Legiferare contro la violenza di genere
Questa settimana spieghiamo perché le norme attuali non bastano, le proposte sono manchevoli, e le resistenze culturali sono bipartisan
La newsletter della settimana scorsa ha girato un bel po’, e mi pare che la mia percezione fosse corretta: stiamo attraversando un momento di discussione molto intensa sul tema della violenza di genere. Quando dico “violenza di genere” non intendo il genere femminile, che la subisce, ma quello maschile, che la agisce. No, non mi interessa se tu, proprio tu, non sei violento: le statistiche sono chiare. Gli autori della stragrande maggioranza dei reati violenti si identificano nel genere maschile. Possiamo accettare questo dato e domandarci a cosa sia dovuta la sproporzione, oppure fare finta che vada tutto bene e che ogni uomo agisca per conto suo, dato smentito proprio dall’esistenza della violenza di gruppo.
Nel frattempo: Jenni Hermoso ha detto “No” e per una volta non è stata lasciata sola, anche se è stata minacciata di querela, perché le donne che non stanno zitte devono essere ridotte al silenzio con ogni mezzo. Ma anche: a Caivano due tredicenni sono state vittime di uno stupro di gruppo. E a Latina, una ragazzina è svenuta a una festa e i coetanei, invece di soccorrerla, le hanno puntato la fotocamera sulle parti intime e hanno pubblicato il video.
Il rischio, lo dico chiaramente, è che la violenza sessuale diventi i pitbull feroci di questa estate rovente, vale a dire l’argomento di cui parlano tutti per poi dimenticarsene quando ne subentra uno più caldo. Anche perché questa volta, con buona pace dei tentativi delle star e dei loro hashtag pieni di cuore ma non molto centrati, manca l’evento iconico, la campagna simbolica che segna uno spartiacque fra il prima e il dopo. Allora per non lasciar andare questa storia è necessario continuare a sistematizzarla, metterla giù il più possibile chiara e precisa, perché le cose che vengono messe a sistema si possono recuperare più avanti.
Oggi, quindi, parliamo di leggi.
Che un argomento è caldo si capisce da quanto i politici annunciano provvedimenti, più o meno fattibili. Questa volta rileviamo senza alcuna sorpresa il silenzio di Giorgia Meloni, la Prima Premier Donna1, che evidentemente ha altro da fare (tipo: piazzare tutta la famiglia in incarichi di responsabilità ben remunerati, incluso quello che da Ministro dell’Agricoltura va dicendo che i poveri mangiano meglio perché comprano a chilometro zero. Ci vorrebbe un’altra newsletter). Sono però intervenuti, con vari livelli di stolidità, Matteo Salvini, che chiede la “castrazione chimica”2, ed Eugenia Roccella, che pur essendo stata ministra di Berlusconi pensa che basti proibire il porno ai minori3. Come? Boh. Non è che si possa fare o che serva a qualcosa, ma Roccella doveva pur piantare una bandierina sul fenomeno del giorno4. Come Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione, un altro che si è sentito in dovere di esprimersi e ha proposto di mandare le vittime di violenza domestica a parlare nelle scuole e in seconda battuta di investire sull’educazione peer to peer, cioè fra pari5.
Tutto, ma proprio tutto, per evitare di parlare di educazione affettiva e relazionale, una sorta di babau bipartisan, ma ci torno dopo. Perché prima vorrei approfittare della prima uscita di Valditara per far notare un problema che mi pare si sia evidenziato proprio nelle ultime settimane. Posto che io sono contraria alla gestione emergenziale dei problemi, e che la violenza di genere non è un fenomeno emergenziale ma endemico, i casi di cronaca che abbiamo visto emergere all’attenzione sono casi di violenza sessuale, non di femminicidio: è vero che si tratta di due manifestazioni dello stesso problema, ma sono manifestazioni diverse e vanno trattate in maniera diversa.
La violenza in ambito relazionale ha una sua specificità, e necessita sicuramente di prevenzione (che può essere fatta in un contesto educativo), ma anche di strutture e finanziamenti per consentire a chi la subisce di sottrarsi senza finire in povertà o trovarsi in situazioni di accresciuta vulnerabilità6. Servono finanziamenti per i centri antiviolenza, che devono essere ampliati e resi accessibili in ogni momento a chi ne ha bisogno, perché mentre lavoriamo per prevenire la violenza bisogna anche agire per tutelare chi si muove per uscirne, e i figli che potrebbe avere bisogno di portare con sé. Serve formazione alle forze dell’Ordine perché sappiano trattare le denunce con rispetto, e servono provvedimenti restrittivi che funzionino per impedire ai violenti di rintracciare e uccidere le ex compagne. La violenza domestica può impiegare (e spesso impiega) anche la violenza sessuale come metodo di controllo e sottomissione della vittima, ma comporta un aspetto strutturale che va preso in considerazione nel suo trattamento.
