Cominciamo con le novità: l’immagine che adorna la mail (come anche il logo della newsletter) è un regalo di Sara Not. Sara e io ci conosciamo da più di vent’anni: il rapporto con lei è figlio di una delle tante felici casualità in un momento molto triste della mia vita, e che come molti momenti tristi si è rivelato fecondo di affetti. La mia prima relazione importante si era chiusa, e io ero andata a vivere in un appartamentino da sola in via Flavia, a Trieste. Erano due stanze, camera da letto e cucina abitabile con microscopico soggiorno, di proprietà dei genitori di Sara. Ci siamo conosciute così, ci siamo piaciute subito, e anche se a lungo ci eravamo perse rieccoci qua, a parlare di vita, lavoro e di come invecchiare allegre.
Sara aveva disegnato anche l’header del mio primo blog da sola, così quando mi ha proposto di fare qualcosa per la newsletter non ci ho pensato due volte. Mi sembra che porti bene, e dato il periodo cerco la fortuna ovunque posso.
È questo che siamo?
Ho lasciato passare apposta il 27 gennaio, Giornata della Memoria, non perché cadeva di lunedì e io esco di martedì (sarebbe stata una motivazione un po’ scema), ma perché parlare del senso della Memoria nel giorno della Memoria è sempre un esercizio di posizionamento fra due estremi. Da un lato c’è chi delegittima l’esistenza dell’antisemitismo citando le sofferenze inflitte da Israele al popolo palestinese, e disconosce che la discriminazione a carico della comunità ebraica è ancora viva e presente. All’altro estremo, c’è la narrazione che appiattisce la Shoah sugli aneddoti personali, che risultano distanti, storie accadute ad altri di cui non si vede la rilevanza contemporanea. È successo allora, è storia del passato. Non ha a che vedere con noi.
Il senso della memoria, anzi, della Memoria, è cogliere il contorno. Non le storie individuali dei sopravvissuti alle atrocità, non il risultato, ma lo scenario politico e umano che le ha rese possibili. L’individuazione di un capro espiatorio su cui scaricare la frustrazione fomentata a scopo elettorale, i vicini di casa che fanno la spia, i poco entusiasti del regime che però pensano che i politici siano tutti uguali, quelli che pensano che la mescolanza del sangue e delle culture distrugga la tradizione. Non serve mica arrivare agli entusiasti col braccio alzato: i veri responsabili sono quelli che non fanno niente, o che pensano che tutto sommato potrebbe andare peggio.
Lo fecero Hitler e Mussolini, lo fanno da sempre tutti gli autocrati: individua un nemico a cui addossare la responsabilità di tutto quello che non funziona nella vita delle persone, e perseguitalo fino all’annientamento. Negli anni ‘30 erano ebrei, omosessuali1, persone con disabilità fisiche e psichiche, nomadi, Testimoni di Geova o personaggi scomodi che si intendevano liquidare. L’elenco che ho fatto serve a ricordare che gli ebrei furono il bersaglio più visibile delle persecuzioni, ma che la Shoah colpì tutti gli indesiderabili, seppure per motivi diversi.
Raccontare il nazismo come una faccenda di gerarchi ci permette di discolparci: sono stati quelli là. Mica noi.
La memoria non ha senso, se rifiutiamo di accettare che quella persecuzione non solo non è mai finita, ma sta avendo una recrudescenza: cambia il bersaglio, ma non il senso. Elon Musk che fa il saluto nazista il giorno dell’insediamento di Trump e poi, per buona misura, interviene da remoto al raduno di AfD in Germania davanti a una folla plaudente, il suo faccione a tutto campo mentre dice che i tedeschi devono perdonarsi per i peccati dei loro genitori, superarli, andare avanti e riappropriarsi della lotta al multiculturalismo, che “diluisce tutto” (tutto cosa?2) Trump che ordina rastrellamenti di persone che potrebbero o meno essere immigrati illegali (e fissa una quota giornaliera per gli agenti dell’ICE, che quindi sono autorizzati a raccattare su un po’ chiunque). La decisione di rendere illegale a livello federale il riconoscimento delle identità trans. Cosa pensiamo che sia? Quali anticorpi abbiamo maturato, contro questa infezione? A occhio: nessuno.
Giorgia Meloni che abbraccia — in senso letterale e figurato — questi mostri ci sta dicendo qualcosa di chiarissimo, in caso non avessimo capito quando ha costruito un gigantesco canile di lusso carcere in Albania per mandarci un pugnetto di uomini a scopo di propaganda, puntualmente rimandati indietro da sentenze che invalidano la deportazione. Che non è solo “guardate, io li mando via, io vi proteggo”: è anche “I giudici mi impediscono di tutelarvi”. È un attacco alla separazione dei poteri, all’indipendenza della Magistratura e al potere giudiziario. Nel frattempo, il suo braccio destro3 Guido Crosetto si lamenta sui social che anche lui vorrebbe avere il potere di fare quello che fa Trump, una bella firma su un documento e via, la persecuzione è servita. Non lo dice mica così, eh? Lo dice con tanti giri di parole, ma stringi stringi. È questo, che vogliono: le mani libere, la concentrazione dei poteri, l’impotenza della popolazione, tutto nel nome dell’efficienza.
