A mezzanotte meno dieci del 26 febbraio 2023 sto correndo. Lo scrivo per non dimenticarlo: sto correndo lungo via Alberto da Giussano, schivando le pozzanghere lasciate da una pioggia fastidiosa e benedetta, in direzione del comitato elettorale di Elly Schlein. Sono stata richiamata mezz’ora prima da una risposta di Cecilia D’Elia al messaggio su WhatsApp con cui le davo ragione, l’aveva capito solo lei. Dove sei? Vieni qui.
Sì, ero già mezza in pigiama, immobile sul divano, sguardo fisso fra televisore e schermo del telefono, pollice che scorreva in giù per fare refresh sui risultati diffusi da YouTrend in tempo reale. Ero “in tenuta da 3%”, per rubare una battuta che ci siamo fatti in comitato mentre si stappava lo spumante. Pronta a gestire la delusione. Quella per le regionali è ancora in fase di elaborazione: potevo metterla in coda ed elaborarle insieme, alla fine si somigliano, no? Due sconfitte prevedibili. Invece, come in un film indipendente, sto correndo con le Superstar ai piedi e Cracker Island dei Gorillaz in cuffia.
Duro circa trenta secondi, poi il tendine d’Achille sinistro mi ricorda con uno strappo doloroso che se proprio devo correre, non posso farlo con quelle scarpe lì. Ho cinquant’anni, e per la prima volta in vita mia sto andando a festeggiare la vittoria di qualcuno che ho sostenuto senza alcuna prudenza, e che ha vinto contro ogni aspettativa. Si rimette a piovere. È il 26 febbraio 2023, Elly Schlein sta facendo il suo discorso della vittoria e io sono per strada, di notte, fradicia e incredula. Perché non ho preso il motorino? Non lo so. Corri. Dài.
Come si fa l’analisi della vittoria? Io non lo so, ma forse la vittoria è una di quelle cose che non vanno analizzate, vanno vissute: e quando Elly mi prende per le spalle e mi dice “Abbiamo una segretaria di partito femminista!” io rimango a bocca aperta come una carpa in secca. Lì dove di solito ci sono molte parole, ora ho le praterie dell’Oklahoma. Il deserto del Gobi. Non so che dire, non ci credo: non ci credevo neanche quando ho visto su YouTrend che il vantaggio era incolmabile, quasi nemmeno quando Stefano Bonaccini ha fatto il suo dignitoso discorso di accettazione della sconfitta e stavo già piangendo. Continuo a pensare che sia uno di quei sogni iperrealisti che faccio ogni tanto e da cui mi sveglio triste e frustrata per la distanza fra la realtà e i desideri del mio inconscio.
Invece sono dentro lo Spazio Diamante, Elly sta per parlare ai sostenitori, fa un caldo tremendo, incontro gente che abbraccio senza capire niente, abbraccio gente con cui fino a quel punto i rapporti erano tipo “Ehi ciao, come va?”, non sono in me, non sta succedendo, non è possibile, e invece.
È successo.
Veniamo alle cose serie
So che nessuno è qua per sentire me che parlo come se il Congresso del PD l’avessi vinto io, quindi passiamo alla parte meno Disco Samba della newsletter e parliamo di cosa è successo davvero. Che non è “Una Donna vince le Primarie del PD”, beninteso: sì, Elly Schlein è una donna, e nella storia della sinistra le donne hanno sempre avuto ruoli da comprimarie. “Ci vogliono solo come vice” diceva Elly in campagna elettorale. Quindi sì, è anche la prima candidata credibile alle primarie del PD: avrebbe pure potuto non vincere, sarebbe stato in ogni caso un momento straordinario nella storia del partito e di una sinistra che aiutami a dire maschilista.
Invece no, ha vinto, a dispetto di ogni pronostico e a seguito di una sconfitta nei Circoli. Quindi, per spiegarla meglio: gli iscritti al partito hanno votato per il più rassicurante Bonaccini. L’elettorato di sinistra ha votato per lei in percentuali quasi rovesciate. Non era previsto. La neosegretaria inquadra la situazione con una frase: “Non ci hanno visto arrivare.”
