L'importante è partecipare
Questa settimana parlo un po' di Barcellona e del Primavera Sound e molto di politica, senza citare Gaber.
La domanda era: ce la farò, a 52 anni suonati e con una lombare che frana e non fria (cit.), a fare le cinque di mattina per tre giorni di fila camminando fra un palco e l’altro in un’area grande centinaia di metri? La risposta è “sì”, ma posso anche dire che al terzo giorno ero tenuta in piedi solo da Supradyn e tigna. Così siamo tornati al Primavera Sound dopo un anno di stop, e mentre entravo a Barcellona pensavo che mi pareva di non essermene mai andata. La grazia dei grandi palazzi Art Nouveau, le jacaranda mimosifolia che illuminano di lilla gli angoli delle strade, l’intricata meraviglia delle facciate neomoderniste, il vento che rende inutile la piega e restituisce i miei capelli alla forma originale entro 5 minuti dal momento in cui metto piede fuori casa, la gente rilassata nei parchi la domenica, le mille cose da fare e da vedere: Barcellona è un posto in cui mi sento a casa, e anche se nei quasi vent’anni in cui l’ho frequentata è cambiata molto (per lo più in peggio, con affitti sempre più cari e depauperamento dell’offerta commerciale del centro storico, ormai zeppo di negozi che vendono paccottiglia per turisti: e in questo processo di deterioramento non mi sento innocente), rimane un luogo facile da amare e in cui torno sempre con gioia. I ritmi molli dei giorni del festival mi hanno anche lasciato spazio per scrivere: manca una settimana alla consegna del libro nuovo, ma posso farcela. Vedo la fine.

Del festival in sé non serve che dica molto - lo farà altra gente - se non che mai come quest’anno la politica è stata sui palchi, per lo più come appelli alla liberazione della Palestina. Di quelli che ho visto, Idles, Fontaines D.C., LCD Soundsystem e TV On the Radio hanno fatto riferimento in maniera più o meno esplicita al genocidio in corso. C’è poi chi è politico anche solo perché esiste, tipo Chappell Roan con le sue canzoni pop sull’amore lesbico: se penso che fino a pochi anni fa il massimo a cui si arrivava era il queerbaiting di Katy Perry, è bellissimo vedere che le cose, almeno su quel versante, sono cambiate parecchio.
È stato un festival di culi agitati1, sui palchi e sotto, in cui mi è sembrato di osservare un sensibile aumento delle persone con presentazione di genere non conforme, ed è un bene e un sollievo: non penso siano uscite dal nulla all’improvviso, penso che il Primavera Sound abbia lavorato molto e in maniera esplicita sulla creazione di un clima sicuro per chi lo abita, e che lì trova, finalmente, lo spazio per presentarsi nel modo che sente più congeniale alla propria natura.
E insomma, il referendum
Lo dico subito: penso che fare il giochino di paragonare il numero dei votanti al referendum dell’8 e 9 giugno a quello degli elettori del centrodestra sia sbagliato. Mele e pere. Non si vincono le elezioni con i travasi, ma con le proposte: l’astensionismo al 70% è un problema gigante di fiducia che va affrontato senza fare la storia del bicchiere mezzo pieno.
Per votare siamo tornati dal festival un giorno prima rispetto alle nostre abitudini, pur sapendo - perché lo sapevamo - che non c’erano grandi possibilità di raggiungere il quorum. La disaffezione degli elettori è un dato già misurato più volte, e possiamo dirci tutto quello che vogliamo sulla censura attuata dal governo (e sulla decisione di accorpare la consultazione al secondo turno delle amministrative, e non al primo), ma la realtà rimane: alla gente non frega niente di votare, non sa perché deve votare, vota o non vota a sfregio e per motivi che non hanno niente a che vedere con la materia su cui si esprimono. Vale per la destra, ma pure per la sinistra, non prendiamoci per il culo: l’infantilismo è una malattia nazionale e non è esclusiva delle destre, tanto quanto il paternalismo e l’idea che il politico sia una figura demandata a decidere per te, non qualcuno a cui dai la delega perché voti sulla traccia di valori condivisi. Se ci mettiamo sopra pure l’idea (non so quanto diffusa, ma temo parecchio) che si voti solo quando un argomento ha un impatto diretto su di te e non nell’interesse della collettività, si fa presto a spiegare come mai le urne siano vuote, anche quando le piazze sono piene, pienissime.
Ogni fallimento di un referendum si trascina dietro la discussione sull’abolizione del quorum, che volta dopo volta rende inutile e frustrante l’esercizio del voto da parte di chi è determinato a preservare la democrazia. Su questo punto ho idee con cui non sono d’accordo, per cui le espongo e mi ripropongo di ragionarci su con persone che ne capiscono più di me.
Io penso che il quorum vada mantenuto, perché la volontà popolare va pesata e le leggi non possono essere soggette a facile abrogazione da parte di una minoranza, creando il rischio di vuoti normativi o di sottrazione di diritti. Mantenerlo al 50% +1 degli aventi diritto era lo scenario ideale nell’Italia postbellica, che aveva un tasso di partecipazione al voto altissimo, dato che per i vent’anni precedenti non aveva potuto esprimersi. Penso anche che vada calcolato diversamente, cioè sul numero degli elettori attivi: magari non al 50%, ma al 70%, per garantire una maggiore rappresentatività del voto, ma qui sto facendo delle ipotesi selvagge. Questo avrebbe come effetto uno stimolo maggiore per chi alle politiche e alle amministrative vota, ma domenica e lunedì se n’è andato al mare pensando “Tanto non si passa il quorum e io questa giornata di sole me la voglio godere”.
