L'ultima prima delle vacanze
Questa settimana ci salutiamo con: Sinéad O'Connor, uomini in gabbia e shitstorm surreali.
Le morti famose si somigliano tutte. Iniziano con messaggi a caso sui social, proseguono con gli articoli che danno la notizia, poi arrivano i profili dolenti, i pezzi d’opinione, i ricordi più o meno informati. Il morto è morto, rimangono i vivi, e i vivi parlano dei morti per parlare di sé stessi, con maggiore o minore eleganza. È andata così anche con Sinéad O’Connor, della quale tutte e tutti ricordiamo la straordinaria cover di Nothing Compares 2 U di Prince (che non è mai davvero stata un pezzo di Prince, se non nella composizione: la versione di O’Connor è l’unica che esiste nella coscienza collettiva, irradiata di una sofferenza che andava al di là della pena d’amore).
Sinéad. La chiamavamo “la cantante calva”, anche se calva non era, anzi: folta era la chioma scura che radeva nel tentativo di rendersi “meno attraente”, come diceva. Ottenne l’effetto contrario: era talmente bella, il viso di una perfezione quasi irreale, gli occhi enormi con le ciglia lunghissime, che i capelli sarebbero stati solo una distrazione. Ipotesi confermata dal video della sua cover di You Do Something to Me, in cui gioca a fare la fatalona con la parrucca bionda.
Sinéad. Quasi tutti la conoscevano per quella cover di Prince, appunto. Io amavo - e amo tuttora, è fissa nella mia playlist anni ‘80 - questo brano, Mandinka, in cui la straordinaria duttilità della sua voce è ancora più evidente.
Sinéad. Era sopravvissuta a molte cose, agli abusi di sua madre, a un attacco diretto alla Chiesa Cattolica che le costò la carriera, alla sua abitudine di assumere posizioni scomode e impopolari non nel senso in cui le intenderemmo adesso, ma davvero scomode e impopolari. Stava sopravvivendo anche a sé stessa, ai suoi problemi mentali, ai suoi guai, alla ricerca di un approdo spirituale che sembrava aver trovato nella religione islamica. Poi suo figlio è morto, e da lì abbiamo solo delle ipotesi. L’unica certezza è che Sinéad O’Connor, la prima a insegnarci le tante e varie mancate corrispondenze fra segno e suono della lingua irlandese, non c’è più.
La gente bisognerebbe amarla da viva, piuttosto che celebrarla da morta.
Ho tanti pensieri, ma sopra tutti uno: pensavo all’apertura di credito pressoché infinita per Kanye West, altro bipolare celebre che però è riuscito a collocarsi quasi sempre dalla parte sbagliata della storia e dell’umanità. C’è voluto proprio che cominciasse a dirsi a favore del nazismo perché i brand che lo foraggiavano cominciassero ad abbandonarlo. Sinéad O’Connor è stata abbandonata molto presto e molto in fretta, come ha detto giustamente Lily Allen1, da molta della stessa gente che ne sta celebrando il talento e la profondità, e che non avrebbe mai lo stesso tipo di coraggio delle proprie opinioni.
Through their own words they will be exposed
they’ve got a severe case of the Emperor’s new clothes.
Uomini in gabbia
Cerco di non rispondere mai ai cretini dell’internet. Li blocco e basta, perché sono una perdita di tempo e di energie che devo incanalare altrove (tipo: nella nuova cattedra che dovrebbe essermi assegnata a partire dall’autunno e per la quale devo cominciare a studiare, altrimenti rischio di arrivare all’apertura del semestre impreparatissima2). Purtroppo le reazioni a un tweet su un femminicidio (uno dei tanti, non importa quale) sono talmente prevedibili che a volte non resisto all’idea di sparare un colpo su uno di ‘sti scemi che come le talpe delle giostre saltano fuori per farsi prendere a martellate. Per esempio, qualche giorno fa uno ha riproposto il caro vecchio tema del determinismo biologico: gli uomini hanno il testosterone, se cedono all’istinto ti possono ammazzare a mani nude e questo è un dato di cui tenere conto, perché bisogna sapere “come sono fatti gli uomini e le donne”.
È un ragionamento giustificazionista, lo sappiamo: se gli uomini sono in un certo modo (dei bruti per natura, non per cultura: e sulla natura non si può influire) e le donne sono continuamente a rischio, le donne vanno protette dagli uomini. La soluzione che la società si è data finora è stata quella di chiudere le donne in casa, rinunciando in partenza a eliminare alla radice quella pericolosità. Al che io: ok, se siete pericolosi allora vi dobbiamo tenere in gabbia. Perché così si fa con le bestie che non si possono controllare né educare alla non-violenza: le si rinchiude. Non importa se hanno o meno attaccato un essere umano, mica vuoi correre il rischio.
La reazione: ecco, sei aggressiva. Una proposta del genere può facilmente diventare una velleità.
