Mannaggia a me e a questa abitudine tremenda (forzata dalla levotiroxina, che mi impone mezz’ora di pausa fra l’assunzione e la colazione) di guardare il telefono la mattina presto. Ieri mi alzo, e già è lunedì, è nuvoloso e freddino: apro Threads e ci trovo un cretino che espone le sue dotte argomentazioni contro l’aborto. Lo vedo solo perché una delle persone che seguo gli ha risposto, e non ci posso fare niente. È lì, l’ho visto e mi ha già fatto incazzare, e non sono neanche le otto di mattina.
Resisto alla tentazione di dibattere con il cretino, anche se chiunque abbia anche solo fatto filosofia al liceo sa che “la vita inizia al concepimento” è una posizione facilmente confutabile, anzi: è una frase che contiene tante di quelle vulnerabilità dal punto di vista della logica che più che una confutazione finirebbe per sembrare una demolizione controllata. Non lo farò qui: l’ho già fatto in questa uscita della newsletter, e prima di me l’ha fatto una montagna di gente ben più titolata1. Perdere tempo appresso al cretino dell’internet è un’attività improduttiva. Ma mi pare proprio una strana coincidenza: è lunedì, è il momento di scrivere la newsletter, e avevo già deciso di dedicarla al tema che è spiattellato bello chiaro nel titolo. Lo avevo deciso quando il Papa se n’è uscito (non per la prima volta) con quell’affermazione clamorosa sui sicari, ma non è che prima le cose andassero chissà che bene.
Vado subito al punto. L’obiezione di coscienza all’aborto non va semplicemente abrogata come norma: va abolita, come fu abolita la schiavitù. Deve smettere di esistere nell’ambito della legittimità, come concetto, a priori, oltre che come norma di legge. Questo passaggio richiede una montagna di lavoro culturale, se non vogliamo che, proprio come la schiavitù, questo genere di violenza rimanga sotto traccia nella società: l’aborto va destigmatizzato, va allontanato dal novero dei “mali minori” per iscriverlo nella lista delle scelte personali, legittime e insindacabili, come tutto quello che ha a che vedere con il corpo.
Che cos’è l’obiezione di coscienza all’aborto
Siccome ho scoperto (con mio sommo sbigottimento) che c’è ancora gente adulta che non sa che la legge 194 permette l’aborto solo a determinate condizioni e che secondo la legge la donna2 dovrebbe essere sottoposta a una sorta di interrogatorio in cui lei dovrebbe dichiarare le ragioni per cui non si trova nelle condizioni di portare avanti una gravidanza. Non “non vuole essere incinta”, ma “non può”. Come spiega Giulia Siviero nel suo articolo intitolato “Difendiamo l’aborto, non la legge” scritto per Lucy sulla cultura:
Nella legge non si parla mai di interruzione volontaria di gravidanza rispetto alla libera scelta della persona, ma si parte dal presupposto che la maternità non venga portata avanti solo per un’impossibilità: per la presenza di alcune circostanze sfavorevoli che la legge stessa chiede, innanzitutto, di superare.
Ecco cosa dice la legge 194, all’art. 9:
Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione.
In questo primo passaggio è contenuto già tutto il problema che abbiamo con l’esercizio del più banale diritto alla salute riproduttiva. Ripeto: non credo di dover rispiegare da capo perché una donna che vuole abortire debba essere libera di farlo in sicurezza e senza dover condividere alcuna motivazione (come invece previsto da una legge intrisa di paternalismo, e che non tiene affatto conto di quello che la persona vuole, al di là di eventuali difficoltà oggettive). Però è importante, molto importante, capire che un diritto non è un diritto, se la possibilità di vederselo negato è tutelata dalla legge. Se l’aborto deve essere un diritto, non può esserlo l’obiezione di coscienza alla pratica dell’interruzione di gravidanza. E nonostante il discorso intorno all’obiezione di coscienza sia per lo più concentrato sui ginecologi che rifiutano la pratica abortiva, la legge chiarisce che il rifiuto si estende a tutto il personale, sanitario e ausiliario. Ginecologi, certo, ma anche medici di base, anestesisti, psicologi e psichiatri, infermieri, addetti all’accettazione, barellieri. Sto usando il maschile sovraesteso, ma la medicina è una professione fortemente femminilizzata, come tutte quelle che pagano poco e male3. Le donne complici di questo sistema di sopraffazione non sono affatto poche.