Dall’altra parte, penso anche che abbassare il quorum significhi cedere di fronte all’abulia di un elettorato sempre più distante dall’esercizio della democrazia, ma non per questo privo di posizioni o necessità. “Ok, dai, pazienza, tanto votano in pochi” è una resa, è la politica che si cala le braghe e rinuncia a fare la cosa che deve fare, cioè ridiventare un posto in cui la gente va a costruire il proprio futuro. E questa non è una responsabilità della gente, ma di chi fa politica: chi ti vota vuole coraggio, posizioni chiare, un’idea di futuro che sia comprensibile e che non esprima il terrore di scontentare qualcuno. E questa cosa non si ottiene con le card sui social, ma aprendo più spazi possibile alle persone per discutere, capire, darsi da fare, partecipare, guardarsi in faccia, ballare, sì, ho detto ballare, andiamo a ballare insieme, mettiamo le pecette sulle fotocamere dei telefoni come ha fatto Cosmo ai suoi concerti l’anno scorso e riduciamoci come delle trote salmonate senza timore di finire nelle storie Instagram di qualcuno.
Non scherzo, sul ballare, anche se non ho idea su come fare il resto. So che per me la politica è, ora più che mai, corpo e affetto e vicinanza con le persone, è discussione, è (a volte) conflitto, ma non è mai distanza. È sempre costruzione di un pensiero collettivo. L’unica cosa che posso fare è sedermi ad ascoltare, fornire punti di vista informati dove li ho, assorbire quelli altrui dove non li ho. Nessuno può pensare di chiedere il voto come delega in bianco senza offrire uno spazio di prossimità che vada oltre le tifoserie, le piccinerie e gli IO IO IO che ci stanno distruggendo come comunità umana. Nessuno può chiedere il voto come “alternativa” a quegli altri. Il voto non è un’alternativa, il voto è la sigla di un progetto che si fa insieme. È un attestato di fiducia. Non si può pretendere che la gente te lo dia perché quegli altri fanno schifo.
Non mi sembra affatto strano che l’affluenza al voto sia stata più alta - e in alcuni casi ha superato il quorum - in quelle zone in cui la politica è una cosa che si fa casa per casa, la partecipazione è alta e l’elettorato vede i suoi valori farsi struttura sociale, mentre è stata più bassa nelle aree del paese in cui l’abbandono ha generato cinismo e un approccio clientelare alle cariche elettive, e nelle province dell’estremo nord, che non ho gli strumenti per analizzare (e apprezzo gli input).
Anche questa volta ho votato perché era giusto, perché è sempre giusto, perché mia nonna ha ottenuto il diritto di voto a 26 anni, perché la mia famiglia continua a votare pure se sta incazzata con i politici, perché la democrazia - lo dirò fino alla morte - sarà pure imperfetta, ma è l’unica struttura che funziona, finché funziona. In democrazia, più che in ogni altra cosa, l’importante è partecipare.
Ci risentiamo martedì prossimo.
Giulia
Quello di Charli XCX in particolare, ma non solo.
Mia nonna, a 95 anni, portata da mia sorella, è andata a votare
Io sono tornata a Genova (dove ho domicilio/lavoro e squadra) da una partita di softball a Torino a mezzanotte e mezza, sono arrivata a finale (dove sono residente) alle 2 e sono andata a votare domenica (e poi, nel pomeriggio, me ne sono anche andata al mare dopo aver fatto il mio dovere di cittadina).
Pur sapendo che probabilmente il quorum non sarebbe stato raggiunto, ma d'altra parte, come diceva un meme che circolava in questi giorni, non è raggiunto anche per chi non va a votare perché pensa che tanto non si riesce a raggiungere
Nonostante sia triste la consapevolezza che le persone se ne fregano di votare, anch'io sarei per un quorum basato sull'elettorato attivo, non so, il 50%+1 (o anche più alto come suggerisci) delle precedenti politiche.
Cara Giulia ma, sinceramente, tu pensi che per esempio le persone come noi, che ti seguono e ti leggono, siano degli eroi moderni? Non leggo di nessuno qui che abbia maggiordomo e servitù e niente da fare tutto il giorno. Siamo persone che lavorano, full time (io) e che stanno pure dietro a incombenze familiari, burocratiche, sanitarie. Insomma, la vita. Eppure il tempo di leggere, leggerti, guardare un tg, approfondire un articolo, partecipare a un incontro su un tema, lo troviamo. Perché SAPPIAMO QUANTO SIA IMPORTANTE INTERESSARSI DELLA COLLETTIVITÀ DI CUI NOI STESSI FACCIAMO PARTE. Ora questa gente disaffezionata di cui parli, come fossero pecorelle smarrite da recuperare, sono per caso escluse dall'accesso a internet, ai libri, agli incontri? Vivono in zone disagiate senza scuole? No. Sono persone che scelgono di coltivare l'ignoranza e non votano per scelta consapevole, non perché poverini non capiscono. Credono davvero di fare una scelta migliore non votando o votando gioggia. magari gioggia manco gli piace ma basta che non sia elly (il voto a sfregio appunto). Magari hanno figli che avrebbero avuto un vantaggio dall'abolire una norma sui licenziamenti illegittimi, ma non hanno votato lo stesso. Perché? Perché leggere, informarsi, attivarsi è FATICOSO sicuramente più che guardare il GF . e la fatica di sa, piace poco.