La destra, la sinistra e l'autoironia
Questa settimana: le reazioni stizzite a una canzone di Colapesce Dimartino, un thread srotolato che mi pare importante, una cosa che ho letto e una che sto vedendo
Questa settimana non avevo molta voglia di scrivere.
Penso sia condiviso. La situazione politica nazionale e internazionale genera un senso di impotenza a cui in molti rispondono con ogni mezzo a loro disposizione, anche solo per non deprimersi. Ho pensato di usare questo spazio per attaccare briga di nuovo, poi mi sono detta: no. Non è né il giorno né il momento, anzi: sarebbe solo l’ennesima occasione per spostare il focus lontano da quello che sta davvero succedendo, che è un genocidio in piena regola. Allora niente, continuo a seguire le notizie, salto da un canale all’altro, da un TG all’altro, urlo insulti al televisore come una nonna rincoglionita, sto male.
È normale.
Allora passiamo alle cose frivole, dai, perché il 3 novembre è uscito il nuovo album di Colapesce Dimartino, ma non voglio parlare di quello (è un bellissimo album, ok, ma se l’hai sentito magari lo sai già). Voglio parlare di una canzone in particolare, anzi, delle reazioni che ha suscitato.
La canzone è questa.
Affrontare un tema sociale in una canzone è sempre complesso. È un attimo, ma veramente un attimo, che ti ritrovi a fare la retorica alla Fabrizio Moro, “pensa prima di sparare, pensa prima di dire di giudicare, pensa che puoi decidere tu”, e sta parlando della camorra: io vorrei trovare uno, ma uno solo che dopo aver sentito quella canzone si è licenziato dalla criminalità organizzata per trovare ‘na fatica onesta. Magari mi sbaglio, eh. Fabrizio, non te la prendere. Ché già quando canti sembri uno che ti sta imbruttendo al semaforo sul Lungotevere.
Insomma, cantare di ragazzi di destra era pericoloso. ColaDima hanno deciso di farlo in una forma quasi narrativa, in cui il “tu” rivolto al ragazzo di destra è costellato di immagini associate a un’iconografia riconoscibile, allo stereotipo del fascistello di provincia. Può piacere o non piacere, non è questo il punto: il punto è che giornali e opinionisti di destra si sono scatenati. Offesissimi. Partiamo da Francesco Giubilei, uno che si sta costruendo una carriera interpretando il ragazzo di destra nei talk show.
Ci tengo a ricordare, qui, che se si vuole esercitare un’attività intellettuale di qualsiasi tipo è importante individuare una serie di soggetti a cui non si deve assolutamente piacere, e per me Giubilei sta nello stesso campionato di Salvini, Gasparri e Hoara Borselli: uno che se ti dice “bravo” stai sicuro che stai sbagliando qualcosa, e pure di brutto. Ma perché Giubilei dovrebbe dare attenzione a una canzonetta? Che gliene frega? La risposta arriva da questo passaggio di un articolo scritto da Fabrizio Biasin per Libero.
È una presa per il culo? Sì, probabile, non lo so: il punto è che il commentatore di destra la interpreta così, e la prende malissimo. Perché la destra, fra le altre cose, non ha nella sua cultura l’autoironia, uno stile comunicativo che prevede innanzitutto un’enorme fiducia nella bontà della propria proposta, e in seconda battuta la capacità di metterne in discussione le modalità, le finalità, i successi e gli insuccessi. La sinistra, bene o male, si evolve anche attraverso quella dialettica e la capacità di guardarsi da fuori e ridere di sé stessa: quella che da decenni viene chiamata “crisi della sinistra” è in realtà più che altro la crisi della sua classe dirigente. Lì dove la classe dirigente è adeguata e capace di coinvolgere le persone, la sinistra vince e convince. La destra non ride mai delle sue idee, perché non le può mettere in discussione né cambiare. Sono sempre quelle, da cent’anni. Figli per la Patria. Dio patria e famiglia. No alla sostituzione etnica. L’ordine naturale (il fatto che lo chiamino “no gender” cambia poco, eh). Stanno così, inchiodati al 1922.
Domenica sera ci siamo finalmente visti Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti, e a parte tutto, bastava il cartello finale (che non spoilero per chi non l’avesse visto) a ricordarci come gli intellettuali di sinistra, con tutti i loro limiti, sono sempre stati bravissimi a ridere dei fallimenti ideologici, pratici e strategici della parte politica in cui avevano scelto di credere. Ma pure Ferie d’agosto di Virzì è abbastanza notevole nel rappresentare, attraverso la commedia, vizi e virtù della borghesia colta che si crede superiore al popolo, e non si accorge che ha perso il contatto con la realtà e la capacità di incidere.
Questo significa che la destra non ride? No, non significa questo, anzi: il ridicolo degli avversari politici è un’arma che la destra ha sempre usato con grande liberalità (quando non li fa menare, si capisce). Il “comunista trinariciuto”, inventato da Giovanni Guareschi per descrivere la fede cieca nel partito esibita dai militanti del PCI, è solo uno dei tanti esempi di satira aggressiva con cui nei decenni i conservatori hanno bersagliato chi la pensava diversamente da loro.