Perché bisogna abolire l’obiezione di coscienza all’aborto
Che l’aborto non sia un diritto lo pensano in tanti. L’obiezione di coscienza è l’arma che i sanitari hanno a disposizione per complicare la vita alle persone che si rivolgono a loro per interrompere una gravidanza, e non è necessario che credano davvero nell’idea che abortire sia “sopprimere una vita”. È sufficiente che a crederlo, o a dire di crederlo, sia il primario del loro reparto. L’obiezione diventa quindi l’unico mezzo per fare carriera, perché chi non obietta viene inchiodato a un’unica mansione e penalizzato. E tutto questo non è illegale: la legge, anzi, lo consente, non fissando tetti massimi al personale obiettore e tantomeno un termine oltre il quale, esauriti i sanitari attivi da prima dell’entrata in vigore della legge, la clausola dell’obiezione venisse a decadere. Come sarebbe stato giusto, se avessimo mai pensato all’aborto come a una scelta personale e di salute. Non è mai stato così.
Sulla carta, l’obiezione di coscienza dovrebbe tutelare i sanitari. Nella pratica, viene sfruttata da quegli stessi sanitari per mettere in atto una violenza prolungata che può iniziare da quando ti rivolgi al primo medico per il certificato, ma che si estende anche alla contraccezione di emergenza e può essere agita anche dal personale non medico. Un’arma, come dicevo: e come tutte le armi, chi ce l’ha la usa, a prescindere dalle convinzioni intime. La usa perché può. Ogni persona che incontri nel percorso a ostacoli che porta all’interruzione di gravidanza è nelle condizioni di maltrattarti, umiliarti, farti la paternale, mentirti sul tuo futuro riproduttivo, negarti antidolorifici e assistenza, trattarti come un essere spregevole o una bambina scema. E qui, mi spiace, ma la minoranza (perché lo è: la media del personale obiettore è del 64% a livello nazionale, ma raggiunge punte dell’80% e oltre in alcune regioni) di medici e ausiliari che fanno il loro lavoro come va fatto non compensa affatto per la maggioranza di opportunisti violenti che maltrattano chi abortisce perché sanno che non patiranno alcuna conseguenza. La logica è quella della punizione, della penitenza forzata, come richiesto anche dai sette giorni in cui si è invitate a “soprassedere”, come se volere o non volere una gravidanza fosse qualcosa che in sette giorni può cambiare. Lo raccontano da anni le attiviste per il diritto all’aborto, e quel lavoro è stato sintetizzato di recente nella campagna The Unheard Voice di Medici del mondo.
Non mi è mai piaciuto distribuire patentini di femminismo, perché se avessi aspettato il mio non avrei fatto neanche un decimo del lavoro che ho fatto in questi ultimi otto anni4. Però faccio davvero fatica a figurarmi un femminismo che non prenda in automatico le parti delle persone vulnerabili, vale a dire le donne e chiunque abbia un utero, contro chi sta sfruttando una legge per agire una violenza psicologica, quando non direttamente fisica. Non parlo solo dei sanitari: anche la politica ci mette il suo, sfruttando le lacune di una legge scritta prima dell’avvento dei farmaci abortivi, che permettono di interrompere una gravidanza in sicurezza e senza ricovero. Abolire l’obiezione di coscienza presente nella 194 è solo il primo passo verso una riforma necessaria, ma non praticabile con un governo di destra che ci tratta come sfornapizzette (salvo poi abbandonarci o criminalizzarci se i figli non li facciamo entro i canoni e i parametri del suprematismo bianco).
La politica si deve occupare di noi, e noi dobbiamo occuparci di politica: e su questo punto so di incontrare molte resistenze fra le mie compagne, che sono percorse da una giustificatissima disistima nei confronti degli strumenti della democrazia, che le spinge alla dissociazione. Io penso che dobbiamo essere femministe dentro la democrazia, non ai margini. Non vedo altra strada che quella della partecipazione totale, furibonda, impossibile da ignorare: l’inseguimento di una pratica pura e perfetta ha paralizzato e continua a paralizzare il nostro cammino verso l’affermazione non solo dei singoli diritti, ma direttamente della nostra legittimità di cittadine femministe5 che abitano lo spazio pubblico. Nei paesi dove questo succede, e la saldatura fra i femminismi e la politica è più solida ed evidente, i risultati sono tangibili, le conquiste più durature.
Possiamo davvero abolire l’obiezione di coscienza all’IVG?
Come dimostra la raccolta firme sul referendum per la modifica della legge sulla cittadinanza, richiedere un referendum abrogativo per una norma è ampiamente entro le possibilità di qualsiasi forza politica che si sappia organizzare. Sono convinta che una richiesta analoga relativa all’abrogazione di questo singolo articolo della legge 194 avrebbe un vasto supporto popolare, e sono allo stesso tempo conscia del fatto che un governo di destra reagirebbe inasprendo la legge 194 o cancellandola del tutto, per sostituirla con una norma ancora più punitiva. Meloni sta cercando di truccare il gioco già su altri referendum, nominando Francesco Saverio Marini (“padre del premierato”, dicono sul Manifesto) alla Corte Costituzionale: è la stessa manovra effettuata con successo da Donald Trump con la Corte Suprema degli Stati Uniti. Non c’è alcun motivo per rinunciare a sfruttare quell’arma in altri ambiti e con altri referendum, altrettanto sgraditi alla sua parte politica.