La violenza sessuale, però, si verifica anche in contesti scorporati da quello relazionale: e per quanto venga agita di rado da sconosciuti e molto più spesso da persone che si conoscono e di cui ci si fida (amici, conoscenti, colleghi, parenti e via dicendo) può anche essere episodica, quindi verificarsi una volta sola7. La violenza sessuale ha anche la caratteristica di essere considerata vergognosa più per chi la subisce che per chi la pratica, anzi: i ragazzi accusati dello stupro di Palermo si vantavano della loro impresa, erano esaltati dalla quantità di sofferenza prodotta nella vittima, e pare addirittura avessero in programma di monetizzare il video che li ritraeva nell’atto. Chi picchia o umilia la moglie o la compagna non diventa l’eroe del quartierino, e difficilmente sono rintracciabili richieste di diffusione delle prove video degli abusi, come è successo invece su Telegram proprio per lo stupro di Palermo. Bisogna prenderla da un’altra angolatura.
Quello che ho visto muoversi dal punto di vista legislativo, invece, è una serie di provvedimenti incompleti e sbilanciati e di proposte orbe, che non tengono conto della natura diversa dei fenomeni che vogliono affrontare. Posto che le destre non stanno facendo nulla oltre a straparlare (ed è normale: la visione del mondo delle destre ha bisogno della violenza contro le donne, dato che la usa come mezzo di controllo per assicurarsi che mantengano il posto che è stato loro assegnato dalla società), quello che si muove in concreto a sinistra è poco ed è limitato.
Partiamo da questa proposta di legge (a prima firma Boldrini) sulle molestie sessuali. Ora: sappiamo benissimo che la molestia sessuale non esiste nel nostro ordinamento. Esiste la molestia semplice, esiste la violenza sessuale, ma la molestia sessuale non c’è. Intervenire su questo punto è giustissimo, per una serie di motivi che sono illustrati nel testo della proposta stessa, dalla quale però rimane fuori la violenza sessuale vera e propria, che nel nostro ordinamento è definita in maniera molto carente.
Cosa manca? Prima di tutto, una definizione chiara e non interpretabile del concetto di consenso, sul modello della legge varata in Spagna (anche a valle di un caso tristemente noto di stupro di gruppo). Quando dico “chiara e non interpretabile” intendo proprio che nella legge deve esserci scritto (con il linguaggio appropriato) che solo il consenso liberamente espresso da una persona in grado di esprimerlo può essere considerato tale. Quindi: no assoluzioni per casi in cui la vittima era ubriaca. No assoluzioni perché ti ha toccata solo per dieci secondi e comunque lui scherzava. No assoluzioni perché la vittima aveva dato il consenso un mese prima, due, un anno prima, a un altro rapporto, ad altra gente, o anche a nessuno ma aveva OnlyFans. No assoluzioni perché hai bevuto di tua spontanea volontà, perché fino a prova contraria non è il gin tonic che ti stupra, è una persona. No assoluzioni perché hai dato il consenso all’inizio, perché il consenso - altra cosa che in una legge deve essere scritta - è libero solo se può essere ritirato in qualsiasi momento, con buona pace degli imbecilli che pensano che per scopare tranquilli si debba far firmare un contrattino8: se devi far firmare un contrattino, non solo sei un poraccio che pensa solo al suo cazzo e quindi al 100% scopi male, ma il consenso non è più libero.
Seconda cosa che manca: una legge che tenga insieme tutto, violenza sessuale e molestie, e che le accorpi come manifestazione specifica di comportamenti che stanno sullo spettro dell’abuso.
Terza cosa che manca: l’educazione e la prevenzione. E ora ci arrivo.
Aiuto, il gender!
Introdurre l’educazione sessuale, affettiva e relazionale nelle scuole è una cosa che costa. Ci sono, quindi, scuole che lo fanno (con interventi spot, con psicologi disponibili all’interno dell’istituto e altre modalità) perché hanno le risorse economiche per farlo e si trovano in contesti socio-culturali aperti e disponibili, in cui a nessun genitore verrebbe in mente di protestare perché ai suoi figli vengono spiegati, con il linguaggio appropriato alla loro età, i fondamentali del sesso e della biologia ma anche in cosa consistono i ruoli di genere a cui siamo socializzati fino dalla più tenera età.
