem di un passato letterario che si fa paradigma rigidissimo, o scrivi come Arbasino o neanche ti guardiamo. E, come evidenzia la perdurante polemica tutta fra maschi sulle donne nella narrativa, affetto da una misoginia endemica che declassa la scrittura delle donne, a meno che non scrivano di quello che piace al maschio medio.
Vabbe’, l’ho fatta lunga: ho detto una cazzata, ci ho pensato su, e parte di quello che ho pensato è finito qui dentro. Non è andata così male.
Le altre date
Velocemente, perché è già lunghissima:
Tour di Brutta con Q&A mio tranne che nelle date con l’asterisco:
12 aprile - Torino, OffTopic
18 aprile - Pisa, Caracol*
20 aprile - Firenze, Laboratorio Puccini*
26 aprile - Terlizzi (BA), ingresso gratuito!
28 aprile - Taranto, Spazio Porto
4 maggio - Perugia, Auditorium S. Francesco
15 maggio - Milano, ARCI Bellezza
Prossime presentazioni di Cose mai successe:
17 maggio - Terni, Casa delle donne
18 maggio - Pomezia (RM), Libreria Odradek
31 maggio - Bologna, Serre dei Giardini Margherita
Altre date:
17 aprile - Festival dei Giovani di Gaeta
19 aprile - Gubbio (PG), per La città delle donne
20 e 21 aprile - Festival del giornalismo di Perugia. I panel a cui partecipo sono diventati tre:
20 aprile, ore 17.00-17.50: Veri uomini, il sistema che ‘’uccide’’ le donne e non solo; a seguire, ore 19.00-19.50: Anche la ricerca scientifica ha un problema di genere
21 aprile, ore 20.00-21.15: Queer libera tuttǝ
Ciao!
Giulia
In prevalenza di genere maschile.
Si crede stocazzo.
Il tema è molto interessante, quindi credo che tu abbia fatto comunque bene ad articolare in modo molto completo una serie di pregiudizi estremamente radicati sul mondo del self-publishing che dicono - secondo me - relativamente poco degli autori che scelgono questa modalità e moltissimo invece di quello che ci piace chiamare “mondo della cultura”. Io, che ho frequentato il mondo dell’editoria da entrambi i lati della barricata, provo a fare l’avvocato del (povero) diavolo e a ribaltare il tuo ragionamento, sperando sia uno spunto di riflessione interessante. Chi oggi sceglie la strada dell’editoria tradizionale, piuttosto che il self-publishing, lo fa per pigrizia (non ha voglia di capire come funziona la filiera dell’industria nella quale opera o di investire del tempo nell’acquisizione di competenze accessorie alla scrittura) o per insicurezza (ossia perché crede di potersi considerare un autore vero solo se ha la validazione di un editore). Sceglie così di accontentarsi di anticipi molto spesso decisamente miseri, a fronte di una enorme quantità di lavoro che non finisce con la consegna del file Word con dentro il libro, ma continua con sfiancanti presentazioni in giro per l’Italia, in cui - se va bene- vendi 20/30 copie, ovvero 35 euro di vendite che ti verranno corrisposti un anno dopo, per un lavoro che tra andata, ritorno e pernottamento ti è costato due giorni della tua vita. Però ti dà l’idea di essere rilevante. E di permette di postare sui social foto di presentazioni nella speranza di creare l’effetto che c’è un gran numero di persone che non aspetta altro che di sapere quello che io ho da dire. L’editoria tradizionale si nutre di questa fragilità dell’ego degli autori. Li sfrutta, genera un meccanismo che fa sì che a scrivere per vivere possano essere solo persone di borghesia medio alta, e non si occupa della promozione in modo sensato o efficace, perché non ha investito un euro nell’acquisizione delle competenze per farlo. Questo comporta l’approccio detto “spray and pray”: provo a fare delle cose random nella speranza che qualcosa funzioni, ma senza avere alcuna contezza di cosa mi sposta davvero le vendite di quel libro, perché non c’è tempo o risorse di creare un piano sartoriale su quel singolo progetto. Chi fa self-publishing non per vanità, ma perché ha voglia di sperimentare oltre i recinti dorati (ma ormai decisamente scrostati) dell’editoria tradizionale, invece, può costruire campagne specifiche su quello che sta cercando di dire, sul pubblico che sta cercando di raggiungere, può misurare quali delle iniziative che mette in campo sono più efficaci e può usare in modo più libero il surplus della % di roy (quello che normalmente viene diviso tra editore e distributore) per mettere a punto un piano che incontri i lettori dove sono. Una missione nobile, per chiunque creda che i libri e la lettura siano davvero strumenti di democrazia, e non il futile esercizio di chi se lo può permettere. Inoltre, non è vero che coi libri non si fanno soldi. Sui libri sono costruiti imperi: è solo che - come in molti altri ambiti della società- la polarizzazione dei profitti è sempre più estrema. Sperimentare col self-publishing, quindi, è anche un modo di creare alternative all’estrema disfunzionalità del sistema esistente. Lunga vita ai coraggiosi renegades del mondo dei libri, dunque. ❤️
Oddio, una persona che ammette un errore senza giri di parole: se è un sogno non svegliatemi. Grazie, Giulia!