È anche vero, però, che dobbiamo smettere di trattarli come se fossero il babau. La sovranità appartiene al popolo, dice la Costituzione: è ora di riprendercela, perché - pensate un po’ - anche noi gente con l’utero siamo popolo, e abbiamo accanto una quantità di gente senza utero che è pronta a darci una mano.
Uscire dalla mentalità che legittima l’obiezione è più complesso che uscire dall’obiezione in sé e per sé, perché quella mentalità, pur essendo intrisa dei cascami del cattolicesimo, è fondata su una visione delle donne che precede la religione cristiana. Una visione fortemente misogina, in cui le donne sono valutate in base alla funzionalità e disponibilità a prestarsi a svolgere dei ruoli, non come esseri umani provvisti di valore intrinseco. In altre parole, se sei incinta e decidi di non volerlo essere stai sottraendo la tua funzione riproduttiva alla collettività: devi essere punita, se non con un divieto almeno con la vergogna e l’umiliazione. E dato che l’aborto è considerato un “male minore”, ma comunque un male, sono ben poche le donne disponibili a denunciare a volto scoperto una violenza avvenuta in quell’ambito6.
Quattro punti per arrivare all’abolizione dell’obiezione di coscienza sull’aborto
Le associazioni femministe hanno proposte chiare e strutturate e molto, molto dettagliate intorno ai diritti riproduttivi. Io voglio rimanere verticale su un punto, anzi, su quattro. All’abolizione dell’obiezione di coscienza, agendo all’interno della 1947, si potrebbe (e forse dovrebbe) arrivare così:
Rendere illecita l’obiezione di struttura, con dettaglio dei tetti massimi del personale medico e ausiliario che può farvi ricorso - Questo provvedimento non è previsto dalla 194, ma ho ragione di credere che questo limite possa essere scavalcato a livello regionale appellandosi alle norme che obbligano gli enti a fornire un servizio congruo. Nicola Zingaretti, quando era ancora presidente del Lazio (e prima di lasciarci, tristemente, nelle mani di Francesco Rocca) promosse un concorso per medici non obiettori al San Camillo di Roma. Non è impossibile, quindi, partire dalle leggi regionali per arrivare gradualmente a una legge nazionale. Prima o poi, tutti i fascisti cadono, e cadono male. È la loro natura8.
Facilitare il più possibile l’accesso alla RU486 e ai farmaci abortivi - Idem come sopra: le regioni hanno facoltà di facilitare l’accesso al mifepristone, che di fatto esenta una fetta consistente di sanitari dall’intervenire in alcun modo nella scelta della donna. Sempre come sopra: questo si può fare nelle regioni a governo progressista, autorizzando il ricorso a tutti i farmaci abortivi testati e autorizzati dall’AIFA senza inutili imposizioni come il ricovero coatto di tre giorni.
Impedire l’accesso ai volontari anti-scelta a ospedali e consultori (e smettere di finanziarli) - Questa è più complicata, perché la 194, essendo una legge pensata anche per limitare il ricorso all’aborto, prevede la collaborazione con “[…] idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita”. È per questo che si spacciano le associazioni anti-scelta, offrendo piccole somme alle donne che vogliono abortire, spesso dopo averle sottoposte a manipolazione. La legge, però, dice “idonee”: è un termine abbastanza vago da consentire di richiedere una verifica dei requisiti minimi per accedere ai finanziamenti. Chi ha una lunga storia di bullismo ai danni delle persone che vogliono abortire non dovrebbe poter operare nelle strutture pubbliche, ma soprattutto: chiunque voglia proporsi per fornire appoggio a chi non vorrebbe abortire ma sente di non avere scelta deve provare di avere una lunga storia di attività nel terzo settore che non passi per mettere il becco negli uteri altrui. Avevo detto che era complicata (e infatti la 194 è una legge inefficace e inefficiente).