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Lo stesso Crosetto, sempre sui social, si slancia a esprimere solidarietà alla senatrice di FdI Ester Mieli, perché la discriminazione è brutta solo se a subirla siamo noi, o uno dei nostri. Una logica che le persone impiegano regolarmente nella propria vita personale, e che facilita il compito di ignorare quello che gli succede intorno. Quando il governo piazza una persona con posizioni apertamente transfobiche e nessuna qualifica rilevante in un incarico delicato che le permette di disporre delle vite di bambini e adolescenti, ci sta dicendo qualcosa. Ci sta indicando un nemico, in questo caso, le persone trans. È uno dei tanti, ma è relativamente nuovo.
Ci stiamo girando dall’altra parte, perché quello che accade non ci sembra grave, dato che viene giustificato di volta in volta con il paternalismo, la pseudoscienza o qualche teoria del complotto. Sta succedendo, e se non guardiamo è perché pensiamo che non toccherà a noi. Lo pensava anche Mafalda di Savoia, principessa di casa reale simpatizzante di Mussolini e sposata con un ufficiale delle SS. Morì dissanguata a Büchenwald, arrestata dai nazisti dopo l’armistizio dell’8 settembre mentre tornava dal funerale di suo cognato.
Nessuno è al sicuro, mai. Ma al di là di questo: quanto è misero disconoscere l’umanità delle persone e il loro diritto alla vita, alla salute e alla libertà di movimento per questioni di documenti, nazionalità, identità di genere non conforme? È questo che siamo e che vogliamo essere? È a questo che si è ridotta la Repubblica nata dal movimento antifascista, dove tutti sembrano avere un nonno partigiano e nessuno va a votare per difendere quella memoria e quell’eredità?
Under pressure
Tutto quanto sopra è il mio pensiero fisso da anni, e gli ultimi mesi lo hanno concretizzato, reso tridimensionale. I segnali che avevo colto sono diventati leggi discriminatorie, e l’appoggio del governo italiano ha reso concreta la possibilità di un’ulteriore stretta anche qui da noi. I provvedimenti contro i genitori omosessuali, in particolare le madri; l’insistenza di Gasparri a mettere il naso nel lavoro dell’ospedale Careggi con i bambini con identità di genere non conforme; la persecuzione costante degli stranieri e la tolleranza nei confronti della retorica razzista di gente come Vannacci, tutto questo è già, nel concreto, la persecuzione che continua e si fa più aggressiva. In parallelo, si emanano leggi che servono a reprimere ogni forma di dissenso (il DDL Sicurezza), si criminalizza l’aggregazione spontanea (decreto rave), e il resto lo fa la chiusura di ogni spazio di espressione per chi non è allineato al regime. La Rai trabocca di programmi assegnati a questo o quel tirapiedi dei potenti, non li guarda nessuno ma intanto eccoli ricompensati per i loro servigi. E il servizio pubblico si svuota, la cultura e l’intrattenimento di qualità si spostano altrove.
L’opposizione, intanto, si finge morta e parla d’altro. Questo aggiunge frustrazione a frustrazione, almeno per me, proprio perché sto cercando nella politica attiva una via d’uscita collettiva e non personale. Ma è un muro di gomma su cui rimbalzo giorno dopo giorno, all’interno della politica stessa, non fuori. A un certo punto sarà inevitabile portare tutta questa energia cinetica altrove, incanalarla in altre forme d’azione.
L’elaborazione del lutto ha varie fasi, e alla tristezza segue inevitabilmente la rabbia. Che cosa rimane alle persone quando ogni via legale, legittima e collettiva per l’affermazione delle proprie libertà viene chiusa per decreto o con la violenza? La rabbia la puoi contenere solo fino a un certo punto, prima che esploda. Se le persone non si sentono ascoltate, tutelate e protette, passata la tristezza arrivano inevitabilmente al punto in cui pensano di non avere più niente da perdere, e a volte la storia finisce con cadaveri penzoloni a testa in giù sopra i distributori di benzina. L’educazione alla non violenza è una protezione fragile: presto o tardi, cede. I governi autocratici pensano sempre di poterla governare, la violenza, di poterla usare per i propri scopi. Non pensano mai che possa travolgerli. Per ora ci stanno riuscendo, perché i più violenti stanno dalla loro parte. Li nutrono di propaganda, e quelli ci cascano, perché la politica è prima di tutto soddisfazione dei bisogni psicologici, ma il giorno in cui Mussolini fu appeso a piazzale Loreto, a prendere a calci in faccia il suo cadavere c’era un sacco di gente con la tessera del Partito Fascista in tasca e l’orbace nell’armadio.
