La pizza Rossini è come il femminismo
Questa settimana: denatalità e paternalismo, una metafora di un certo successo, e una questione grammaticale che è una questione ontologica.
Stavo per mandare la newsletter, e intanto ascoltavo Morning, come faccio quasi ogni mattina. E proprio stamattina Francesco Costa ha scelto di leggere la mail di un’ascoltatrice, a occhio non giovanissima o comunque almeno cinquantenne, che parla di quello che secondo lei è un motivo fondamentale per cui le persone non fanno figli: l’ansia per il futuro. A cui il vicedirettore de Il Post risponde più o meno così: non è vero che nessuno fa niente per impedire la catastrofe (l’ascoltatrice diceva “abbastanza”: è una distinzione rilevante), e comunque se raddoppiassimo lo stipendio a tutti forse qualcosa cambierebbe.
Approfitto del fatto che Morning è disponibile gratuitamente sull’app de Il Post per rimandare all’ascolto, ma vorrei dire una cosa: i figli non sono una questione economica. I figli sono un elemento fondante di un progetto di vita. In altri tempi, il progetto di vita - delle donne, nello specifico - aveva i figli incorporati: sei donna, fai figli. Quasi nessuna metteva in discussione questo assunto, e fino all’invenzione degli anticoncezionali quasi nessuna poteva permetterselo, se non sacrificando i rapporti eterosessuali. Le cose sono cambiate, e adesso i figli sono un modulo estraibile delle nostre vite: possiamo farli, o non farli, e anche se la scelta non è del tutto libera e ancora troppo spesso è dettata dalla mancanza di alternative o dall’appartenenza a culture in cui non averli è considerato un segnale di scarso valore personale, partorire non è obbligatorio.
Una scelta facoltativa è una scelta che si può anche non fare: l’ansia per il futuro è uno dei tanti motivi per cui fare dei figli mette paura, e non può essere messa da parte con un buffetto sulla testa (scusa, eh, Francesco, ma c’era un po’ di Morning, in quel paternalismo: è bene dirlo). Le donne del dopoguerra non erano le donne di oggi. Neanche le donne degli anni ‘70 erano le donne di oggi. Il lavoro culturale incessante (per quanto talvolta intermittente) dei femminismi ha sortito i suoi effetti, e le donne di oggi sono più consce di quello che vogliono dalla vita e dalle relazioni rispetto a quelle che si sposavano sapendo di essere legate a quell’uomo per tutta la vita e senza appello, e che nella maggioranza dei casi non avevano nemmeno considerato l’ipotesi di non sposarsi, non fare figli, realizzarsi in altri modi.
Quindi vero: più servizi, più strutture, stipendi migliori, sicurezza del futuro, tutto giusto. Ma anche: no, non basta. Le spinte identitarie dei fanatici, per cui la maternità deve restare un elemento fondante della femminilità, sortiscono l’effetto contrario su chiunque non condivida quella visione del mondo. Ma soprattutto: chi ce lo fa fare di imbarcarci in una relazione con uomini che in media sono rimasti nel 1955, mentre noi siamo andate avanti? Farci dei figli, magari, e doverci accollare il doppio del lavoro, il doppio dei compiti di cura, perché a loro non passa nemmeno per la testa di considerare la nostra fatica? Nessuno. E allora la conseguenza logica è che un governo di destra punta all’aborto, alla negazione degli anticoncezionali, alla gravidanza obbligatoria.
Anche questa è paura del futuro: vedersi negata la scelta, e vederla negata alle nostre figlie. Investire su una vita che potrebbe esserci portata via da un momento all’altro. Rispondere a queste ansie con il paternalismo, anziché con una robusta organizzazione pro-paternità e responsabilità lato maschile, non risolve niente se non rafforzare l’idea che gli uomini sappiano meglio di noi come va il mondo e come si vive.
Venerdì scorso sono arrivata a Pesaro con una missione, vale a dire: assaggiare finalmente la pizza Rossini. Per chi non lo sapesse, trattasi di una pizza margherita con uovo sodo a fette e maionese, che a dirla così c’è da sentirsi male. Non potrà mica essere buona, no?