Quello a cui non sono abituati è che la sinistra ricambi la cortesia, perché il PCI non ci andò mai giù davvero pesante con la DC1 e anche perché in generale fare satira su gente che discende da chi si serviva abitualmente di torture, campi di sterminio e omicidi politici è piuttosto complicato, c’è riuscito giusto Corrado Guzzanti con Fascisti su Marte. In generale, le destre chiamano la denuncia, non il perculo. Insomma, a destra sono abituati a essere chiamati in causa con durezza, non presi per i fondelli in maniera plateale o ridotti a uno stereotipo, nonostante quella sia proprio l’arma (anche politica) con cui più spesso attaccano gli oppositori. E quindi quelli dei centri sociali sono tutti perdigiorno strafatti e violenti, le femministe sono delle pazze che odiano gli uomini, la sinistra della ZTL, i radical chic, e via dicendo: ma una canzone che parla di un ragazzo di destra col bomberino e il manganello è inaccettabile.
Oh, intendiamoci, non penso che Ragazzo di destra serva a orientare il dibattito pubblico sulla selezione della classe dirigente insediata dall’attuale maggioranza di governo (che forse è una discussione che dovremmo fare seriamente, non a forza di battute). È una canzone. Le canzoni devono fare le canzoni. Ma intanto ha fatto incazza’ i fasci. Portiamola a casa.
La proposta del “premierato forte” segna un punto di non ritorno nella dissoluzione della democrazia
L’ho spiegato in un thread su Twitter che trovi qui, tutto srotolato. Un estratto:
Una cosa che sto vedendo
Su Prime Video è arrivata la quinta stagione di The Handmaid’s Tale, che nel tempo si è evoluto da storia di resistenza incentrata su una donna oppressa e schiavizzata a studio degli effetti del trauma prolungato sui sopravvissuti, ma anche - grazie a una Yvonne Strahovski pazzesca, villain suprema - del dilemma della donna conservatrice che chiede per sé lo stesso spazio di autonomia decisionale che nega o pretende di negare alle altre, e che finisce inevitabilmente per scontrarsi con il predominio maschile che è alla base della sua stessa ideologia. Serena Joy Waterford, architetta di un mondo in cui le donne sono schiave di altre donne e tutte insieme sono al servizio degli uomini, un mondo che non ha esitato a mutilarla quando ha osato avanzare richieste in contraddizione con gli stessi principi che lei aveva contribuito a stabilire, pensa che le regole valgano per tutte ma non per lei. Dietro questa convinzione c’è il classismo: lei è ricca, potente, privilegiata. Le donne che sfrutta e schiavizza, invece, non lo sono.
Non ho potuto fare a meno di pensare ai recenti piagnistei di Giorgia Meloni sulla “misoginia” di nemici mai meglio specificati, quando è proprio la misoginia ad averle permesso di emergere: una donna apertamente ostile nei confronti delle altre donne (e nello specifico delle femministe, abituate ad agire come collettività) è un’arma per il patriarcato. Non pensa mai di poterne essere vittima.
Una cosa che ho letto (quasi due)
Me l’ero comprato anni fa, l’ho pescato dalla pila dei fumetti solo ora ma è molto godibile: Troppo facile amarti in vacanza di Giacomo Keison Bevilacqua, anche noto al mondo come l’autore della striscia A panda piace. È un distopico che oscilla fra la dolcezza di paesaggi meravigliosi e la satira sociale. Mi è piaciuto molto.
Mi è anche piovuto in casa nel momento in cui chiudevo la newsletter I ragazzi possono essere femministi? di Lorenzo Gasparrini e Cristina Portolano, in cui Lorenzo ha messo le parole e Cristina i disegni. È il testo che aspettavamo da un po’, e che mette le basi dell’autodeterminazione e autocoscienza dei giovani maschi in un modo facile e accessibile. Ci tornerò, perché vale la pena di parlarne in maniera più approfondita.
Le date
Sono quasi le stesse della settimana scorsa, con l’aggiunta di - se confermata, perché queste cose saltano facilmente in caso di breaking news - una partecipazione a uno dei Live In di Sky da Genova, il 17 novembre. Ma quella si vede in televisione.
Il 18 novembre sono a Udine per il Fake News Festival. Dettagli sull’evento a questo link.
Il 23 partecipo all’iniziativa Non ballo da sola, che si terrà a Firenze alla Sala Vanni. Altri dettagli in arrivo.
Il 24 sono a San Marino per un evento che si svolgerà al Teatro Titano dalle 15.00 alle 18.00, intitolato Parole contro la violenza di genere.
Il 25 spero di essere in corteo con Non una di meno.
Il 28 novembre presento Sangue cattivo di Beatrice Galluzzi alla libreria Zalib. Ne ho parlato qui.
A martedì prossimo, ciao!
Giulia
Questa storia è spiegata molto bene da un podcast: L’ombelico di un mondo, pubblicato da Il Post, in cui si raccontano le origini del PCI e anche la formazione della sua classe dirigente.
Grazie per aver menzionato il libro "I ragazzi possono essere femministi?" spero di aver fatto un buon lavoro con i testi di Lorenzo! Poi al parallelismo Serena Joy - Giorgia Meloni ci penso da un po' anche io. Mi sembra di stare in una serie tv che diventa realtà!
ah i mimimmi!