Questo certifica, oltre ogni dubbio, uno scollamento fra gli iscritti e gli elettori che chi si colloca politicamente a sinistra stava già vivendo sulla sua pelle. Da tempo il PD non rappresenta più quasi nulla delle istanze progressiste: prudente e anemico sui diritti, inconsistente sulla tutela del lavoro, inefficace nell’opposizione, e decisamente dalla parte sbagliata della storia per quanto riguarda certe scelte in materia di politica estera. Forse non è nemmeno corretto dire che non rappresenti queste istanze “da tempo”: il PD non le ha mai davvero rappresentate. Il tentativo di “vincere al centro”, alla democristiana, ha avuto come effetto l’allontanamento di chi al centro non c’è mai stato e non ci vuole stare.
I risultati non esaltanti del Terzo Polo, il tentativo di centrismo liberista di Renzi e Calenda, ce lo dicono: al centro non sembra esserci granché da vincere. Dal punto di vista elettorale, i conservatori presentabili sono molto meno spendibili dei conservatori impresentabili e violenti incarnati dalla destra di Meloni e Salvini, e anche meno dei wannabe progressisti del PD, che ha sicuramente tanti difetti ma rimane un partito, e finora è sopravvissuto ai suoi leader (anche, va detto, per una certa inerzia dell’elettorato di sinistra, ormai avvezzo a scegliere il meno peggio pur di assicurarsi una rappresentanza). Le correnti vanno e vengono, i dirigenti (Renzi, appunto) entrano ed escono, ma il partito rimane. Se le consultazioni nei Circoli avessero indicato come vincitori i due uomini (diversamente giovani) candidati, io a votare non ci sarei andata, con tutta la simpatia personale che ho per Gianni Cuperlo. Non ci sono andata nel 2019 per lo stesso identico motivo. Ci sono andata questa volta, perché fra le due candidature ce n’era una in cui potevo credere. Non credo di essere l’unica. Sono, anzi, certa di non essere l’unica.
E ora… consigli non richiesti alla nuova segretaria del Partito Democratico
Lo dicevo anche la settimana scorsa: è un compito duro, quello che attende Elly Schlein. Rifondare e compattare un partito. Riprendersi l’elettorato di sinistra. Intorno: capicorrente, ex capicorrente, renziani delusi, sostenitori di Bonaccini, notabili e dirigenti che l’hanno sostenuta (presumibilmente) in cambio della loro fetta di torta, una destra selvatica e antidemocratica che da un lato punta sull’ammuina (molto movimento, zero sostanza) e dall’altra ne fa una al minuto, cosa che rende complicato fare opposizione in maniera strutturata e costante. Sarà una faticaccia, lo sappiamo. E se avessi idea di come fare, avrei provato a farlo io. Non ce l’ho. Lei forse sì.
Però io di mestiere faccio una cosa, osservo la gente e poi ne scrivo: senza pretese di universalità o neutralità, anzi, avendo ben presente da che prospettiva guardo il mondo. E c’è una cosa che ho capito di recente e che forse aiuta a spiegare perché la sinistra non riesce a raccogliere i voti delle persone che in teoria dovrebbe rappresentare, il popolo per cui è nata e che ha contribuito alla sua fondazione. Quelli che, nei comizi e nelle giaculatorie contro la dispersione del voto di sinistra, chiamiamo “gli ultimi”.
La cosa che ho capito è questa: ed è che a nessuno piace identificarsi come “ultimo”. Messi di fronte alla scelta fra un partito che ti chiama “ultimo” e uno che ti urla “l’Italia agli italiani”, e per “gli italiani” intende “te e la tua famiglia”, gli elettori stanno scegliendo il secondo in proporzioni sempre crescenti. La progressiva depoliticizzazione della società gioca un fattore determinante in questa scelta: se non hai idea della differenza di orientamento fra destra e sinistra (e nella pratica non ne hai visti, o non li hai notati: guadagni sempre meno, le tutele scendono invece di salire, i tuoi figli sono più poveri di te e i palazzi sono impenetrabili e lontani anche se vivi nella città che li ospita), voterai chi ti sembra più convincente a livello epidermico e ti offre una prospettiva di riscatto che non passi per la costruzione (dolorosa, faticosa, impopolare) di una coscienza di classe. Una coscienza che richiede una visione sistemica, la percezione di essere considerati solo ingranaggi di una gigantesca macchina per la produzione di ricchezza per pochi. Più facile sognare di essere parte di quei pochi, piuttosto che immaginare la distruzione della macchina.