Abrogare la norma che consente ai sanitari di astenersi dal praticare IVG - Questo è il punto in cui la sovranità popolare può cominciare a splendere, con un caveat: un governo di sinistra, in Italia, non garantirebbe affatto il sostegno a un referendum di iniziativa popolare su una materia che i cattolici si ostinano a considerare “controversa” anche se le donne cattoliche fanno regolarmente ricorso all’IVG. Continuo però a pensare che ci si debba provare, perché certo, abbiamo il governo ottuso e regressista che abbiamo, ma la nostra salute e la nostra sicurezza non possono aspettare l’ennesima repressione, l’ennesima ingerenza da parte delle associazioni anti-scelta. Noi esistiamo adesso, non domani. E un governo che voglia dirsi democratico deve governare per tutte e tutti, nel rispetto della volontà popolare di cui la destra si fa perennemente scudo, salvo poi ignorarla quando quella volontà non è adeguata alle loro aspettative.
Per recuperare un vecchio slogan del ‘68: “Siamo realisti. Esigiamo l’impossibile.”
Le date
Vabbe’, dopo tutto ‘sto pippone ci tengo a ricordare che anche questo mese mi grattano dal pavimento con un tarocco della pizza. Ci sono un paio di novità dell’ultim’ora, quindi:
13 ottobre: Pisa, Internet Festival. Incontro dal titolo “Bios & Bias. Forme di resistenza contro discriminazione e diseguaglianza di genere online.” Centro Congressi Le Benedettine, 17.00-17.45
14 ottobre - Milano Digital Week, Phyd Club (via Tortona, 31), Unstoppable Talk, a partire dalle 17.00. Ci si prenota qui.
17 ottobre: Roma, presentazione de L’età verde di Francesca Torre e Sara Malucelli alla Libreria Risma
19 ottobre: Firenze, Le Murate - Festival della transizione ecologica, ore 17.30-18.30
25 ottobre - Bari, Storytelling Festival
26 ottobre: Pordenone, Sala Capitol - Climax
27 ottobre: Portogruaro (VE), Libreria Mondadori, firmacopie in cui per ogni libro acquistato (anche non mio) mi puoi fare una domanda, tipo Lucy Van Pelt, e io ti ascolto e se posso ti do una risposta. Se la risposta è “ti serve un po’ di terapia”, è perché NON sono Lucy Van Pelt.
Ci vediamo in giro.
Giulia
Ma come ha detto giustamente Kamala Harris in un’intervista con il podcast Call Her Daddy: il mondo è pieno di donne la cui aspirazione non è essere umili.
La legge non contempla altre identità di genere, cosa che è parte del problema perché anche gli uomini trans e le persone non binarie provviste di utero possono ritrovarsi in stato di gravidanza. Ma la legge, questo, non lo dice: il riconoscimento delle identità trans è avvenuto solo nel 1982, quattro anni dopo la legge sull’aborto, e all’epoca gli uomini trans non godevano di grandissima visibilità.
L’ingresso delle donne in una professione o disciplina causa un automatico abbassamento degli stipendi medi, o comunque un loro congelamento rispetto al costo della vita. Ci sono molteplici studi che lo dimostrano, in caso non bastasse l’osservazione empirica.
Conto l’inizio del mio percorso pubblico dal Fertility Day del 2016, ma ero attiva anche prima. È solo dal 2016, però, che il gioco per me si è fatto davvero duro e io ho cominciato a giocare.
Femminile sovraesteso: nessunə si senta esclusə.
Gisèle Pélicot è un’eroina in mille modi, e il primo è aver deciso che la vergogna del suo stupro non la deve provare lei, ma chi l’ha stuprata.
Che per me va buttata, ma le resistenze sono tante.
Cadono prima se andiamo a votare e non li eleggiamo affatto.
Grazie per il tuo articolo. Andando direttamente ai punti..come ben dici, punterei alto: una raccolta firme per il punto 4.
In subordine, il punto 1. Nessun conflitto con i sopracitati il punto 2, che può e deve essere conseguito in parallelo.
Sul punto 3 concordo: di difficile realizzazione e forse, al nostro scopo, scarsa incidenza.
Le bambine e le ragazze di oggi si troveranno, in futuro, a un certo punto della vita, senza legge sull'aborto. Saranno cresciute senza nessuna coscienza politica, ignoranti su qualsiasi aspetto inerente i loro diritti, convinte di poter comunque fare ciò che vogliono o ciò che serve "che tanto il modo si trova". Ho 50 anni. non si può chiedere a me e a quelle della mia età di continuare battaglie, per le quali ho lottato scioperato litigato, che dovrebbero interessare molto più alle giovani che a me. L'energia residua di questi ultimi 20 anni di lavoro le dovrò impiegare per combattere il sessismo che mi ammorba l'anima ogni volta che entro in ufficio. Voterò per un referendum sull'aborto e aderirò a qualsiasi manifestazione o iniziativa pro aborto. Ma sono assolutamente convinta che la maggior partecipazione dovrebbe essere da parte di quei giovani di quelle giovani che sono colpevolmente assenti.