Essendo facoltativo, ogni preside e ogni istituto si regola come può e come sa. La maggior parte, non si regola affatto e tutto viene delegato a famiglie e contesti sociali in cui il modelli relazionali e comportamentali sono quelli che ti portano poi a vantarti di uno stupro di gruppo9. La risposta di Valditara a questa evidente carenza educativa è portare le vittime di violenza nelle scuole, cosa che - lo dico con tutta la chiarezza possibile - è davvero di una stupidità abissale. Prima di tutto: le vittime di violenza non devono essere costrette a diventare dei totem dolenti e a ritraumatizzarsi per elevare le coscienze. In seconda istanza: esistono progetti di formazione che si occupano proprio di spiegare perché la violenza non deve avvenire, senza passare per il racconto (necessariamente doloroso, ma che non sposta granché) della singola vittima. Ogni abusante pensa di poter giustificare il suo comportamento alla luce di provocazioni o di supposte debolezze di carattere che vanno comprese, ed è capacissimo di guardare agli altri abusi come ingiusti e punibili, o addirittura di ideare campagne contro l’abuso domestico mentre a casa picchia la moglie.
Per quanto riguarda l’educazione peer to peer: è sicuramente un punto di arrivo, ma sic stantibus rebus mi pare improbabile che dei ragazzini possano educarsi a vicenda. O meglio, che possano farlo in maniera diversa da come lo fanno già su TikTok: e le prove che non stia funzionando ci vengono fornite su base quasi quotidiana.
Valditara, come la maggior parte del governo Meloni10, non sa quello che fa e quello che sa è sbagliato. Ma non è che a sinistra si rida. Cito questo breve passaggio di un’intervista a Valeria Valente, senatrice del Partito Democratico molto attiva sul fronte della violenza contro le donne, uscita su Il Manifesto il 23 agosto:
Valente, com’è noto, era fra le dissidenti del PD che hanno contribuito ad affossare il DDL Zan opponendosi alla dizione “identità di genere” nel testo della legge. Il motivo è evidente anche dal testo qui riportato: “fornire un’educazione alla differenza fra i sessi” è il codice con cui una parte delle femministe segnala la sua adesione a una visione del mondo in cui i maschi sono maschi e le femmine sono femmine, le persone trans non esistono e tantomeno quelle non binarie. “Non sono d’accordo a insegnare il gender negli asili”11 è un modo per dire: no, non parliamo di ruoli di genere quando i bambini sono piccoli, cioè nel momento in cui il disprezzo verso il femminile e la rigida separazione binaria cominciano a cementarsi, in forma di “Io non gioco con quello, è da femmine” e altri convincimenti che vengono accettati senza fare questioni, e che sono il pavé della strada verso la disumanizzazione delle donne. Non sia mai che i bambini si facciano delle domande su cosa significa essere uomo o donna.
Valente non è isolata. Il grosso della sinistra di vecchia scuola12 si muove fra inconsapevolezza del problema e opposizione a qualsiasi intervento educativo che vada al di là del dire “Non si fa”. È impossibile dire “non si fa” senza smantellare il castello di convincimenti, automatismi e oppressione che siamo socializzati ad associare al genere (o al sesso, come dicono le femministe della differenza) e che giustifichiamo con la biologia, anche se la biologia ci sostiene sempre meno, ed è sempre più evidente che a renderti violento non è certo il fatto di avere in dotazione genitali maschili, ma la convinzione che esibire quell’equipaggiamento ti metta al di sopra degli altri esseri umani.
In sintesi, sì, bisogna parlarne fino dalla scuola dell’infanzia, e ancora non basta, perché a casa poi ci sono uomini e donne che ti insegnano a fare l’uomo o la donna secondo i loro costumi e le loro abitudini. Però se non si comincia dalla scuola, unico punto su cui è possibile agire in maniera collettiva, non si comincia mai. L’educazione sessuale, relazionale e affettiva deve essere obbligatoria, valutata, una materia come un’altra. I genitori non devono potersi sottrarre o protestare, non più di quanto lo farebbero per la matematica o il greco antico; i programmi devono essere definiti a monte, con dei paletti rigidi che non aprano alla propaganda anti-scelta o ad altre porcate che si sono verificate negli anni grazie all’ampiezza e discrezionalità con cui la Buona Scuola renziana ha avviato il processo di inserimento13. Di più: la materia deve essere obbligatoria anche nelle scuole private e confessionali a tutti i livelli, pena l’esclusione dai finanziamenti pubblici.