L’affermazione dell’io al di là del noi è alla nostra portata ogni giorno, è dentro i nostri telefonini, è nei video della nonna che smucina l’impasto del casatiello stracciato con le dita piene di anelli, è nei filtri che ti levano vent’anni, nelle centinaia di migliaia di follower accumulati facendo balletti, esibendo i figli e gli animali domestici. È nelle beauty influencer che spalmano creme antirughe su facce gonfie di filler. È nelle infinite risse fra YouTuber che si potrebbero fare una telefonata, ma le telefonate non si monetizzano. Non ce l’ho con chi fa content creation, è un lavoro anche quello: Khaby Lame ci è uscito dalla fabbrica, con i contenuti per i social, e forse è pure riuscito a farsi dare la cittadinanza in tempi meno pachidermici di altri stranieri. Ce l’ho con il fatto che il capitalismo ha creato ogni scappatoia possibile al riconoscimento del valore di ogni lavoro, della sua precarietà, dell’importanza di lottare uniti perché nessuno debba avere paura che se smette di fare video su TikTok non saprà più come campare.
In una società basata sul successo e sulla performatività, abbiamo bisogno di dirci vincenti, di raccontarci che ce la possiamo fare, che le nostre forze basteranno. Ci martellano da una vita con l’idea che tutto dipenda da noi, successo e insuccesso, e che i poveri siano solo gente che non ha voglia di lavorare: la destra lo dice apertamente, e i poveri ci credono. Magari sono solo mezzi poveri, una casa ce l’hanno, campare campano, e hanno votato Meloni perché convinti che quella casa gliela toglieranno gli immigrati, il lavoro pure, e che l’Italia non sarà più Italia se accoglie chi arriva e non ha niente. Non hanno votato di sicuro i partiti di sinistra che da sempre dicono di voler fare politiche “per gli ultimi”, perché gli ultimi sono sempre gli altri. Mica te che tiri avanti con mille euro al mese in trentacinque metri quadri a Tor Sapienza. Mille euro al mese ormai è piccola borghesia.
Siamo tutti “ultimi”, o quasi tutti: ci distinguiamo nelle sfumature, qualcuno è penultimo e qualcuno è terzultimo, e l’unica abilità di Meloni e soci è fare in modo che continuiamo a litigare fra noi per assicurarci di non scendere in graduatoria. Cominciamo a parlare di persone che esistono, vivono, lavorano, che faticano a trovare lavoro, che non vogliono essere inghiottite dal lavoro o morire di lavoro, che vogliono essere felici senza regalare la vita al padrone. Ricominciamo a parlare di padroni, del valore di quello che facciamo, di come quelli peggio pagati siano proprio i lavoratori indispensabili, chi produce il cibo, chi lo trasporta, chi cura, chi insegna. Cominciamo a mostrare alle persone il quadro generale, oltre il loro particolare, perché se pensiamo che la soluzione sia ognuno per sé e si salvi chi può, è chiaro che le destre vinceranno sempre. Hanno soluzioni più convincenti sul piano dell’individualismo, poco da fare.
Ma quindi, adesso?
E io che ne so. È successa una cosa che desideravo da tempo, ma che non sapevo se si potesse fare. E invece guarda: si poteva. E adesso guardo Elly al telegiornale e penso che mica bisogna perdere sempre, che a volte si vince e si vince benissimo, con grande soddisfazione propria e grande scorno degli avversari. Voglio dire: guarda qua.
Fioro’, per dirla alla romana: magara.
Nella notte fra domenica e lunedì, mentre tornavo dallo Spazio Diamante e la pioggia ricominciava a cadere, ho rimesso da capo l’album dei Gorillaz. Oil è iniziata mentre risalivo via Renzo da Ceri, e mi sono accorta che finisce così:
Individual actions change the world
Fill them up with love.
Riempitevi d’amore,
Giulia
P.S. Le date delle presentazioni e degli incontri sono ancora quelle che elencavo qui.
Premessa: lungi da me essere filoamericana. Venerdì andremo ad ascoltare Bernie Sanders e so già che sarà tutta un’altra cosa ora che Schlein ha vinto. Quella sensazione che possiamo anche noi, che c’è rappresentazione (non me ne voglia Beatrice Brignone, il PD è pur sempre un mega partito). Quanto lavoro da fare e quanta gioia nel farlo 👏🏼👏🏼👏🏼
Grazie per questo articolo. Felicissimo anch'io per la vittoria inaspettata e per la mia mezz'ora di coda sotto la pioggia e il freddo :) Per una volta non è stata vana l'attesa!