I social — è paradossale dirlo, ma è così — sono l’ultimo rifugio, la valvola di sfogo che permette di allentare la pressione. Ci restituiscono l’apparenza dell’attività: ho detto una cosa, ho preso una posizione, non sono impotente. Se li sottraiamo all’equazione, cosa ci rimane? Immaginiamo di non poterci o volerci più stare: in cosa consisterebbe la nostra azione politica e culturale? Cosa faremmo? Dove porteremmo il nostro bisogno di non sentirci inermi nelle mani dei potenti, e quale forma gli daremmo?
Io ho scelto la scrittura, perché lo so fare e perché la scrittura costruisce mondi e ragionamenti: non a caso il potere si affida alla disinformazione, alla marginalizzazione degli intellettuali e alla svalutazione del lavoro culturale per impedire alle persone di formare pensiero critico. E mentre lo dico avverto tutta la pretenziosità della mia scelta e mi sento il compagno Folagra che fa discorsi astrusi a Fantozzi in un angolo della sala mensa. Paolo Villaggio ci aveva già detto tutto, ma proprio tutto, già negli anni ‘70, e noi abbiamo capito solo “La Corazzata Kotiomkin è una cagata pazzesca!”
Sempre sulle emozioni del momento
La newsletter di
, perché un mood è un mood.Qui ci sono io che parlo di femminismo
La nuova puntata del podcast di Enrico Mazzieri, La Resistenza, è stata registrata quando faceva un caldo porcone. Nella versione video, quindi, sono sudata e con dei capelli di merda, ma mi sono comunque molto divertita nell’esercizio dialettico con Enrico, che ha interpretato molto bene il ruolo del medione che non capisce il femminismo ma ne è incuriosito. Si ascolta qui:
Assaggino:
Per finire, le date di Brutta
Se vuoi venire a sentirmi dire “Puff” in pubblico (basta chiedere), c’è sempre il tour di Brutta, lo spettacolo di e con Cristiana Vaccaro per la regia di Francesco Zecca tratto dal mio libro. Ce ne saranno altre, le annunceremo al più presto: io sono presente a tutte quelle contrassegnate con l’asterisco. Le informazioni sui biglietti sono qui.
8 febbraio - Cadelbosco (RE), L’Altro Teatro*
22 febbraio - Fara Sabina (RI), Teatro Potlach*
1 marzo - Bologna, Auditorium San Filippo Neri (ingresso gratuito)*
6-9 marzo - Roma, Spazio Diamante*
30 marzo - L’Aquila, Teatro dei 99
11 aprile - Gozzano (NO), Sala Somsi
Ciao!
Giulia
Fra cui Lucy Salani, unica donna trans italiana sopravvissuta alla Shoah, incarcerata a Dachau.
Ancora una volta strabilio di fronte alla povertà linguistica, espressiva e di ragionamento di uno che viene trattato come un genio e non sa letteralmente mettere due parole in fila. Ci aggiungerei un dettaglio: i grandi sovranisti di AfD, avversi al multiculturalismo, hanno festeggiato con grandi battimani un discorso fatto in inglese da un sudafricano naturalizzato americano. So che cercare la coerenza nei nazisti è abbastanza inutile, ma se non altro giova far notare che no, non è questione di cultura ma di melanina.
Ne ha tanti, eh, che manco la dea Kali: e sono tutti maschi, tranne sua sorella. Alla faccia del “femminismo”.
No non è questo. Sento la stessa angoscia tua e la stessa frustrazione per il muro di gomma della politica nella quale pure mi impegno. L'unica cosa che mi fa sentire meno male è parlare di tutto questo con la mia figlia 14 enne che mi ascolta ancora e cercare di seminare ALMENO IN LEI la consapevolezza...
Poi mi viene da dire a chi sente come te, come me: abbracciamoci per favore.
Io mi chiedo come mai questa rabbia non sia ancora esplosa in Italia. Lo dico dopo un decennio fuori dai confini (in cui non rientrerò mai e poi mai), ma mi ponevo la stessa domanda ben prima di Meloni (quando vivevo in un FVG dominato da Forza Italia - per fortuna ho bypassato i leghisti) e me la pongo ancora oggi durante questo governo del c****. Anche noi siamo a rischio deriva neonazista e anche da noi tutti gli altri partiti dormono sonni tranquilli (Bild ci ha fatto perfino una pubblicità ironica su questo). Ma la gente non si ferma a guardare e a sperare. C'è un movimento dal basso che ha fatto perdere buoni punti ad AfD nell'ultima settimana. Eppure i racconti che mi giungono dall'Italia da parenti, amici e colleghi sono tutto meno che positivi, per lo più caratterizzati dalla stessa rassegnazione che vedevo 10 anni fa, la solita storia del "governo ladro", la convinzione che niente cambierà mai e che tutto sia accettabile perché potrebbe andare molto peggio.