L’educazione sessuale obbligatoria non risolve tutto, ma aiuta parecchio. Lo dicono gli studi sui paesi in cui è stata introdotta, almeno sul fronte delle gravidanze indesiderate e delle malattie sessualmente trasmissibili. Manca quel salto di qualità che prende il come si fa il sesso e lo porta sul piano del perché, parlando di desiderio, di consenso, del valore sociale della sessualità e di come questa sia agganciata alle dinamiche di potere. Bisogna parlare di potere, di disparità, di “cose da femmine” e “cose da maschi”, e di come smettere di performare il genere in maniere tossiche e distruttive. Le nuove generazioni lo chiedono da tempo, e meritano di essere ascoltate. Oppure possiamo continuare a fare finta di niente e lasciare che la violenza sia il codice principale dell’affermazione dell’identità maschile. Possiamo considerare la prevenzione della violenza un costo, piuttosto che un investimento nella salute, sicurezza e libertà di tutte e tutti: ogni giorno che passa senza che questo investimento venga fatto è un altro giorno in cui possiamo dire che delle donne, a questo paese, non importa nulla. Piuttosto che libere, ci preferiscono morte.
(Continua.)
Giulia
Ehi, voi che pensavate fosse una buona notizia! Questo è sarcasmo! Continuerò a percularvi in eterno, mi ricordo tutti i vostri nomi, ciao!
Che è perfettamente inutile, oltre che incostituzionale: una violazione dell’integrità fisica della persona che non ha alcun impatto sulla causa degli stupri, che non è il desiderio sessuale ma la volontà di sopraffazione. Un uomo privato a forza della funzione erettile può diventare uno stupratore ancora più feroce, proprio perché frustrato, e si tratterebbe comunque di una misura punitiva e non preventiva. In pratica, per arrivarci bisogna che uno abbia stuprato, cosa che lo Stato dovrebbe voler evitare. Ma Salvini non sa mai di cosa parla, e comunque è Salvini.
Già tecnicamente vietato, eh.
Su questo punto suggerisco la lettura dell’articolo di Silvia “Slavina” Corti, su Il Manifesto, che spiega molto bene perché questa proposta è priva di senso.
Difficile non rintracciare in queste uscite una raccomandazione del governo: fai quello che vuoi, basta che sia a costo zero.
L’ultimo caso raccontato da Indagini, quello di Milena Quaglini, è da un lato la storia di una serial killer, dall’altro quello di una donna abusata che ha reagito agli abusi con una violenza estrema dettata anche dalla necessità. Se Quaglini (e prima ancora, sua madre) avesse avuto a disposizione una rete di sostegno vera e la certezza di potersi sottrarre agli abusi senza vergogna e senza essere punita dalla società, forse non avrebbe ucciso. Ma anche: se le sue vittime (e prima ancora, suo padre) avessero imparato a trattare le donne con umanità e rispetto, quella molla omicida sarebbe stata forse disattivata. Sono molti periodi ipotetici, nessuna certezza.
Che è sempre una volta di troppo, intendiamoci.
Sono molti, questi imbecilli, ma ho in mente in particolare un certo giornalista di destra molto difeso dagli amici.
E no, non sono necessariamente contesti disagiati, anzi. I ricchi stuprano con più gusto perché possono permettersi avvocati migliori.
Trovatemene uno, o una, che dia l’impressione contraria. Io non ci sono ancora riuscita.
“Il gender”, diosanto. Una si domanda sempre: è stato riportato male? Ha usato l’espressione in maniera sarcastica? O davvero pensa che l’educazione relazionale del più piccoli sia “il gender”? Ma veramente ci facciamo dettare il vocabolario da Pillon?
Ma pure fra i giovani maschi di sinistra daje a ride: sono di un maschilismo imbarazzante e del tutto consapevole. Se sui vecchi siamo rassegnate, i giovani ti vanno venire voglia di prenderli a padellate in faccia. Sorry not sorry.
Essendo l’ala renziana, e in generale terzopolista, a dir poco ambigua sul tema.
Da girare a tutta la mailing list, da stampare e volantinare ovunque, anche al super. Mai letto nulla di più chiaro e affilato e potente nella sua linearità. Grazie Giulia, ora e sempre!
Analisi affilata e cristallina come sempre. 💍J’adore le note a piè pagina 😍