Della Rossini mi avevano già parlato non solo gli amici pesaresi, il cui gusto poteva essere viziato dal pregiudizio, ma anche persone vicine a me e non di Pesaro, che la Rossini l’avevano assaggiata con un approccio laico, quasi scientifico: sentiamo un po’ di che sa ‘sta zozzata.
È buona, riga’.
È buona.
A me non piace granché la maionese, posso vivere senza uovo sodo, la margherita ok ma non è la mia pizza di riferimento: tutte queste cose insieme, per qualche motivo (non la fame: avevo ordinato un calzone) funzionano al punto che dopo la prima fetta ne ho presa un’altra e poi un’altra e poi ho pensato che avrei fatto la fine di Mr Creosote1, e mi sono fermata.
Qualche giorno fa, su Il Post è uscito un pezzo dedicato alla pizza Rossini che mi ha colpito molto, perché ho pensato che la Rossini è come il femminismo: chi non l’ha mai assaggiata la schifa, chi invece l’ha mangiata dice che è buonissima. Verificato questo dato (è, in effetti, buona: una zozzata, ma una zozzata buona) ho portato la metafora all’attenzione del pubblico dell’incontro che avevo in programma al festival Percorsi, sabato pomeriggio. Sono lieta di riportare che ha avuto un grandissimo successo.
Tanto per ribadire la cosa di Roccella
Sono andata a parlare di pregiudizi contro le donne anziane con Pasquale Quaranta a La Stampa, e già che c’ero ho detto una cosa che al momento era fresca. Ora l’ha detto un po’ chiunque, ma ripetiamolo. (Qui se hai l’abbonamento a La Repubblica).
Nemo e la morfologia della lingua italiana
Non ho praticamente visto lo Eurovision Song Contest, quest’anno, ma è stato un incidente. Anche se comprendo benissimo le ragioni di chi ha deciso di boicottare la visione, stiamo parlando di un evento piuttosto rilevante per la cultura pop e soprattutto per il mondo queer. Vabbe’, non mi devo giustificare, Palestina libera e se escludi Russia e Bielorussia non c’è motivo per ammettere Israele che non siano i soldi, non era questa la cosa di cui volevo parlare: il problema di oggi riguarda la morfologia (ma pure la grammatica) della lingua italiana, per la quale Nemo, vincitorǝ dello Eurovision Song Contest, non esiste.
Non nel senso che non esiste la persona, quella esiste: quello che non c’è sono le desinenze per raccontarla. Le persone non binarie2 (che quindi non si identificano in maniera netta nel maschile o nel femminile, ma sono a tutti gli effetti di un altro genere) non hanno una collocazione nella lingua italiana. Tutte quelle che conosco di persona finiscono per scegliere un genere grammaticale, almeno nel parlato, o quantomeno si adattano. Non penso sia fantastico per loro, ma semplifica la vita al resto del mondo: invece dovrebbe essere il mondo a fare lo sforzo di adattarsi. Anche se non siamo d’accordo su come.
Fra chi opta per il maschile (ignorando l’identità non binaria di Nemo, e puntando sul genere di assegnazione alla nascita), chi opta per il femminile (scelta marcata e adottata dal cast dell’Ineludibile podcast de Il Post sull’Eurovision: non so se mi sono persa qualcosa) e chi tenta l’adozione del singular they inglese, chiamando Nemo al plurale come se fosse il Mago Otelma (cosa che genera confusione e ignora il fatto che il singular they esiste in inglese almeno dal ‘3003, e quindi ha una tradizione attestata che lo rende accettabile dal punto di vista grammaticale, oltre che comprensibile). Dare del “loro” a Nemo, peraltro, non risolve il problema delle desinenze degli aggettivi, che in italiano si declinano, in inglese no.
Allora come si fa?
La soluzione che mi sembra più morbida l’ho usata anche in questa sezione della newsletter: sì, è a questo - è anche a questo - che serve lo schwa, il simbolo fonetico che indica una vocale neutra, non una delle cinque presenti nell’alfabeto della lingua italiana, ma comunque un suono che nei dialetti del sud si pronuncia normalmente. In inglese corrisponde alla “u” di unbelievable, che non è una “a”, mannaggiattutto4.