Incredibile, no? Come sia facile pensare che la violenza maschile incontrollata sia un’inevitabilità a cui si può rispondere solo confinando le potenziali prede, o con fantomatiche “norme sociali” che già esistono, ma che vengono ignorate perché la violenza maschile deriva dal bisogno identitario di affermare il proprio genere tramite la sopraffazione. Non è un incidente e non è una deriva innaturale o deviata di un’educazione altrimenti “buona”, è proprio letteralmente la cosa che viene insegnata a tutti gli uomini e che gli uomini si tramandano a vicenda, a partire da “Quella cosa lì non la puoi usare, è da femmina”, che contribuisce a formare nei più piccoli il disprezzo per gli esseri che dovranno imparare a dominare. Ma se provi a suggerire che una giustificazione biologica dovrebbe avere come conseguenza il confinamento di tutti i maschi della specie per impedire loro di nuocere, allora no, non va più bene. Perché i violenti sono sempre gli altri, vero? Non sei mai tu, maschio come loro, educato allo stesso modo, ma sempre alla ricerca di un’assoluzione individuale.
Le ragazzine stanno perdendo il controllo (cit.)
Quella del boomer (o Gen X, a seconda dei casi) che si lamenta della shitstorm è una corrente letteraria a cui non mi sento di aderire, uno perché ha rotto il cazzo e due perché ha sinceramente rotto il cazzo. Però nei giorni scorsi è successa una cosa che mi ha fatto un po’ ridere e un po’ preoccupare, perché io di opinioni che potrebbero attirarmi delle shitstorm ne ho parecchie (soprattutto in materia di GPA, aborto e autodeterminazione, ma in generale lì dove ci sono i fasci non ci sono io, con tutto quello che ne consegue), però le peggio shitstorm finora le ho subite da fan di Madonna, abitanti di Second Life e, ora, dalle fan di Piccole donne.
Non che abbia detto niente di particolarmente controverso, è la cosa che dico sempre su Jo e Laurie, e può essere pienamente discutibile (ogni opinione basata su una speculazione lo è, dopotutto), ma non pensavo potesse scatenare quel genere di aggressività. Uno perché è Piccole donne, vale a dire un libro dell’800. Due perché chi si poteva immaginare che Piccole donne avesse una fandom così ossessiva da prendere a male parole chiunque abbia opinioni da loro non condivise su un’opera di finzione?
Vabbe’, l’ho presa con filosofia, ho chiuso tutto per un po’ e ho aspettato. Sono cose che finiscono come sono cominciate, e mi avevano fatto davvero tenerezza: essere così incarognite per la letteratura è una cosa romantica, dopotutto, e vorrei tanto che i miei studenti e studentesse nutrissero verso i libri e la lettura il genere di passione selvatica che ti fa litigare con la gente. Dall’altro lato ho pensato: ok, io ho cinquant’anni e le mie strategie di autodifesa sono piuttosto robuste. Ma mi sono immaginata una più piccola e più fragile, che magari si metteva lì a rispondere a queste adorabili pazzerelle, ci perdeva una giornata, stava lì a farsi piovere addosso disprezzo, sola contro tutte. Le shitstorm raramente ti fanno cambiare idea, ma ti generano un senso di vulnerabilità e di pericolo. Oltre al disagio che ti provoca essere insultata, a un certo punto pensi: e se fra queste pazzerelle ce n’è una che è pazzerella forte e decide che devo essere punita in maniera esemplare? Per Piccole donne? Hai voglia a ridere, dopo. A fare del male a una persona per motivi futili ci vuole pochissimo, poi magari te ne penti ma intanto il danno è fatto. La generazione che si pregia più di tutte di parlare di salute mentale in modo onesto e rispettoso non è sempre conseguente nelle sue azioni, quando si tratta di difendere l’oggetto del suo fanatismo.
Non è successo, per fortuna. In fondo era solo Piccole donne, niente che mettesse a rischio delle vite. Molte delle ragazzine che mi hanno infamata sembravano essere convinte che io volessi negare l’identità lesbica di Jo, quindi boh, forse erano lesbiche3? Allora mi sono detta: se in tutti questi anni da alleata più che visibile questa è la prima cosa che dico che le fa incazzare, forse fino qua non me la sono cavata così male.
Hai chiuso tutto?
Agosto è il mese della lentezza, quello in cui tutto si ferma e i ritmi diventano più umani, più controllabili. Per me, che sono freelance, finisce per essere il mese in cui scrivo: le mie committenze se ne vanno in vacanza, io cerco rifugio in montagna e finalmente lavoro in pace. Nella seconda metà di agosto 2018 ho scritto metà di Manuale per ragazze rivoluzionarie sparandolo fuori un capitolo al giorno. Anche quest’anno, agosto sarà il mese in cui starò con le dita sulla tastiera: ma sarà bello. È anche il mese in cui la newsletter, da tradizione, si ferma per tornare a settembre, a meno che non ci siano cose proprio urgenti da commentare insieme.
Ma speriamo di no.
Passa una buona estate. Quando torneremo, forse ci saranno delle novità.
Giulia
Edit per l’online (grazie a Letizia Marzorati): Lily Allen ha cancellato il suo profilo Twitter, però il tweet si può leggere qui.
Sono felicissima.
Non ho approfondito, amiche, non ricominciamo. E comunque siempre viva el lesbian Twitter.
Premessa: essendo maschio cis nato nel 1976 non mi è stato mai proposto di leggere "Piccole Donne". Lo sto facendo ora. Quindi la domanda è: ma che ha detto Giulia di tanto controverso? Non trovo la fonte della discussione. Forse però Giulia la vuole lasciare andare via, perché è stata motivo di aggressione....