Speciale Sanremo 2025: Carlo Conti, il normalizzatore
Far sparire, minimizzare, ignorare: è il Sanremo della medietà senza gioia.
C’è un sacco di gente felice di questa nuova ondata di neoconservatorismo. Non nel senso di felice-felice1, ma nel senso di stizzosamente soddisfatta. Finalmente! Basta con ‘sti discorsi sulle pari opportunità, sul riconoscimento delle identità, sui diritti di persone di cui fino a pochi anni fa riuscivamo con successo a ignorare l’esistenza. Basta! Si ritorna ai bei vecchi tempi in cui la gente stava a cuccia e si accontentava delle briciole. Questa soddisfazione nel vedere i ricchi broligarchi prendere il comando del mondo e imporre per legge le stesse discriminazioni che la legge non era riuscita a eliminare mi lascia a dir poco perplessa, soprattutto se non viene da adolescenti con problemi gravi di ascella mefitica.
Sanremo non è mai stato un programma progressista, ma la gestione Amadeus lasciava più di qualche spazio all’espressione del cast. La queerness del Sanremo di Amadeus era organica e multiforme, si manifestava come propagazione spontanea di talenti: era la tensione erotica fra Mahmood e Blanco, l’arguzia di Drusilla Foer, le giacche oversize di Ariete, Rosa Chemical che cantava di poliamore, Achille Lauro che limonava con Boss Doms. Sottile, non pacchiana come allo Eurovision, ma presente, come lo è nella vita, e soprattutto grondante desiderio, un’ormonella che trasudava da ogni canzone, pure le ottantenni urlavano VOGLIO AMARTI VOGLIO AMARTIIII. Carlo Conti ha deciso che tutto questo doveva finire: via la politica, via l’impegno, via pure l’ormonella, i grandi temi sono ridotti a temino delle elementari, ma soprattutto basta co’ la queerness. La queerness ha rotto il cazzo.
Il Sanremo di Carlo Conti sostituisce a Drusilla Foer (destabilizzante nella sua assoluta eleganza, perturbante nel suo gioco sull’identità) un Cristiano Malgioglio vestito come Crudelia De Mon e lo rende protagonista di una sorta di intervista doppia con Bianca Balti che poteva pure essere divertente se gestita in tutt’altro modo, e che culmina nel momento in cui Conti, in maniera speculare a Balti, domanda: “Qual è la prima cosa che guardi in una donna?”
A Malgioglio. Quello che ha scritto e cantato Mi sono innamorato di tuo marito. Quello che nell’armadio non c’è stato mai nemmeno per prendersi le camicie. Uno che era già queer quando Giulio Cesare stava ancora vagliando le sue possibilità.
Non può essere una svista. Uno, perché domandare a Malgioglio quale sia la prima cosa che guarda in un uomo non sarebbe stato un peccato mortale, dato che Malgioglio è apertamente fidanzato con un uomo turco (e infatti alla domanda dove vivi risponde “Istanbul” con un sorrisetto). Due, perché avrebbe dato l’assist per qualche battuta piazzata bene, mentre la reazione di Malgioglio a quella domanda insensata è una risata e una risposta generica. Tre, perché Sanremo è scritto pure nelle virgole: è difficile che quella domanda non fosse in qualche modo intenzionale.
Sono i giorni in cui la ministra Roccella incontra i rappresentanti di Arcigay e li tratta come ologrammi, manifestazioni incorporee che non influenzano la sua visione della realtà. Così anche il Sanremo di Carlo Conti, almeno finora: la queerness rappresentata è inoffensiva, si rende manifesta e identificabile ma non chiede di essere riconosciuta, oppure ha le vibrazioni delicate e quasi infantili di Lucio Corsi2 seduto al piano su una gamba piegata. Arriverà Mahmood, certo, ma in un ruolo marginale, non certo nel pieno della sua potenza artistica (e per estensione, erotica).
Il tentativo di riportare tutto a una narrazione media, stereotipata e rassicurante si manifesta anche su altri fronti. Bianca Balti, creatura soave che a tratti sembra fluttuare nell’aria, scende le scale senza guardare mai in basso e sprizza energia giocosa, ha chiesto di essere presente non come malata di cancro ma come professionista della moda. La scelta di apparire calva e con la cicatrice dell’operazione in vista non è una richiesta di commento ma una forma di accettazione di un corpo che è cambiato, ma che non si nasconde. Niente parrucche, niente coperture: il corpo com’è, in ogni momento. E invece ecco puntuale Carlo Conti che la chiama “guerriera” e le dice che è “un esempio per tutte le donne”, in aperta contraddizione dei suoi desideri espressi. Perché la mamma che lotta coraggiosamente contro il cancro è una narrazione più normale, più comprensibile e inquadrabile rispetto a quella della modella che si presenta trasformata dalla chemioterapia ma non rinuncia a giocare con gli abiti e con la propria immagine, e si propone al di fuori degli stereotipi della femminilità convenzionale. La riduzione alla malattia, che Balti ha respinto e sta respingendo non con la polemica ma facendo il suo lavoro, viene riproposta a forza. Imposta contro la volontà della persona.
È un Sanremo funereo, privo di gioia, che ha sostituito l’ormonella con la sofferenza, la depressione, gli amori finiti e giusto una ‘nticchia di girlbossing3. Perfetto per il governo in carica, che la gioia non sa manco dove stia di casa. Allora sapete che faccio? Stasera4 prendo un’ora per chiacchierare live con i miei amici de i400Calci per uno speciale San Valentino in cui penso ci divertiremo un botto.
Ciao!
Giulia
Nessuno che goda della repressione altrui è mai davvero felice.
Devo precisare che non so niente dell’identità personale e affettiva di Lucio Corsi, e non presumo niente: la queerness estetica e comunicativa è, però, inequivocabile. Lo è sempre stata. Ricordo di averlo visto esibirsi, anni fa, vestito di un magnifico abito da donna (l’ho detto che gli ruberei tutto l’armadio, no?)
Marcella Bella, che ci ripropone l’ennesima declinazione della “donna forte”, ma non sarà mai Loredana Bertè.
Nella versione precedente scrivevo che pensavo ci fossero i duetti, invece mi sa che sono domani.
E del grandissimo ritorno dei bambini prodigio ne vogliamo parlare?
Scrivi meravigliosamente quello che penso. È uno spettacolo deprimente. Mi piacerebbe sperare in uno scarto, qualche improvvisata ma non penso che lo vedremo mai.
Aggiungiamo anche il penoso abilismo (Sammy Basso...il ricordo infantilizzato di una persona incredibile uno scienziato; il modo in cui poco fa è stato presentato sul palco il Teatro Patologico con la sua esibizione...) e abbiamo lo specchio perfetto della italietta odierna.