È un suono, appunto. Si può associare a un suono nei programmi di lettura automatica e di sintesi vocale. È scalabile (basta mettersi d’accordo per le preposizioni articolate: “allǝ” si può fare “aǝ” no). Probabilmente non piace a Vannacci. Resta solo da capire se siamo abbastanza coraggiosǝ e tenaci da usarlo anche nel parlato: io ogni tanto ci provo, con scarsi risultati, ma non demordo. Altre persone che conosco lo fanno già. Non è impossibile.
Per finire: le date!
Questa sera e domani due repliche di Brutta a Parma e Milano, ai link ci sono i dettagli.
Il 26 maggio sono a Chiari (BS), per Facciamo Rete di Daphne.
Presentazioni di Cose mai successe:
17 maggio - Terni, Casa delle donne
18 maggio - Pomezia (RM), Libreria Odradek
31 maggio - Bologna, Serre dei Giardini Margherita
1 giugno - Alba (CN), Libreria La Torre, per la Notte Bianca delle Librerie
7 giugno - Palermo, Una marina di libri
23 giugno - Pescara, Squilibri Festival
30 giugno - Cividale (UD), Mittelibro
Ci siamo un po’ meritati le vacanze, quest’anno.
A martedì prossimo!
Giulia
Se sei diversamente fan dei Monty Python, si tratta di uno sketch di Monty Python’s Flying Circus su un uomo che mangia e vomita, mangia e vomita, finché qualcuno non gli porta una mentina e quello esplode. È una metafora dell’avidità del capitalismo ed è ancora piuttosto difficile da guardare, ma del resto i Monty Python sono sempre stati disturbanti e scorretti.
Se serve uno spiegone in più per capire meglio di cosa parliamo, l’ho scritto tre anni fa e si trova qui.
La mia fonte è l’Oxford English Dictionary, ma anche Dreyer’s English di Richard Dreyer, un libro spassosissimo e molto utile per chi studia l’inglese seriamente.
Tranne in alcune varianti regionali, e al nord, dove è direttamente una “u”. Il riferimento sono i fratelli Gallagher.
La tua opinione (che, anche in presenza di servizi per la famiglia, la natalità non crescerebbe perché le prospettive sono oggi più varie) è anche corroborata da alcune ricerche. Vedi i grafici nell'articolo "Why family-friendly policies don’t boost birth rates" (che ci piaccia o meno il FT).
«To be clear, family-friendly policies can have other positive impacts on individuals and on society. [...] But when it comes to the heavy lifting on birth rates, culture is far more powerful than policy, often exerting its influence several steps before the point at which childcare costs might become a serious consideration.»
«[A] big factor is shifting priorities for young adults. In 1993, 61 per cent of Americans said having children was important for a fulfilling life, but Pew Research now puts the figure at 26 per cent. A study last year by [demographic economist] Lyman Stone [...] shows that the competing priorities that most erode birth rates among young women are the desires to grow as a person and to focus on their career.»
(peccato il focus solo su young women come se la genitorialità fosse "compito" della donna).
Questa cosa invece risponde a Costa proprio sul tema dell'"ansia generazionale":
«[But of increasing significance] is the sheer amount of anxiety among young adults today. [...] Research from Stone show that the more worried a prospective young mother is, the fewer children she intends to have. Combined with the fact that under-30s in western Europe, east Asia and the Anglosphere are more anxious and stressed than their elders, this may well push birth rates even lower.»
Ciao Giulia, sono contenta che tu abbia scritto dell' Eurovision. Perché mi aveva stupito tanto il fatto che nessuna delle newsletter o sitivl IG che seguo ne avesse parlato. Temo che il boicottaggio di una macchina di soldi e potere così enorme a livello planetario sia un po' come ignorare Vannacci ora che si è candidato alle elezioni: impossibile. Ci sarebbe da parlare di moltissimi argomenti. Il tuo intervento su Nemo è azzeccato. Io ne accenno solo un altro: nel corpo di ballo di Angelina Mango una delle danzatrici era grassa, non conforme. Una cosa che mi ha aperto il cuore e dato speranza.